venerdì 30 novembre 2007

Nuove professioni:avvocato tassista

da la Repubblica

"A Bologna ci sono 363 avvocati, su poco più di duemila presi in considerazione, che dichiarano reddito zero. Alcuni denunciano 1, 27, 28 euro, il che appare ancora più singolare. «Non è poi così singolare - nega il presidente dell'ordine
Lucio Strazziari - considerando le condizioni della professione oggi e i tanti giovani che si affacciano a questo mestiere».


Vuol dire che non c´è spazio per tutti e che quindi è logico che ci siano professionisti poveri?
«Insomma, i notai in città sono 120, i taxisti poco più di 600, gli avvocati 3700. Un giovane che cominci oggi deve mettere in conto, se va bene, che per i primi 5 anni deve solo pagare le spese dello studio, del riscaldamento e le bollette. Si dice spesso che fanno gli avvocati solo i figli degli avvocati, ma non è vero. Chiunque può fare questa professione come dimostrano i numeri, ma è logico che se uno eredita uno studio avviato ha un vantaggio. Inoltre, non è detto che chi è iscritto poi faccia questo mestiere»."

Tenuto conto dello spirito delle liberalizzazioni e dello spirito del capitalismo, potrei suggerire la professione del tassista legale. Uno dei segreti dell'offerta del nuovo millennio, nei servizi, è quella di coniugare efficienza e qualità. la prima impatta sui costi, la seconda crea valore aggiunto, vantaggio competitivo e giustifica la differenza del prezzo in termini qualitativi. Ed allora invece di pagare bollette per nulla e per cinque anni a reddito zero, provate a creare una flotta business per le aziende, con giovani laureati alla guida, che offra consulenze di tipo legale in quei campi in cui il tempo del tragitto può offrire lo spazio per fornire "consigli" e "soluzioni". Una modalità operativa potrebbe essere quella di farsi anticipare al centralino la "questione" ed inviare lo specialista del ramo. Costo del servizio somma di corsa più consulenza.

Magari se qualcuno lo suggerisce a Walter questo si vende l'idea come frutto dell'Italia nuova che noi tutti vorremmo. E vi aiuta a finanziare il progetto con qualche coop.

Rimanendo a bomba su questo capitalismo da correggere e riformare, vorrei ricordare che qualcuno fa confusione tra liberalizzazioni e vantaggi per il consumatore. Nella vicenda romana abbiamo un sindaco decisionista che mentre dice di voler creare 500 licenze autorizza l'incremento del 21% delle tariffe (ferme da anni dicono). La questione è : in questo gioco cosa ci guadagna il consumatore?

giovedì 29 novembre 2007

Cosa è il caos?

Wikipedia

"La teoria del caos è stata anche utilizzata nelle critiche al Capital asset pricing model (CAPM). Il CAPM basa i suoi principi sul modello del mercato efficiente (IME), mentre la Teoria del caos[citazione necessaria] contesta i principi di questo modello e la figura dell'investitore razionale, e soprattutto che il prezzo di un titolo sconti immediatamente tutte le informazioni che pervengono dal titolo stesso.

Secondo i teorici gli investitori non reagiscono alle informazioni man mano che le ricevono, ma hanno memoria dei fatti passati, di quello che è accaduto. I mercati funzionano secondo un'ottica dinamica e non lineare."


"La natura umana è di prendere quel che si vuole. Nasciamo così"
-Tratto da un treno per Yuma-
"Il nostro progenitore, Homo Sapiens, riusciva a mantenersi con 100-300 watts che era in grado di generare con il suo corpo. Che cosa fa oggi un uomo a New York?In media sfrutta circa 10.00 watts per tutte le attività che compie in una sola giornata e i negozi della metropoli gli offrono circa dieci miliardi di differenti tipoi di artefatti per realizzare ogni tipo di azione che potrebbe fare."
Prof. David Lane
"Cosa fai?"
"Niente, mi annoio. E tu?"
"Anche io"
-Da una conversazione tra due ragazzi di 13 anni

Conclusioni tratte da la teoria del caos e le sue implicazioni:

Di conseguenza, i sistemi caotici non possono più essere interpretati esclusivamente come imprevedibili anche se irregolari E' fondamentale sottolineare che il caos non è sinonimo di caso (curiosamente suo anagramma) come la logica potrebbe indurre a pensare e non si può parlare di completo disordine, in quanto i sistemi caotici, alla luce delle nuove scoperte della teoria del caos, sono sistemi dinamici sempre prevedibili a breve termine e, quindi, riconducibili ad una logica nuova più o meno complessa. Si può, dunque, paradossalmente affermare, in base a precise scoperte scientifiche, che nel caos c'è ordine.

mercoledì 28 novembre 2007

Rifondare cosa?

Rifondazione Comunista non ha da rifondare nulla. Il suo declino e la lenta morte sono testimoniate dal modo in cui una parte dei suoi dirigenti, e della corte di intellettuali che li segue, parlano a quella che dovrebbe essere la sua base di riferimento. Un linguaggio incomprensibile e che può andare bene in qualche salotto o tra poche e selezionate elite.

Cosa volete che capisca uno quando sente Giordano dire"A Gennaio ci vuole una nuova fase politica.Chiediamo una verifica" o Bertinotti affermare"Riproposta una evidente difficoltà tra esecutivo e parlamento".
La sindrome del cashmere attanaglia quell'accozzaglia di geni della politica che, purtroppo, ho votato. Gente che si avviluppa nella forma perchè manca di sostanza, di una strategia seria ed alternativa a tutto quanto ci circonda.
Cosa vorrei da costoro? In primo luogo che fossero messi nella condizione di godere in pace la loro pensione da notabili della politica.
Azzerare quella pletora di finti comunisti, alla ricerca del verbo che fu, sarebbe già un bell'inizio per ritrovare l'entusiasmo e ricominciare di nuovo.
Parole, chiacchiere, analisi di difficile interpretazione in sostanza il vuoto assoluto.

Il paradosso di una strategia alternativa è fare in modo che i processi in atto maturino fino in fondo.Lavorare in modo pesante su quelli. Senza guardare in faccia a nessuno. Assumersi il compito e la responsabilità di passare il proprio tempo in galera , se necessario.Riempire le strade ed i quartieri con la resistenza e la rabbia che c'è. Plasmarla e farla esplodere.Tenere conto delle situazioni concrete del suo popolo o di quello che aspira a rappresentare.
Quello che leggiamo è politichese, analisi tutte interne al sistema di valori e di compatibilità in essere.Nulla che vada al di là del proporre una logica del tipo " non esagerate troppo".

Mendicare pezzi di welfare, sapendo che il risultato è a somma zero, è una chiara indicazione di connivenza con il sistema in essere.
La questione, compagni, non sono le briciole. Quelle i borghesi "illuminati" ed i partiti "popolari" sanno bene quando e come distribuirle. Non c'è bisogno di rifondare nulla per quello.Basta quello che c'è. Cosa volete che cambi nella vita di una pensionata (esempio mia suocera) che ha 470€ al mese di pensione, che riesce a vivere in affitto solo perchè lo paga sua figlio (550€ al mese)e che divide il suo latte serale con la gatta?
Due giorni fa la parrocchia le ha fornito un pò del minimo per andare avanti e tra un pò avrà quella briciola che per questo anno, e fino a che ci saranno fondi, il governo di monsignore Prodi le darà.

Quello che vogliamo è un movimento che abbia come riferimento il pane nella sua totalità, ed il forno che lo cuoce con la materia prima che serve per alimentarlo e produrlo.Il resto sono chiacchiere inutili.

martedì 27 novembre 2007

Parole, significato ed applicazione pratica

Crumiro (<>crumire), introdotto da L. Einaudi nel 1904, indica il lavoratore che rifiuta di scioperare o accetta di lavorare al posto degli scioperanti. In origine la parola (<>Khrumir) era il nome delle tribù brigantesche ai confini tra Algeria e Tunisia che con le loro scorrerie offrirono alla Francia il pretesto all’occupazione della Tunisia. È certo un segno di razzismo il fatto che il nome di un popolo venisse usato come termine ingiurioso (perché chi boicotta lo sciopero tradisce i compagni, rendendo meno efficace la lotta degli operai contro il capitale). Ed è significativo che nel famoso sciopero-serrata della primavera del 1908 la Società agraria di Parma vietasse, sotto pena di un’ammenda, l’uso di tale vocabolo, che doveva essere sostituito da «libero lavoratore».

"Posso ingaggiare la metà della classe lavoratrice per ammazzare l'altra metà"-Jay Gould

Hasta la vittoria siempre compagno Giordano


"Il senso di responsabilità noi ce l'abbiamo sempre. Ma dovrebbero averlo tutti". Il capitolo welfare fin dall'inizio non è piaciuto a Rifondazione comunista. E l'accordo che stamani Romano Prodi ratificherà nel maxiemendamento su cui porre la fiducia, per Franco Giordano rappresenta un altro "rospo" da ingoiare. Ma, avverte, sarà "l'ultimo". A cominciare dal decreto sulla sicurezza "non cederemo più".
Il compagno Giordano ingoierà il rospo e parla di ultimo sacrificio. Di quali sacrifici parli non si capisce.Ignoriamo il curriculum e le sue esperienze da lavoratore con moglie e figli a carico, il fardello di far quadrare i conti tutti i mesi con quel poco della busta paga ed un futuro che non c'è.Però lui ingoierà il rospo e giura che sarà l'ultimo.Lui, l'uomo che in Fiat ricordano per essere arrivato con l'auto blu a parlare di difesa dei deboli ed a promettere miglioramenti. Mi ricorda tanto quel personaggio (lui e molti dei dirigenti rifondaroli) del film "giù la testa", che predicava rivoluzione, con gli occhialini da intellettuale, e che alla prima strizzata di palle denunciò i suoi compagni facendoli fucilare. Si ripresentò pulito al momento della imminente vittoria. Per fortuna qualcuno lo costrinse a spalare carbone ed a suicidarsi andando incontro ad un treno di federali.

Gli risponde l'altro compagno Russo Spena

"L'esecutivo, dopo la Finanziaria e la riforma dello stato sociale, si troverà alle prese con altre due spine: il decreto sulla sicurezza che approderà nei prossimi giorni nell'aula del Senato e il prossimo provvedimento per rifinanziare la missione militare in Afghanistan. Sul primo punto, infatti, il Prc non rinuncerà ai suoi emendamenti. "Il provvedimento va migliorato - fa messo le mano avanti il capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena -: per la sicurezza non si può calpestare lo stato di diritto".

Temiamo il modo in cui resisteranno i nostri.Aspettiamo, pazientemente, che questa schiera di "stronzi" si estingua o si tolga semplicemente dalle palle. Per manifesta incapacità. Che ricomincino da qualche scuola pubblica di periferia, in cattedra ad ascoltare la generazione che seppellirà tutti.In attesa delle nostre banlieue.

lunedì 26 novembre 2007

Un pò di tecnologia e spariscono i problemi

E' di moda, tra gli economisti in genere (e tra quelli di sinistra in particolare), trastullarsi con l'idea che questo paese perde costantemente terreno sul piano della competitività a causa della mancanza di una politica industriale seria.
In buona sostanza circola l'idea che se si fosse in grado di ristrutturare l'apparato produttivo, incentivando la nascita di aziende in grado di produrre business ad alto valore tecnologico e, quindi, ad alto valore aggiunto, avremmo la possibilità di migliorare la produttività del sistema (rapporto tra fatturato e tempo di lavoro necessario), occupare una posizione strategica nel panorama internazionale ed avere vantaggi sul fronte dei redditi della manodopera impiegata.

La prima questione è: a fronte di un contesto economico che ama la deregolamentazione e la flessibilità, chi dovrebbe guidare questo processo?
La seconda è: a vantaggio di chi e, cosa non secondaria, secondo quale ordine gerarchico di interessi?

Queste sono le domande che pongo. E' ovvio che da comunista , per quanto mi riguarda, ho una opinione sulle due questioni.

Per dare un contributo mi limiterò a focalizzare la mia attenzione su due aspetti:
1- la politica aziendale rispetto al concetto di valore per gli azionisti
2- mercati finanziari e business

1- Eravamo abituati, un tempo, a valutare la forza di un'azienda in base ad una serie di indicatori che ne misuravano lo stato di salute nel breve e nel lungo periodo. Possiamo dire che, in genere, il rapporto tra attivo e passivo, il cash flow, la capacità di generare utili e la capacità di far fronte agli investimenti nel medio lungo periodo erano gli elementi su cui si centrava una analisi di tipo finanziario. Insieme a questa una proiezione dell'azienda sul contesto competitivo , le sue strategie di mercato, l'innovazione nell'offerta ed il posizionamento rispetto a segmenti di business maturi, in crescita o in declino.
Questo approccio necessitava di un contesto stabile, in cui il punto di riferimento era una logica "distributiva" : divisione degli utili e rapporto tra questi ed il valore nominale delle azioni.

Tutto l'armamentario, descritto prima, subì un notevole ridimensionamento nel periodo della new economy. In quel periodo ( che ricordo molto bene avendone frequentato da vicino qualche esponente di primo piano) quello che contava era il "valore" del progetto, il "valore" del management, l'idea di una economia immateriale in grado di creare valore indipendentemente dalla produzione tradizionale (manifatturiera).Sicuramente sono nate aziende importanti (poche) in grado di sfruttare meglio le nuove tecnologie (internet in primis) e di proporre nuovi prodotti e servizi al mercato, ma molto più vasto è stato il fronte di chi ha fallito trascinandosi dietro risorse importanti e distruggendo in men che non si dica i posti di lavoro che aveva creato.

Al mutare del contesto (flessibilizzazione di salari e prezzi) è mutata la strategia delle aziende.
Quella esperienza consolidò l'approccio ad una logica del capitale più interessato a massimizzare nel breve i profitti che a rendere stabile la certezza di poterne godere anche nel futuro. Tra gli esempi di questa "miopia" possiamo riportare alcuni esempi citati da Shankar Jha.
Nel 2000 Morgan Stanley aumentò i ricavi netti del 28% e gli utili per azione del 31%. Mancò, però, la previsione degli analisti del 6,8%. Il titolo, a dispetto dei risultati, subì una flessione del 6,8%.
Intel, nello stesso periodo, perse il 20% del proprio valore in borsa perchè (in quel trimestre) il fatturato era aumentato "solo" del 5% contro una previsione degli anlisti del 12%.

Quello che conta è massimizzare, nel breve, il capitale investito (valore dell'azione). Più questo aumenta meno interesse ha l'utile distribuito.In questa prospettiva l'azienda è interessante (per chi investe) in funzione delle sue strategie di valorizzazione del capitale.

Le prime leve, su cui si gioca per massimizzare i profitti, sono quelle dei costi del lavoro (salari) e di quelle attività che non rivestono una importanza strategica per le aziende.Su queste si opera con processi di terziarizzazione che hanno l'obiettivo di rendere flessibile l'impatto dei costi di quel "processo" sul prodotto, in funzione del suo andamento sul mercato.
Si danno a terzi i magazzini di stoccaggio, chi gestisce la logistica terziarizza a sua volta la distribuzione, si terziarizza il call center ed il centralino, la struttura commerciale subisce delle modifiche per cui si privilegiano agenti monomandatari rispetto a venditori diretti, l'I.T. aziendale viene tagliato e si standardizzano i software ed i processi di lavoro. In sostanza inizia una corsa verso l'efficienza che ha come prezzo, per le persone, un ridimensionamento delle mansioni (che impoveriscono in termini di valore) e del salario.Il valore creato deve remunerare l'investimento azionario.
Qualsiasi riorganizzazione dell'apparato produttivo in questa logica, ammesso che interessi a lor signori veramente, se lasciato in quelle mani perchè dovrebbe produrre risultati diversi in termini di distribuzione del "valore" creato per la comunità?

2- quello che contribuisce a condizionare questo approccio è il mercato finanziario e la deregolamentazione che ha subito.
I nuovi attori che decidono di investire in azioni hanno l'esigenza di massimizzare i profitti in conto capitale.
Sul fronte dell'offerta, la tecnologia ha spinto verso un abbattimento delle barriere che in qualche modo cercavano di rendere più cauti gli istituti di credito e le finanziarie nella concessione dei prestiti.
Il combinato di questi elementi funziona da detonatore di crisi violente. Se da un lato le deregolamentazioni spingono verso una precarizzazione delle fonti di reddito ed impattano pesantemente sulla sostenibilità degli standard di vita degli individui, nello stesso tempo producono aree di affari che il capitale non ignorerà mai nei periodi di espansione (quando è necessario trovare nuove forme di impiego alla liquidità generata dal sistema), ma che è pronto a sacrificare immediatamente nell'istante in cui si realizza in modo negativo il rischio.
Tra gli attori fondi pensione che legano il destino dei propri assistiti alle oscillazioni del mercato.

Se questi sono due elementi fondamentali del contesto economico, con quali proposte si presenta la sinistra (tutta) su questo scenario? E' sufficiente pensare che il contesto possa mutare solo perchè così sarebbe meglio? lasciando a quelle forze strategie e direzione di marcia?Cosa cambia, nella sostanza, per i lavoratori?

venerdì 23 novembre 2007

Statistiche- L'impero nel 1929 ed oggi

Nel 1900 la ricchezza degli Stati Uniti fu valutata 86 miliardi di dollari. Nel 1929 era salita a 361 miliardi di dollari.
Nel 1929 negli Usa c'era un automobile ogni 5 abitanti. In Europa una ogni 84 abitanti.
Quel mercato potenziale attirò l'attenzione dei capitalisti americani che iniziarono ad investire nell'industria europea. la General Motors acquistò azioni della Adam Opel e la Ford iniziò a costruire stabilimenti in vari paesi europei.

Il maggiore generale Smedley D.Buttler ha così descritto la sua opera di custode di quegli interessi negli anni di massima espansione del capitalismo americano:
" ...ho trascorso la maggior parte del mio tempo a fare da gorilla per conto del grande capitale di Wall Street e dei banchieri. In breve, sono stato un gangster al servizio del capitalismo.Ho contribuito a rendere il Messico luogo sicuro per gli interessi petroliferi americani nel 1914.
...ad instaurare ad Haiti e a Cuba un'atmosfera decente per i ragazzi della National City Bank incaricati della riscossione degli utili...Ho contribuito a purificare il Nicaragua per la banca internazionale Brown Brothers nel 1909-1912..."

Nel 1929 il reddito nazionale prodotto fu di 81 miliardi di dollari.
Nel 1932 fu di 40 miliardi di dollari.
Il totale delle retribuzioni delle occupazioni non agricole fu di circa 52 miliardi di dollari nel 1929
Nel 1932 fu di 30 miliardi di dollari.
Il totale del reddito agricolo nel 29 fu di 12 miliardi di dollari
Nel 1932 di 5.

Fatto 100 l'indice di occupazione nel triennio 1923-1925, nel 1929 questo era pari a 106. Scese a 66 nel 1932.
L'indice dei contratti di costruzione passò da un totale di 117 nel 29 a 28 nel 1932.
Le esportazioni che ammontavano a 5241 milioni di dollari nel 29, passarono a 1611 milioni nel 32.

Il numero di corporations (banche escluse) nel 1929 ammontava a 300.000 unità.
200 di queste erano talmente grandi da battere tutte le altre messe insieme.
In quell'anno le 200 resero il 56,8% degli interessi, pagarono il 55,4% dei dividendi,registrarono il 56,8% degli utili netti.
Nel 1933, nonostante la crisi, la fetta delle 200 corporations fu proporzionalmente più grande che nel 1929.
Il loro patrimonio complessivo ammontava a 98 miliardi di dollari.
A queste si univano le 50 che predominavano nel settore finanziario.le relazioni tra il mondo della finanza e quello dell'industria manifatturiera erano strettamente connesse. Ed il controllo della parte finanziaria era molto forte in settori strategici ed ad alto valore aggiunto.
Ad esempio il gruppo Morgan-First National aveva rappresentanti nei consigli di amministrazione di General Electric, United States steel corporation, American telephone and telegraph company etc.

Le condizioni per una marcia senza ostacoli di quel capitalismo erano eccellenti, sia dal punto di vista politico interno che dalla forza che l'economia americana aveva fino ad allora espresso.
Cosa accadde e quale contraddizione si evidenziò in tutta la sua forza?

Cosa c'è di diverso ora?

Qui una analisi di Giorgio Paolucci sulla situazione oggi e sulle sue implicazioni internazionali

Gli Usa, da potenza creditrice a potenza debitrice

Fino a tutti i primi anni 1970 del secolo scorso gli Usa hanno fondato il loro potere sulla forza del loro apparato industriale come dimostra l’attivo fatto registrare dalla bilancia dei pagamenti e dalla posizione netta attiva sull’estero, cioè dalla differenza fra le attività detenute dagli operatori statunitensi all’estero e quelle detenute dagli operatori stranieri negli Usa. A partire già dai primi anni cinquanta, e a un ritmo vertiginoso dai primi anni 1980, le posizioni, però, si sono invertite: il paese che per le sue esportazioni era il più grande creditore del mondo è diventato con le sue importazioni il più grande debitore del mondo. Attualmente la bilancia dei pagamenti, che sostanzialmente rileva l’andamento del rapporto fra importazioni ed esportazioni, registra un deficit di circa 700 miliardi di dollari. Un andamento analogo ha subito anche il bilancio federale che, salvo qualche breve periodo come nella seconda metà degli anni 1990, risulta costantemente negativo. Dal 2000, l’ultimo anno in cui, grazie soprattutto al boom speculativo degli anni 1990, si chiuse con un attivo di circa 235 miliardi di dollari [2], si è passati a un disavanzo previsto per il 2006 di 423 miliardi di dollari. [3]

Non migliore è la posizione debitoria sia delle imprese sia dei privati. Sommati il debito delle imprese e quello dei privati ammontano a oltre trenta miliardi di dollari. Per finanziare questo gigantesco debito gli Usa importano qualcosa come oltre 3 miliardi di dollari al giorno assorbendo così più dell’80 per cento del risparmio mondiale.

Nessun paese al mondo potrebbe reggere un simile debito senza essere travolto dagli alti tassi di interesse che dovrebbe pagare per attrarre una massa così grandi di capitali dall’estero. Gli Usa, invece hanno continuato a ricevere capitali dall’estero anche con tassi di interesse prossimi allo zero. Solo negli ultimi due anni, nel tentativo di sgonfiare gradualmente la bolla speculativa che si è formata sul mercato immobiliare grazie anche al basso costo del denaro, la Federal Reserve ha portato i tassi al 5,25%, circa un punto più alti di quelli fissati dalla Bce per l’area dell’euro, area non gravata però da un simile posizione debitoria e con significativi attivi nella bilancia commerciale. Peraltro, la situazione debitoria degli Usa è molto più grave di quanto indichino i dati ufficiali viziati da un sistema di calcolo che in buona parte occulta le poste in bilancio già impegnate per i dipendenti pubblici e per i programmi pluriennali di assistenza sanitaria e previdenziale. Contabilizzare in modo corretto queste poste nel bilancio americano significherebbe, come ci informa il già citato Dolfini:

… portare il debito pubblico ad un livello pari a circa cinque volte il pil. Secondo i calcoli del Congressional Budget Office (Cbo), 4500 miliardi di dollari sono impegnati per la prima ragione [dipendenti pubblici — ndr], 38 mila sono il valore attuale degli impegni di assistenza sanitaria, 7 mila miliardi riguardano la previdenza. Il Cbo ha anche fatto una simulazione finalizzata a stimare le risorse necessarie per coprire l’insieme di questi debiti: ipotizzando una crescita annua del 3% del pil dal 2005 in poi, sarebbe necessario aumentare la pressione fiscale del 6,5% in maniera permanente. [4]

Come è noto, invece, nei programmi di Bush è previsto di confermare i tagli fiscali varati durante la precedente legislatura. Se ne evince con tutta evidenza che il sistema di finanziamento del debito Usa ormai prescinde dal livello delle risorse interne e si basa quasi esclusivamente sul flusso di capitali esteri in esso investiti nonostante la relativa bassa redditività dei titoli che questo debito rappresentano. Ciò è reso possibile grazie al fatto che il dollaro, a partire dagli anni ’40 del secolo scorso svolge, grazie al fatto che gli Usa sono stati fino a tutti gli ‘70 la prima potenza economica del mondo, il ruolo di moneta di riserva e di mezzo di pagamento internazionale per eccellenza. In dollari infatti sono tuttora denominate le transazioni creditorie e debitorie internazionali, i crediti e i debiti verso l’estero delle banche centrali e la gran parte delle loro riserve, la quasi totalità dei prezzi delle materie prime e in particolare quello del petrolio.

Ma nel secolo appena iniziato i rapporti di causalità si sono capovolti. Oggi gli Stati Uniti rappresentano la prima economia del mondo, nonostante il loro deficit e il loro debito verso l’estero, solo perché il dollaro rimane la moneta di riserva… l’America con le sue importazioni è diventato il più grande debitore del mondo e lo status del dollaro come moneta di riserva svolge una funzione paradossale: quella di consentire ai ricchi americani di venire finanziati dai poveri cinesi e indiani. [5]

In poche parole mentre in passato era la potenza dell’economia americana ad assicurare al dollaro il suo status di moneta privilegiata ora è il contrario: è lo status del dollaro che consente agli Usa di drenare risorse dall’estero ed essere così ancora la prima potenza del mondo. In ultima istanza il fulcro della odierna potenza statunitense è dato dalla dittatura del passato sul presente e che perciò non può prescindere dall’esercizio della forza.

La crescita della spesa militare

Dire forza significa dire soldati, armi, in una: spesa militare. Nel decennio che va dal 1980 al 1990, cioè negli anni cui si è verificata l’inversione dei rapporti di causalità a cui prima si faceva riferimento, le spese per la difesa del solo capitolo delle spese discrezionali, cioè quelle approvate dal Congresso di volta in volta e in cui , come vedremo meglio in seguito, si annida circa il 50 per cento delle spesa militare complessiva, sono raddoppiate passando da circa 250 a 400 miliardi di dollari, segno evidente che al venire meno della potenza economica ha fatto da contraltare il maggior impegno militare. [6]

E da allora questo trend non ha subito inversioni o rallentamenti di sorta.

Per l’anno fiscale 2007, i fondi assegnati direttamente al Pentagono ammontano a 439,3 miliardi di dollari. [7]

Ma, ci avverte ancora Dolfini:

Per avere un’idea corretta delle spese militari è necessario fare una ricognizione dell’intero bilancio federale. Infatti le spese militari in senso stretto — quelle iscritte nel bilancio del Pentagono — rappresentano in realtà il 50% del totale delle spese militari, dando così una versione più edulcorata della realtà. Secondo i calcoli dello storico dell’economia Robert Higgs (gennaio 2004), a queste bisogna aggiungere le poste di “natura militare” inscritte nei bilanci degli altri dipartimenti… Nell’anno fiscale 2002 la somma di tutte queste voci portava il totale degli esborsi defense related a poco meno di 600 miliardi di dollari contro i 35 miliardi assegnati direttamente al Pentagono. Mantenendo la stessa proporzione e considerando le poste straordinarie impegnante per le guerre in Iraq e Afghanistan, nell’anno finanziario 2004 i 400 miliardi di dollari circa iscritti nel bilancio del Dipartimento della Difesa sono diventati circa 750 miliardi di dollari, un livello pari a circa il 180% dell’intero disavanzo federale e a poco più del 110% del disavanzo con l’estero. [8]

Facendo questa stessa ricognizione per l’anno fiscale 2007, i 439,3 miliardi assegnati al Pentagono appaiono veramente come la famosa goccia nel mare. A essi, infatti, bisogna aggiungere altri “50 miliardi quale fondo…

di emergenza per la guerra globale al terrore” che unito ad altre voci porta la spesa totale ancora solo del Dipartimento della difesa a 504,8 miliardi di dollari. Siamo già a metà dell’intera spesa militare mondiale. [9]

Se poi a questa si aggiungono:

… gli oltre 10 miliardi di dollari per il mantenimento e l’ammodernamento dell’arsenale nucleare (iscritti nel bilancio del Dipartimento dell’energia), più altre spese di carattere militare: circa 45 miliardi (ufficiosi) per i servizi segreti, sempre più impegnati “nella guerra globale al terrore”; 38,3 miliardi per i militari a risposo, iscritti nel bilancio del Dipartimento per gli affari dei veterani: 43,5per il Dipartimento di sicurezza della patria si superano così i 640 miliardi di dollari. Ma non è finita. I 50 miliardi di dollari del “fondo di emergenza”, iscritti nel bilancio del Pentagono, rappresentano solo una piccola parte della spesa complessiva per la “guerra globale al terrore”. Finora solo la guerra in Iraq e Afghanistan è costata oltre 300 miliardi di dollari. Per coprire tale spesa si stanziano “fondi addizionali”, che si aggiungono al budget del Dipartimento della difesa. Nell’anno fiscale 2006 vengono stanziati a tale scopo 120 miliardi. Si prevede quindi che almeno altrettanto dovrà essere stanziato sotto forma di “fondi addizionali” nel 2007. I 640 miliardi di spesa militari saliranno così ad almeno 760 miliardi. [10]

E supera i 1000 miliardi di dollari se si tengono in conto anche i fondi stanziati per la “ricostruzione dell’Iraq”, quelli per il pagamento degli interessi relativi ai fondi stanziati e così via. D’altra parte è impensabile un processo di accumulazione del capitale, come è ormai divenuto quello statunitense, basato soprattutto sull’appropriazione parassitaria di plusvalore, senza il supporto della forza e di un apparato militare capace di esercitarla. Infatti, il signoraggio del dollaro, che ne è il presupposto, richiede che tutto ciò che è oggetto di scambio internazionale e che abbia una certa rilevanza nella formazione dei parametri macroeconomici della economia mondiale, sia denominato in dollari anche se è venuto meno il primato economico degli Usa. Il controllo di tutte le fonti di produzione, delle vie di trasporto del petrolio e del suo mercato come di tutte le principali materie prime nonché dei mercati finanziari, è dunque una condizione inderogabile sia per la conservazione del primato imperialistico statunitense sia per la salvaguardia del loro apparato economico-finanziario. Infatti:

Se prima il paese debitore — [oggi gli Usa se non fossero la prima potenza imperialistica — ndr] doveva alzare i tassi di interesse per attrarre capitali allo scopo di finanziare il disavanzo di bdp [della bilancia dei pagamenti — ndr], adesso è lo stesso disavanzo di bdp a generare i dollari necessari al proprio finanziamento, consentendo all’America di tenere bassi i tassi di interesse grazie al continuo acquisto di titoli del Tesoro da parte dei paesi “altri” (il reinvestimento del surplus di dollari in attività produttive è escluso: all’Opec che nel 1973 era pronta ad investire i petrodollari in aziende americane, venne detto, senza mezzi termini, che una simile azione “sarebbe stata considerata alla stregua di una dichiarazione di guerra”). [11]

Si costringe il mondo intero ad acquistare dollari per poter comprare petrolio ricevendone in cambio merci e/o valuta con cui pagare le proprie importazioni, ma si impedisce a chi accumula all’estero, per questa stessa ragione, dollari di trasformarli in attività produttive statunitensi imponendogli l’acquisto di altra carta cioè di buoni del Tesoro. In considerazione di ciò l’antropologo statunitense David Harvey, riferendosi al processo di accumulazione del capitale negli Usa, parla giustamente di “accumulazione per espropriazione”. [12]

Fatto tanto importante che:

Se questa capacità del dollaro scomparisse dall’oggi al domani i consumi in America sarebbero limitati alla produzione interna e i finanziamenti sarebbero limitati al risparmio nazionale [che è inesistente — ndr]: ne seguirebbe una terribile recessione del tipo di quella che ha colpito la Russia nell’agosto del 1998. [13]

Signoraggio del dollaro e spesa militare costituiscono pertanto un binomio inscindibile e insostituibile, pena il crollo immediato dell’impero.



Debito e Impero — art. cit.

[5] F. Arcucci — Per il paradosso del dollaro i poveri finanziano i ricchi — La Repubblica — Affari & Finanza del 9/5/2005 — Per un ulteriore approfondimento delle ragioni per cui i rapporti di causalità — come li chiama Arcucci — fra gli Usa e il mondo si siano capovolti vedi anche L’imperialismo e la guerra permanente — Strumenti di Bc n. 7 — Ed. Prometeo.

[6] Limes -Fonte BushBudget Chartscit.

[7] F. Cantarelli — Il Bilancio Usa, solo cannoni — il Manifesto dell’8 febbraio 2006.

[8] M. Dolfini — art. cit.

[9] M. Dinucci — Noi dobbiamo prevalere — Il Manifesto dell’8 febbraio 2006.

[10] Ibid.

[11] M. Dolfino — art. Cit. — pag 34 Vedi D. Harley — La Guerra Perpetua — Il Saggiatore — 2006.

[12] Vedi D. Harley — La guerra perpetua — Il Saggiatore — 2006.

[13] F. Arcucci — art. Cit.

[14] Da: Il Bilancio Usa, solo cannoni. Art. cit.

[15] Ibid.

mercoledì 21 novembre 2007

Montezemolo ed i terroristi

"E' ora di dire basta ai terroristi o agli ex terroristi che girano in Italia per insegnare i loro valori.In questo paese è ora di ritornare ad un'etica del lavoro....se fossi figlio di quelle vittime del terrorismo, mi sentirei davvero indignato"

Questo è quanto ha dichiarato Montezemolo dall'alto del suo scranno ad Ascoli.
Il nostro va giù pesante con la morale e, come nello spot della Fiat, divide il giusto dallo sbagliato.
Se il moralista lo fa lui abbiamo titoli per farlo anche noi.
Intanto perchè non ci spiega cosa c'è di etico nel suo salario di 7 milioni di euro più stock option di 10 rispetto a quello di un metalmeccanico che, nella migliore delle ipotesi, porta a casa 1.200 euro.

Cosa c'è di etico nel frequentare gente del calibro Eternit, dinastia che a casale Monferrato ricordano per le centinaia di vittime sul lavoro a causa del cancro della loro fabbrica.

Quale è l'etica del lavoro a cui fa riferimento, quella del suo avo Valletta che costruiva reparti di confino in Fiat per operai comunisti, ai bei tempi, oppure di quel capo del personale che si occupava di schedature tra gli anni 70 ed 80?

Potremmo ricordargli anche l'etica di ex amici come Tanzi, per i quali le porte rimangono sempre aperte.
Oppure, parlando di vittime, se la sentirebbe lui di guardare negli occhi i parenti dei 150 operai Fiat che si suicidarono, subito dopo la cura Romiti, a Torino perchè licenziati?

Come dice nella sua ricerca Marisa Lieti "era gente che aveva investito molto emotivamente sul lavoro"

Già agli inizi degli anni Ottanta, mentre lavoravo presso l’Ospedale Psichiatrico di Collegno, per la prima volta nel mondo, la Fiat usò la Cassa Integrazione come “ammortizzatore” sociale, cosicché per molti anni vi furono più di cinquantamila cassaintegrati in tutta la provincia di Torino.

In quell’occasione, in collaborazione con l’Associazione per la Lotta contro le Malattie Mentali e le Confederazioni Sindacali, condussi uno studio su “Cassa Integrazione e Disagio Psichico”, riportando 150 casi di suicidio tra i cassaintegrati e numerosi casi di disagio anche tra i familiari. I più colpiti risultarono essere coloro che, o avevano investito psicologicamente molto sul lavoro, e sono anche i mobbizzati che investono molto sul lavoro, o sul sindacato, per cui l’allontanamento dalla fabbrica era più doloroso (vi furono numerosissimi casi di suicidio fra delegati di fabbrica).

Questo accadeva negli anni ’80.


Se a tanti terroristi in giacca e cravatta è dato di frequentare business school ed università per insegnare i "giusti valori", ci lasci ascoltare perchè qualcuno diventò terrorista e pagò con il carcere questa sua scelta.

martedì 20 novembre 2007

Statistiche-produttività, salari e classe dirigente


Questa è la sintesi dell'analisi che la CGIL ha fatto per indicare di quanto hanno perso, in termini di potere di acquisto i salari, dei lavoratori dipendenti, dal 2002 al 2007.
Manca (nella tabella) la parte relativa alle imposte, e della loro crescita, e di quanto queste hanno contribuito ad un'altra eventuale perdita del potere di acquisto (allocazione di una parte del reddito per pagare più tasse), così come manca un'analisi che evidenzi come il dato medio dell'inflazione si comporta in modo diverso in funzione dei diversi panieri di acquisto tra operai, pensionati al minimo e no,quadri, dirigenti, professionisti, politici ed altre classi di reddito.
Nello stesso tempo ci informano che la produttività del paese non cresce (qui, qui, qui), questo è quello che si diceva nel 2000

Questo è un estratto del documento IRES che compara i dati della produttività tra lavoro e capitale

"Come si vede dalla Tabella 6 , la produttivita nel business sector nel nostro paese é aumentata
dal ’98 al 2007 di poco meno del 3% rispetto all’8,5% della Germania, al 20% del Regno Unito e, addirittura, al 25% degli Usa: la ragione fondamentale di questa mancata crescita della produttivita deriva non dalla produttività del lavoro ma da quella del capitale.
Ora, se si esamina la quota del valore aggiunto che va al lavoro dipendente (che è determinata,
appunto, dal rapporto tra crescita delle retribuzioni e della produttività), si vede che essa è rimasta, in ciascun paese, sostanzialmente costante (o ha registrato oscillazioni limitate) nell’intero periodo.
Questo significa, che il tasso di crescita delle retribuzioni e della produttività nominali sono state in ciascun paese sostanzialmente allineati.
Nel periodo 1993-2006 su 16,7 punti percentuali di crescita di produttività, in termini reali, al lavoro ne sono andati solo 2,2:

Lavoro
2,2 punti
Imprese 14,5 punti


Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat (Contabilità nazionale).

Nei primi anni 2000, in Italia abbiamo addirittura assistito ad un declino della produttività
(mentre negli altri paesi, nonostante la stagnazione dell’economia europea, ha continuato a
crescere), fortunatamente superata dalla ripresa che si é avviata nel 2006.
In questo scenario non si può non rilevare come negli ultimi due anni – grazie ad una
riconquistata competitività internazionale – i profitti delle imprese medio grandi siano tornati a crescere mentre le retribuzioni sono rimaste sostanzialmente al palo. Le medie e grandi imprese del campione Medio Banca (Industria in senso stretto più Commercio), circa mille imprese per circa un milione di lavoratori, hanno registrato una crescita dei profitti netti in particolare nel periodo 2004- 2006. "


In questo scenario si inseriscono due interventi, il primo di Montezemolo il secondo di Andrea Riello. Monti dice che va pagato chi produce di più e Riello che bisogna lavorare di più.
Monti, in modo retorico, racconta che " fa danni molto gravi chi vuol contrapporre l'interesse dell'impresa a quella dei lavoratori"
Parole in libertà. Se quella che manca è la produttività del capitale(vedi anche le considerazioni di Andrea Agostino su produttività ed uso delle nuove tecnologie) vuol dire che quello che manca (per stare dentro la logica efficentista del capitalismo) è un manico (classe dirigente) adeguato alle nuove sfide, e non soltanto predatore. Anche perché, nella redistribuzione della ricchezza, quelli che non hanno sofferto sono proprio i dirigenti delle aziende (in prima fila top manager), i profitti e le rendite in genere.

Tornando ad un approccio più di sistema consiglio la lettura delle tesi sulla crescita lenta e della deindustrializzazione di Rowthorn e Wells con due domande:
1) " non è che il tasso di produttività collide con l'abbassamento del tasso di disoccupazione"?"
2)"le delocalizzazioni di attività manifatturiere, ed il contestuale mutare del mix tra peso dei servizi e produzione manifatturiera, quanto contribuiscono al declino del paese?"

Rimangono due questioni:
1- il contributo dato dal sindacato a questi risultati
2-la mancanza di una analisi, da parte della sinistra alternativa, che prenda come punto di partenza la irriversibilità del "declino" e ne faccia uso per proposte politiche adeguate.

Per quanto riguarda la prima questione, il ruolo del sindacato è sempre più quello di un gestore delle trasformazioni in atto. Le analisi sono fatte in modo partecipativo rispetto alle logiche del capitale. In questo trovano la prima contraddizione. Se la logica è quella, la razionalità che vince in quei processi è il liberismo senza se senza ma ed a quello tocca adeguarsi.Portando fino in fondo i processi di trasformazione in atto. Qualsiasi tentativo residuo di provare a distribuire briciole non fa altro che diminuire l'efficienza del sistema.
Il suo contrario è una prospettiva di conflitto radicale. Partendo dalla questione del salario e del modo in cui la ricchezza si accumula e viene distribuita, fino ad arrivare ai mezzi di produzione.

Per quanto riguarda la seconda, la debolezza dell'analisi è nel non vedere come cambia il contenitore all'interno del quale il capitale si muove. La sua dimensione sovranazionale ed i confini che, per quanto lo riguardano, non esistono più.



Il paese che c'è

Nel 1975 presenta domanda per essere assunto come bidello. Nel 1992 muore per infarto dopo 20 anni di Fiat. Viene chiamato per quel posto di bidello nel 2007. Avrebbe avuto più di 60 anni.
Il dottor Catania, dirigente dell'ufficio scolastico provinciale di Torino, si dilunga in una articolata spiegazione per dire" E' tutto regolare".
Io sogno.

lunedì 19 novembre 2007

Statistiche- reclusi,omicidi e società americana



USA 743
RUSSIA 713
NEW Zealand 180
Australia 163

Inghiterra 124
Turchia 107

Canada 102
Germania 98

Italia 92


I numeri che vedete indicano la classifica di quanti sono i reclusi per 100.000 abitanti dei primi nove paesi .
Rispetto al 1982 il numero dei reclusi negli USA è triplicato.

Se questo è vero, e se esiste una correlazione tra repressione e delitti, qualcuno mi fornisca una spiegazione su questo grafico (situazione negli USA):


Questo indica l'andamento degli omicidi dagli anni 50 in poi (USA).



In sintesi:
  • il numero di crimini con armi da fuoco ha avuto un picco nel biennio 92/93.Non sembrano esserci scostamenti rilevanti negli altri periodi (però aumenta il numero dei reclusi).

  • Gli omicidi hanno avuto un picco a partire dagli anni 70 fino ai primi anni 90.
C'è una strana relazione temporale con due avvenimenti storici:
  • aumento degli omicidi e fine della guerra nel Vietnam,
  • diminuzione degli omicidi ed inizio delle avventure nel deserto.
Che in realtà la guerra, per lor signori, non sia altro (o anche) che una valvola di sfogo per una società un pò violenta?

Statistiche- si salverà l'Argentina? Test per futuri economisti


Questa è la situazione economica dell'Argentina in una fotografia sintetica fino al 2003.

Questo è quanto scrive il sole 24 ore sulla situazione in prospettiva.

"Il candidato alla presidenza argentina, Cristina Fernandez, moglie dell'attuale capo dello Stato, Nestor Kirchner, ha già iniziato il giro d'onore, tre mesi prima del voto: ieri era a colazione con il re di Spagna, Juan Carlos. Del resto, lei stessa non disdegna, come ha spiegato «Il Sole-24 Ore» del 17 luglio, di farsi chiamare "la Reina", la regina.
Largamente favorita per succedere al marito, che cosa è lecito aspettarsi, per gli investitori coinvolti nel 2001 nel default dei cosiddetti tango bond, da una Presidenta Kirchner? Chi ha ancora le vecchie obbligazioni presumibilmente dovrà attendere fin dopo le elezioni e sperare che la signora faccia quel che il marito non ha mai voluto fare, cioè proporre loro qualche accomodamento. Prematuro ipotizzare come si muoverà.
È più interessante invece osservare le ripercussioni già in atto per i risparmiatori che nel 2005 hanno accettato lo scambio proposto dall'Argentina dei titoli in default con nuovi titoli. Il taglio del valore nominale originario fu brutale: quasi il 70 per cento. Ma ai nuovi bond era attaccato un warrant, la cui cedola è legata all'andamento del Pil argentino. E siccome questo è andato a gonfie vele(+9,2% nel 2005, +8,5 nel 2006), la prima cedola ha rappresentato una vera ciambella di salvataggio per chi ha aderito allo swap.
L'aspettativa di una continua espansione ha fatto sì che il prezzo dei warrant, o titoli Pil, raddoppiasse nell'ultimo anno e mezzo. Da un paio di mesi a questa parte c'è stata però una brusca inversione di tendenza: la crescita è destinata a rallentare quest'anno al 7% circa e poco meno che dimezzarsi l'anno prossimo. Perché? Il sintomo più evidente sono stati i blackout energetici delle ultime settimane, che hanno semiparalizzato l'industria (per minimizzare i disagi alla popolazione in un anno elettorale) e la causa sono anni di investimenti insufficienti. Questi dipendono a loro volta dalla politica di blocco delle tariffe decretato dal Governo. I nodi stanno venendo al pettine nel momento meno propizio. Così come il tentativo di controllare l'inflazione non con la politica monetaria (anche i tassi alti sono impopolari), ma congelando i prezzi, o, ancor peggio, decapitando i vertici dell'istituto di statistica e manipolando gli indici dei prezzi.
È un caso che il rischio-Paese dell'Argentina, vicinissimo a quello del Brasile dopo lo swap, oggi sia più del doppio? Nestor Kirchner ha speso il suo mandato e i frutti di una ripresa e di una congiuntura eccezionale cercando di aggirare le leggi dell'economia: che non saranno ferree come quelle delle fisica, ma prima o poi finiscono per riaffermarsi. Districare l'Argentina dalle conseguenze delle azioni del marito toccherà alla moglie. Sperando che a pagarne il prezzo non siano ancora una volta i risparmiatori."

Se foste il presidente dell'Argentina cosa fareste?
Nelle leggi dell'economia sono contemplati i costi sociali?

venerdì 16 novembre 2007

Statistiche- quelli che si suicidano

Il mondo globalizzato, e lo spirito liberista che lo anima, ama misurare tutti i fenomeni in modo arido ma incisivo.
Usa tabelle di numeri e grafici a mille colori. Torte ed istogrammi, grafici a barre o lineari sono il modo migliore per dare subito l'immagine di quello che un certo fenomeno rappresenta nelle sue tendenze.
Su quei dati si elucubrano teorie. Il dubbio che ho è che non entrino mai in quella che è l'essenza del fenomeno che vogliono descrivere.

Inauguriamo oggi un piccola rubrica che darà solo numeri. Pochi dati, nessuna conclusione che lasceremo a chi vorrà commentare, solo qualche cenno un pò più di dettaglio che cerchi di inquadrare meglio l'oggetto del nostro post.Legato a questo qualche episodio di vita, trovato nel quotidiano,che ci ha colpito.

Oggi trattiamo dei suicidi dei soldati americani reduci dall'Irak e dall'Afghanistan e di quello che è accaduto ieri a Torino

Numero caduti al fronte dal marzo 2003
3.863
Soldati suicidi nel solo 2005
6.256
Tasso di suicidi negli USA su 100.000 persone
8,9
Tasso di suicidi reduci
18,7
Media giorno
17
Fascia di età critica
20/24 anni

Torino, 15 novembre

Andrea aveva 18 anni, frequentava con profitto il liceo scientifico.Era coinvolto nella parrocchia del suo quartiere, suonava la chitarra durante le funzioni ed era impegnato nel sociale. La sua famiglia quel che si dice "senza problemi di sorta".
Ieri ha lasciato un messaggio sul suo diario:
"Perdonami, mi sento un fallito.Sono troppo debole per affrontare la vita"
Dopo di che si è lanciato dal suo balcone in via Martorelli.

martedì 13 novembre 2007

I beati

Beata è la guerra quando è santa

Beati sono i nobili ed i padroni specie se sono comunisti

-Rino Gaetano- le beatitudini

lunedì 12 novembre 2007

I manager pubblici di casa nostra

Infine i tetti degli stipendi dei manager pubblici, Rai esclusa. Rifondazione ha chiesto e preteso un tetto massimo di 274 mila euro all'anno. I diniani hanno strappato che le retribuzioni verranno decurtate gradualmente anno per anno del 25 per cento della differenza tra lo stipendio percepito e il tetto massimo stabilito fino a raggiungere la nuova soglia. Una riduzione più soft nell'arco di quattro anni. "In più ci saranno 25 posizioni in deroga, da individuare" incalza Russo Spena, "ancora un nostro passo indietro rispetto alle richieste di Dini che se stasera riceve una telefonata poi domani alza nuovamente la posta". Russo Spena la definisce "la peggio politica", quella di chi "deve decidere in poche ore se gli convenga restare in una coalizione o passare il confine".

Non si fa attendere la replica di Dini: "Ricordo al senatore Russo Spena che Rifondazione comunista, il partito del 'tassa e spendi', è il vero peggio della politica". E così si va avanti.


Questa è la cronaca, tratta dalla Repubblica, del livello qualitativo e strategico (per le sorti del paese) che alberga nella testa di qualche usurato politico di casa nostra.
In sostanza un signore, che ha qualche amico a cui garantire rendite di posizione, punta i piedi sul tetto agli stipendi per i manager pubblici.
E' la quantità che fa la qualità degli uomini e, quindi, maggiore è il loro guadagno maggiore è il loro spessore di manager. Che i risultati dicano altro, vedi Alitalia e Ferrovie dello Stato, non conta. Lor signori quando escono dal palazzo lo fanno dal portone. Quello grande che garantisce laute liquidazioni milionarie.
Io credo che se mandiamo a casa il 70% dei manager pubblici non cambia nulla per le sorti delle aziende. Qualcuno di voi ricorda gente del calibro di Chicco Testa? E' uno passato da una poltrona all'altra. Il suo valore aggiunto? Pari a zero.
Questi signori consumano reddito e non producono nulla.

Ieri c'era l'intervista dell'amministratore delegato Enel nella pagina economica della Stampa.
Costui trattava la materia indicando tra le opzioni necessarie a risolvere la carenza ed i prezzi del petrolio ,ed i probabili shock energetici, quella del nucleare. Due sere prima il professor Bardi, sull'argomento, indicava che anche questa fonte di energia (uranio) è in via di esaurimento.
La questione è semplice, uno dei due dice cazzate. Dopo aver letto le considerazioni di Bardi attendo quelle dell'uomo Enel. A cui per tranquillità sospenderei le prebende.

Un'ultima nota sui guitti che ci allietano le serate. Perchè Pippo Baudo, o quella specie di ameba di Fazio, passando da Banigni, devono incazzarsi se gli limano lo stipendio?
250.000€ vi sembrano pochi? Dicono che andranno tutti dall'amico cavaliere. Dirgli che non ci frega un cazzo?

venerdì 9 novembre 2007

Le donne, la violenza, romeni e rom

Ricevo e pubblico da wumingfoundation

Invitiamo tutti quanti a leggere e diffondere l'editoriale di Valerio
Evangelisti pubblicato oggi su Carmilla:
http://www.carmillaonline.com/archives/2007/11/002437.html

Intanto diciamo due parole anche noi.

Atmosfera da pogrom. Nel 1997 accadde qualcosa di molto simile con gli
Albanesi - se non peggio, perché in quel caso non c'era nemmeno un
omicidio con stupro a fare da detonatore, soltanto disperati che
fuggivano in massa da un futuro di merda.

Siamo andati a ripescare gli articoli di allora: governo Prodi, Veltroni
vicepremier, fiumi di inchiostro sul popolo di sinistra che si scopre
razzista e tutto sommato non diverso dall'elettorato della Lega Nord, un
decreto xenofobo varato su pressione del centrodestra e condannato dalla
comunità internazionale (in quel caso la possibilità, per la nostra
Marina, di bloccare navi albanesi anche fuori dalle acque territoriali
italiane), infine una strage (terribile, più di cento albanesi morti
annegati nel canale d'Otranto, quasi certamente speronati da una nave
italiana, caso immediatamente insabbiato e rimosso dalla coscienza
collettiva).

***

La sovrapposizione totale tra Rom e cittadini della Romania è un
processo di "identificazione" che lascerebbe attoniti, se qualcosa fosse
ancora in grado di attonarci.

I Rom non sono tutti rumeni e non tutti i cittadini rumeni sono Rom. I
Rom in Romania sono il 2,46% della popolazione. Il nome "Romania" deriva
dalla storia delle conquiste imperiali romane, mentre il termine "rom"
nella lingua romané (lingua di ceppo indo-ariano) significa "uomo",
anzi, più precisamente significa "marito" (e "romni" significa
"moglie"). Esistono individui di etnia Rom in quasi tutti i paesi
dell'Europa sud-orientale, e molti vivono anche in altri continenti.

L'identificazione surrettizia tra etnia e cittadinanza (oramai accettata
anche "a sinistra") emana sempre un fetore nazista: gli ebrei non
potevano essere tedeschi, polacchi, russi, italiani... erano ebrei e
basta, quindi "allogeni", e il corpo sociale andava depurato da quella
tossina. E una nazione che tollera un gran numero di allogeni non può
che essere allogena essa stessa.

Peccato che in Romania gli unici veri "allogeni" siano i padroni
italiani che hanno chiuso baracca e burattini in Italia per andar là a
sfruttare una manodopera sottopagata e priva di diritti. Categoria di
cui si è fatto rappresentante, poche settimane fa, il demagogo Beppe Grillo.

***

Sulla base di cosa, poi? Del fatto che i Rom/rumeni sono delinquenti,
stupratori, assassini che hanno valicato i "sacri confini" della Patria
e oggi seminano il terrore.

Peccato che stupro e ginocidio (= assassinio di donne) siano una
specialità molto italiana. Secondo dati ISTAT del 2005, nel 20,2% dei
casi denunciati (che a loro volta sono solo il 43% dei casi segnalati)
lo stupratore è il marito della vittima; nel 23,8% il colpevole è un
amico; nel 17,4% è il fidanzato; nel 12,3% è un conoscente. Soltanto nel
3,5% dei casi il colpevole è un estraneo.

Lo ripetiamo perché suona vagamente importante: soltanto nel 3,5% dei
casi denunciati il colpevole di stupro è un estraneo.

E secondo il Soccorso Violenze Sessuali della Clinica Mangiagalli di
Milano, il 50% delle vittime di stupri che avvengono in strada sono
donne straniere.

Ma ovviamente fa notizia soltanto il caso (terribile ma sporadico) della
donna italiana aggredita dallo straniero, dal barbaro, dall'allogeno.

Quanto agli omicidi, poco tempo fa il Procuratore di Verona Guido
Papalia ha dichiarato: "Oramai uccide più la famiglia che la mafia."

In Italia i carnefici delle donne sono sei volte su dieci italiani,
italianissimi, e agiscono tra le mura domestiche, con armi da fuoco o
coltelli da cucina, strangolando o picchiando a sangue, appiccando il
fuoco o annegando nella vasca da bagno.
La media italiana è di 100 uxoricidi all'anno.

Però il problema sono i rumeni.

Che razza di paese è quello dove il Palazzo e la Piazza si
scontrano/incontrano/aizzano a vicenda sulla base della stessa condivisa
ignoranza, senza pudore, senza rispetto, obnubilati da un razzismo e
provincialismo ottuso, che fa sembrare Peppone e Don Camillo due
illuminati cosmopoliti?

E' l'Italia. Non c'è modo di definirlo. Questo posto è unico al mondo e
non regge paragoni, fa categoria a sé, ogni aggettivo è inadatto,
superato dalla notizia di domani.

E nel frattempo?
Aspettiamo la strage?
Va bene, purché sia /Democratica/.

------------------

"Un topo, credendo che la nave stesse per fare naufragio, si tuffò in
mare. Ma la nave non affondava. Il topo la inseguì a nuoto, protestando,
e già pensava di fondare un partito nuovo, ma un pescecane lo inghiottì."
(Gianni Rodari)

martedì 6 novembre 2007

Business e morale

Una multinazionale olandese ha brevettato "la dieta" dei Boscimani. Ha, in pratica, studiato come si alimentano, ne ha ricavato i "segreti" e ne ha brevettato il mix degli alimenti che la compongono.In questo modo può produrre medicinali che , in modo naturale, utilizzano gli stessi principi e le stesse "fonti" alimentari. Quei medicinali aiutano, noi occidentali, a non avvertire i morsi della fame e vengono utilizzati per le diete.
Il brevetto impedisce, in questo modo, ai Boscimani di fare commercio di ciò che è parte della loro alimentazione (piante. semi, frutti etc,).
La sola società che ha diritto a questo è la multinazionale.

L'uso di piante e di alimenti che attenuano i morsi della fame o il senso di spossatezza e fatica è proprio di culture e popoli in cui lo sforzo fisico, e la carenza di alimentazione disponibile domina il quotidiano delle persone. In Perù ho masticato foglie di coca perché così si resiste all'altitudine ed allo sforzo di camminare in montagna. Lo fanno da secoli i pastori ed i contadini. E' scienza che si tramandano da padre in figlio.

Quello che a questa gente manca è l'orientamento al cliente. Il marketing.La capacità di sfruttare quello che vedi in giro e che è disponibile a fini commerciali.
Anche quello di fare della salute e dell'arte di stare bene un business.
Una cosa di questo genere oggi non fa notizia. Troppo impegnati alla produttività che ci manca per occuparci di sani principi e di rapine ai danni dei più deboli.

lunedì 5 novembre 2007

Fini lo xenofobo e quelli come lui

Un fascista, strumentalizzando una tragedia, chiede leggi più dure nei confronti di chi arriva da noi e non è in grado di sostenersi.
Poichè è povero è un potenziale delinquente in quanto la "roba" di noi gente infaticabile è lì a portata di mano e potrebbe soddisfare le sue esigenze di sopravvivenza.
In questo, al povero, gli si toglie il diritto di arrangiarsi lavando vetri e chiedendo l'elemosina. Così come di abitare in una capanna sulla riva di qualche fiume puzzolente. tempo fa dalle parti di Settimo Torinese il progressista sindaco della margherita, con il supporto della giunta, raggiunse il nobile obiettivo di far sgomberare un campo nomadi nel quale alcune associazioni di volontariato erano riuscite a far andare a scuola i bambini ed a fare frequentare l'ambulatorio alle mamme.
Siamo persone civili, abituate ormai a trattare queste cose "terrorizzati" da ciò che gli stracci di quelle persone rappresentano.
Un delitto di un singolo serve a scatenare un'ondata xenofoba contro un'intera comunità. Non contenti siamo tanto infami da andare a casa loro e registrare le parole di quelli che si vogliono differenziare e che dicono "non siamo tutti così, sono loro il problema" In pratica alimentiamo altra xenofobia.
Adesso è toccato ai Romeni, ieri era l'ora degli albanesi.
Il fascista, che della storia della Romania e dell'Albania dovrebbe sapere qualcosa, non è contento di quello che il nostro governucolo si appresta a sfornare. Lui vuole cose più dure. Vorrebbe cacciarli in massa. A me questa gente fa schifo.
Spulciando tra le tante cose che si dicevano di noi, tralasciando il classico "mafiosi", ho ritrovato qualcosa dei nostri cugini d'oltralpe ed un episodio che ha riguardato la nostra comunità in Sud America. Buona lettura





"Si vous passez, à l'heure de midi, vers Mont-Saint-Martin ou Villerupt, près d'une des cantines italiennes, votre odorat est désagréablement chatouillé par des odeurs d'abominables ratatouilles. Des vieilles sordides, à la peau fripée et aux cheveux rares, font mijoter des fritures étranges dans des poêles ébréchées. Et les bêtes mortes de maladie ne sont pas enfouies, elles ont leur sépulture dans les estomacs des Italiens, qui les trouvent excellentes pour des ragoûts dignes de l'enfer"
(L'Étoile de l'Est du 24-7- 1905)

"Cet assassinat (du président Sadi Carnot par un anarchiste italien) a été commis par un Italien - et nous autres Français supportons sans rien dire la présence de ces êtres infects dans nos usines où ils occupent la place d'honnêtes ouvriers français qui meurent de privations et de misère. Depuis longtemps nous avons l'intention et le désir de nous débarrasser de cette vermine" Signé Tricoire (29 juin 1894), Archives de la Préfecture de police de Paris, BA 995.

Non tutti però sanno - ci scrive Antonio Fossati dell´Associazione Emilia-Romagna di Asunción - che gli italiani sono stati protagonisti di un evento drammatico che ha segnato la storia del Paraguay. Il fatto, ricordato come la noche triste de los italianos, è stato ricostruito dallo stesso Fossati sulla base delle informazioni contenute in un volume apparso nel 1925, Sobre los escombros de la Guerra ("Sulle macerie della guerra") di Hector Francisco Decoud. Ma si tratta - avverte Fossati - della versione dei fatti fornita dalla parte lesa: non conosciamo su questo il pensiero degli italiani.
Tutto comincia l´11 settembre 1870, quando il primo organo di stampa indipendente del Paraguay, La Regeneración, pubblica la notizia di un assassinio di cui è accusato un italiano. L´informazione è falsa (il colpevole è un argentino di nome Duarte), pertanto la comunità italiana presente nella capitale chiede al giornale la rettifica. Il direttore José Juan Decoud acconsente, ma limitandosi a smentire l´accaduto senza aggiungervi ulteriori commenti, come invece esigono gli italiani. Per questo, sei connazionali si presentano alla sede del giornale in Calle Palma chiedendo la pubblicazione di un testo ulteriormente chiarificatore, scritto da loro stessi. Al rifiuto della redazione segue una concitata riunione degli italiani nei pressi del porto, dove si radunano oltre 200 persone armate di pistole, asce, pugnali e coltelli acquistati nelle vicine botteghe.
Quando la nave ammiraglia brasiliana ancorata nel porto suona con due scampanate, come ogni giorno, le cinque della sera - ora fatale, secondo Federico Garcia Lorca - la città sguarnita e provvisoriamente priva di guida politica, piomba nell´anarchia. Gli italiani in colonna marciano verso il giornale, si introducono da una via laterale nelle officine stampa, dove trovano i tipografi al lavoro, e raggiungono il cortile dell´edificio in cui abitano i proprietari, la famiglia Decoud. Entrati nello stabilimento con le fiaccole accese e le armi in mano, gli italiani si imbattono nei dipendenti che stanno tentando di fuggire. Bloccano un tipografo, Fernando Araujo, e gli intimano per quattro volte di gridare "Viva l´Italia!". "Non ci penso proprio - risponde sempre il fotografo. Sono brasiliano e non ne ho motivo". Viene allora pugnalato e trascinato in strada moribondo. Stessa sorte tocca a Roberto Sali e Manuel Rivero, tirati fuori dal bagno dove si erano rifugiati e ammazzati per il loro rifiuto di gridare "Viva l´Italia!".
Pedro Miguel Decoud, stanato dalla sua stanza a colpi d´ascia, è abbattuto mentre grida "Viva il Paraguay!". Javier Denis e i fratelli Hector Francisco e Diogenes Decoud ricevono pistolettate nel trambusto generale, mentre sta arrivando la polizia. Diogenes si salva gettandosi in strada. Un altro uomo, alla solita richiesta, risponde con una battuta che fa ridere gli assalitori e gli risparmia la vita: "Viva l´italiana Caterina! Le voglio tanto bene che la tengo come amante!". Gertrudis, la serva dei Decoud, viene sorpresa in una stanza mentre recita il rosario. Agitatissima, urla "Viva l´italiano!" e si prende una manganellata in testa. Allora si corregge: Viva la italiano kuéra!, "Viva tutti gli italiani!". Un portoghese, nascosto fra i cassoni vuoti mentre gli italiani sfasciano presse di stampa, casse dei caratteri, armadi, libri, materassi, scoperto si mette a gridare "Viva l´Italia!" con tanta forza che deve essere zittito dai poliziotti nel frattempo entrati nell´edificio.
A questo punto, comincia la vendetta. Gli italiani vengono setacciati casa per casa. Sono gli stessi vicini ad indicarne le abitazioni agli agenti. Questi sparano alle porte o le buttano giù con il calcio dei fucili. Da dentro, si sentono voci imploranti: "Io no, non ho fatto niente!". Al porto viene abbattuto tutto ciò che è italiano. I nostri connazionali rispondono e uccidono il capitano Manuel Fraga, comandante delle forze argentine in Paraguay. Alle nove di sera sono già 148 gli italiani arrestati.
La retata è completata nella notte, ma solo la mattina dopo si possono tirare le somme della noche triste de los italianos: 16 morti e 13 feriti gravi. In realtà, il numero reale delle vittime è tenuto nascosto per non dare occasione a ulteriori disordini. "Malgrado questi fatti - conclude Antonio Fossati - la diaspora italiana, superando i vari regionalismi, si è mantenuta fedele alla propria cultura e tradizione pacifica, apportando con generoso lavoro e spirito di sacrificio un messaggio di integrazione ed armonia in ogni luogo in cui i connazionali hanno avuto la sorte di vivere".
In Paraguay c´è una fortissima voglia di aprirsi al mondo e di conoscere. Il Paese ha ospitato un´emigrazione italiana differenziata e poco conosciuta.
www.mantovaninelmondo.com/storia/paraguay.htm

domenica 4 novembre 2007

Poesia anarchica



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Lo sterco

Di cosa dovremmo discutere di grazia? Su cosa dovremmo confrontarci?Quale punto di mediazione dovrei trovare con uno xenofobo, un razzista?
Mi vengono in mente queste cose quando leggo post come questo.
Dopo averci informato che hanno l'anima candida per cui aiutano anche quelli come gli extracomunitari, dicono che dobbiamo vergognarci. Chi? Noi? E perché?Non lo abbiamo mica noi il problema di ridurre questioni complesse a formule elementari, utilizzando lo sfintere al posto del cervello.Non abbiamo mica noi il problema della repulsione verso ciò che è straccione e che dovrebbe, alla fine, starsene a casa sua per non rompere i coglioni.Quello di trattare le persone come categorie e non come uomini e donne, con le loro debolezze e le loro infamie.

Certo è dura avere come compagni di viaggio gente così. Ma questa non è una corriera ed io con questi non voglio dividere nulla. Ma proprio nulla.Questo perbenismo codino, fatto di distinguo e di cose dette ma non fino in fondo. lasciate lì in trasparenza. Senza il coraggio di dire "Rom di merda", ma solo quello di prendersela per interposta persona con chi ha fatto una visita in una galera.

La soddisfazione che mi offre questo spazio, che è solo una vetrinetta appannata, è quella di dire "sei solo un lurido fascista". La differenza è che quelli menano e si assumono almeno il rischio di prendersele. Tu ti nascondi dietro le pianticelle dell'ulivo.E sei sterco.


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sabato 3 novembre 2007

Io penso positivo sul partito democratico

Io penso positivo su Uolter............ ed anche su Kilombo.



giovedì 1 novembre 2007

La produttività

Tra le tante cose che ho fatto mi sono occupato (anche) della questione produttività e dell'individuazione degli indici necessari alla sua misurazione. Il settore in cui ho trattato questi aspetti è quello della logistica e della distribuzione di merci. Le funzioni per le quali ho prodotto i miei lavori sono state quelle dei settori commerciale ed operativo (movimentazione merci, lay out magazzini di stoccaggio ed ottimizzazione degli spazi, distribuzione e sistemi hub).

La materia è complessa; quando sento fior di ministri e di economisti occuparsene la mia curiosità "intellettuale" viene stimolata.
Mi chiedo: ma come faranno in un ambito così complicato come è quello dell'economia a migliorarla?
Ricordo che, per quanto mi riguardava, la variabile che immancabilmente frustrava tutte le simulazioni, ed i modelli che si studiavano, era quella della risposta del mercato(sia quello dei clienti per cui si curava la logistica che il nostro).

Il mercato delle merci che i "padroncini" distribuivano influenzava direttamente la loro produttività in funzione, ad esempio,delle quantità trasportate e del frazionamento sul percorso (oltre che per la natura della merce,trasportare e distribuire documenti è cosa diversa rispetto a trasportare vino) ed indirettamente in funzione della domanda di quei prodotti.
Su questo la capacità di organizzare le linee di distribuzione non poteva avere influenza. Se l'azienda cliente falliva la sua campagna di vendita, automaticamente il sistema diventava improduttivo perché le quantità da distribuire si limitavano di molto e l'incidenza dei costi lievitava.
Intervenire ristrutturando le linee accorpandole ( al posto di due furgoni solo uno)poteva mettere in crisi la qualità del servizio erogato.E questo a cascata poteva influenzare, in negativo, la vendita dei servizi dell'azienda di logistica (minori clienti=minori merci).Non parliamo poi dei fattori esterni come le condizioni climatiche, il traffico, gli incidenti lungo il percorso etc.
Ho semplificato per rendere l'idea.

Ho invidia, quindi, per tutti quelli che sulla materia hanno idee chiare e che a questo pensano di legare il reddito delle persone.
Ho dato un'occhiata a ciò che si pensa sull'argomento. Il primo che ho analizzato (sommariamente) è l'argomento del prof. Ichino. Secondo lui il sistema paese deve migliorare anche migliorando la produttività dell'amministrazione pubblica . In una sua intervista il luminare afferma:

Il problema cruciale è la valutazione dell’efficienza e produttività delle strutture e delle singole persone. Oggi il sistema degli incentivi e delle sanzioni non può funzionare perché non ci fidiamo della valutazione della dirigenza attuale. L’unico modo per uscirne è istituire in ciascun comparto dell’amministrazione pubblica un organo di valutazione indipendente (OIV), “terzo” tra la dirigenza e chi ne dipende. Poi, attivare un sistema efficace di incentivi economici. Per esempio, i prossimi aumenti contrattuali potrebbero essere distribuiti così: metà dell’intero importo al 25% più efficiente in ciascun comparto e in ciascuna categoria; l’altra metà al 50% intermedio; nulla al 25% meno efficiente. E questo ultimo 25% deve essere anche trasferibile più facilmente di quanto lo sia oggi.

- Ma il sindacato non accetterà mai di lasciare il 25% dei suoi rappresentati senza aumento contrattuale.

In tutti i comparti dell’amministrazione pubblica, a cominciare dalla dirigenza, c’è una vasta zona di inefficienza. Il sindacato deve decidere se privilegiare la difesa di questa parte dei dipendenti pubblici, o la difesa di quelli che sgobbano per due, che tirano la carretta, che tengono in piedi l’intera baracca. Oggi, di fatto, il 25% più efficiente è gravemente penalizzato dall’egualitarismo con cui vengono determinati i trattamenti.

- Come è possibile “misurare” la produttività di un dipendente pubblico, il cui lavoro non produce beni o servizi dotati di un prezzo di mercato, come avviene nel settore privato?

Per gli impiegati, non sempre “misurare” è possibile. Ma “valutare” sì; e anche ordinare i dipendenti in base alla maggiore efficienza e produttività, desunta da una serie di indici che vanno dalla mole di lavoro svolto alla regolarità e puntualità della presenza in ufficio, all’apprezzamento espresso dagli utenti. Questo dovrebbe essere il compito dell’OIV. Per i dirigenti il discorso è più semplice: la loro efficienza e produttività si identifica con quella della struttura di cui sono responsabili. Ancora più semplice, poi, è il discorso per l’individuazione dei nullafacenti totali volontari, come il prof. M. di cui ho parlato sul “Corriere”: quelli, tutti sanno chi sono e quando si esamina il loro caso li si riconoscono subito."


In buona sostanza Ichino afferma che "misurare non è possibile (sempre), e tocca marginalmente la questione legata alle strutture ed alla organizzazione.Supera la questione dicendo che, però, si può valutare (ed ordinare i dipendenti in base alla maggiore efficienza e produttività) e propone tre strumenti:
-mole del lavoro svolto
-puntualità
-valutazione degli utenti

A me viene da ridere se argomenti così seri vengono trattati in modo così banale.Intanto perché si parte da una constatazione (misurare non è sempre possibile) per reintrodurre il concetto di efficienza e produttività che se non ha come riferimento dei dati oggettivi e misurabili non ha alcun significato.
Poi perché propone:
1- il rispetto dell'orario (elemento formale e non di sostanza, posso essere puntuale e non fare un cazzo),
2- la mole del lavoro svolto (su cui dovrebbe calcolarsi l'incidenza della così detta curva d'esperienza del dipendente, della qualità informatica del sistema e del modo in cui si processano le attività, tutta roba che incide sulla prestazione ma che è governata al 90% da fattori esterni al lavoratore),
3-la valutazione degli utenti- customer satisfaction (ho l'impressione che chiunque faccia una coda dia una risposta negativa sulla qualità del servizio a prescindere dall'impiegato).

Quello che Ichino sa è che su questa materia incide in modo determinante il modo in cui si organizza un'attività a monte ed a valle , spaccandola ed analizzandola, al fine di individuare i "percorsi" logici, i tempi giusti e gli strumenti di supporto necessari.
Solo che il problema di Ichino è quello di fare solo "demagogia" e non fornire soluzioni operative (probabilmente anche perché non saprebbe come fare), fare una battaglia contro l'egualitarismo di stampo ideologico e parlare della necessità di abbassare i salari.E vendere libri.

L'altra questione riguarda la produttività e la necessità di migliorarla perché questa automaticamente significa maggiori risorse da distribuire. Intanto partiamo da come l' economista Giovanni Mazzetti la tratta rilevandone una incongruenza misurabile.

"Non viene compresa la funzione economica della produttività ?

Esatto E allora il problema è il costo del lavoro che deve essere contenuto. Già quando si dice che le pensioni devono essere « commisurate ai contributi » si accetta che il denaro è « misura adeguata » della disponibilità di risorse. Si torna a ragionare come nel 1920, prima di Keynes. Ad esempio, per misurare la produttività si prende il Pil e lo si divide per il numero delle ore lavorate ; però l’aumento della produttività determina anche una diminuzione del valore del prodotto. Un computer dieci anni fa costava il triplo di oggi, ma ora consente di fare molte più cose tutte insieme. Chi è fermo su quella definizione di produttività non vede che è aumentata perché il prezzo non la registra. Se prendi come misura il Pil, non puoi misurare la variazione di produttività, che pure crea ricchezza materiale. Se pensi che per creare ricchezza prima devi avere « i soldi », ecco che cadi nel circolo vizioso. Invece Keynes - e ancor prima Marx, che diceva che i « lavoratori devono appropriarsi del proprio plusprodotto » - ha in mente questo. Se quando si realizza un incremento di produttività non garantisci anche uno sbocco all’aumento di produzione, quel di più non verrà prodotto. E la società si incarta."


In questo punto si descrive un sistema che può migliorare la sua produttività senza peraltro registrarne benefici in modo sostanziale (rapporto tra PIL ed ore lavorate)

Nell'analizzare i tre modelli economici che sono la base della tesi della "deindustrializzazione negativa" di Rowthorn e Wells e dell'impatto di questa sulla disoccupazione cronica, ricorrono le relazioni tra crescita della produttività nel settore manifatturiero, contrattazione collettiva e disoccupazione .

Su questo punto la conclusione di Shankar Jha, alla fine della trattazione sui modelli teorici,dei due economisti citati, è dolente se relazionato a quello che può essere governato direttamente.

"alta disoccupazione non ciclica e alta produttività nel settore manifatturiero possono coesistere quando la crescita della produttività del manifatturiero non si produce nella crescita della produzione del manifatturiero. Il meccanismo che fa si che questo accada è la contrattazione collettiva".

Qui (nel caso specifico) l'autore individua nel trasferimento ai salari, di questa maggiore produttività, un problema poiché questi influenzano anche la contrattazione dei settori dove la produttività è più bassa.Le aziende più in difficoltà de-localizzano verso paesi in cui i costi del lavoro sono più bassi, se sostenute da una serie di infrastrutture locali in grado di gestirne l'efficienza della distribuzione.

"la crescita di produttività mette pressione sui profitti nei settori meno dinamici sotto il profilo tecnologico e abbassa il taso di rendimento del capitale. Per compensare ciò il capitale si sposta...Insomma in presenza di sindacati forti, più è rapida la crescita della produttività dell'industria, maggiore è lo spostamento della produzione industriale verso altri paesi..."

Noi viviamo in un paese caratterizzato, per la maggior parte, da un'industria con poche punte di eccellenza dal punto di vista tecnologico. Dove queste ci sono i mercati di riferimento sono maturi e con un alto tasso di competitività. I salari dei lavoratori italiani sono tra i più bassi d'Europa, la quantità del lavoro fatto tra i più alti ma la produttività che il paese misura tra le più basse.

Possiamo dire che abbiamo un tasso di sindacalizzazione medio con un potere negoziale scarso.Inconsistente il risultato relativo al trasferimento della maggiore produttività in salari anche in quei settori in cui la produttività è salita (comparto dell'automotive ad esempio).Come si fa in questo contesto a migliorare la produttività ed a legare a questa il reddito delle persone? A me sembra la tipica "mission impossible". In attesa di una riconversione gigantesca del settore produttivo, dell'aumento della produttività e dei salari reali, forse varrebbe dare un'occhiata a quello che c'è già in termini di ricchezza disponibile ed usarla e distribuirla in un altro modo?