giovedì 28 febbraio 2008

L'Italia Che verrà

TELEPADANIA ITALIA-notiziario delle 20.00

Il sindaco d'Italia ed il presidente della Repubblica inaugurano il nuovo show room del partito democratico.
Dopo l'accorpamento del popolo delle libertà nel partito di Veltroni il nuovo soggetto potrà contare sul 60% dei voti alle prossime elezioni.
Voteranno solo quelli che hanno espresso la loro preferenza alle primarie sul candidato unico presentato dalla coalizione (grande) in ogni regione.
Il parlamento finalmente, con 20 deputati, costerà un cazzo.
Si registrano intemperanze da parte dei soliti facironosi nostalgici ed estremisti.La polizia aggredita ha dovuto reagire. Si contano 2 ferito tra le forze dell'ordine.
Ah.Sì. Manca il sangue negli ospedali causa i tanti contusi.






lunedì 25 febbraio 2008

Lo dicono loro

Bindi avverte i Radicali: "Se coerenti starebbero fuori"

La presenza nelle liste del Partito Democratico di esponenti radicali? "Se sono coerenti non dovrebbero firmare il programma e non dovrebbero candidarsi rinunciando alle loro idee". Il ministro della famiglia Rosy Bindi mette le mani avanti sui nuovi ingressi e, in una intervista alla 'Stampa', puntualizza che il programma del Pd non è soggetto a modifiche.

Bonino: "Bindi sotto pressione"

"L'intervista di Rosy Bindi mi stupisce, la attribuisco ad un dato di pressione a cui lei è probabilmente sottoposta" replica Emma Bonino.

Veltroni: "Prorità ai salari"

"L'intervento sui salari per riprendere la domanda interna è la priorità assoluta. Se il Pd vincerà le elezioni, sarà la prima cosa che faremo" annuncia Veltroni.

Di questo si occuperà l'esimio professor Ichino (ha aggiunto sottovoce)

Castagnetti: "Serve legislatura di pacificazione"

"Il Paese non sopporterebbe che l'opposizione faccia l'opposizione fino in fondo. Lo disse Aldo Moro, oggi è ancora così. Oggi, in aggiunta, serve che opposizione e maggioranza lavorino insieme. Serve una vera legislatura di pacificazione che combatta le emergenze sempre più drammatiche. Penso all'energia, ad esempio". Così Pieluigi Castagnetti a Gr Parlamento.

Questa è l'essenza della democrazia.E questo è il vero programma del PD.Non distinguersi in fondo stiamo tutti sulla stessa barca. Peccato che ai soliti tocchi remare.


Veltroni: "Con noi operai e imprenditori"

Veltroni delinea i confini dell'elettorato al quale il Pd si rivolge:
''Uno schieramento che va dagli operai, ai piccoli e medi imprenditori, alle aziende commerciali ai nostri giovani, ai ricercatori che sono le nostre forze piu' sane''.


Cazzo questa l'ho già sentita, ma non era stato Benito prima ancora del presidente operaio?Adesso abbiamo l'ex comunista che riscopre la nazione.

Fini: "Veltroni non difende il suo governo"

"Walter Veltroni quando presenta il suo programma cerca di nascondere che al governo c'è il suo partito. E' la prima volta che chi ha governato non difende l'operato del suo governo" dice Gianfranco Fini.

Odio citare un post fascista, ma in fondo ha ragione.

Il social Housing, ovvero la raffinata arte della presa per il fondoschiena

Quello che segue è parte del delizioso pezzo con cui la ex senatrice Magda Negri ci intrattiene sul suo Blog.
Lo farò leggere a mia suocera (quasi 80 anni) ed amio padre (80 anni) e dirò loro che il PD, in un prossimo futuro che spero loro possano cogliere, si attrezzerà per fare come fanno in Svizzera.
Solo che il "social housing" loro lo fanno già.L'appartamento piccolo lo hanno, la pensione piccola anche,di spazi immensi quelli del giardinetto di fronte a casa. Le cose "grandi" con cui si misurano sono: l'aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, il costo dell'affitto che si mangia la pensione e la solitudine a cui li condanna una società che non ha più tempo per i vecchi (troppo impegnata a produrre per aumentare la "produttività").
Dimenticavo che per le ultime cose non si può fare un cazzo, è il mercato bellezza e poi il PD ha arruolato anche Ichino che su quelle regole vigilerà sicuramente.


Fonte : Social Housing nel programma del PD, http://www.magdanegri.it/
"Si tratta di una impegnativa ricerca sociale, commissionata da Università e Fondazioni Europee, per studiare "l'ageing" nelle società mature. Cioè come si diventa vecchi, e come cambia l'impronta e l'organizzazione di una società di anziani e di grandi anziani.

Le vecchie amiche della mamma hanno problemi concreti e anche qualche buona ide comparativa; hanno scoperto ad esempio che in svizzera ci sono quartieri appositi per single ed anziani (le vedove sono una categoria di massa, ormai), con appartamenti piccolissimi e grandi spazi comuni, per socializzare.

Un bell'esempio di di social housing che in Italia ancora non c'è. O la casa che si aveva a 40-50 anni, o il ricovero, anche quando si chiama casa protetta. Una idea da approfondire per il programma del PD."

giovedì 21 febbraio 2008

Libertà di stampa e di informazione

"Fino al 10 marzo nei Tg, Gr e altri
format della rai ci sarà prevalenza dei
rappresentanti di Veltroni e Berlusconi
ROMA
L’asse Partito democratico e Popolo delle libertà ha approvato, in Commissione parlamentare di vigilanza, un emendamento al testo di regolamento sulla par condicio televisiva che elimina «la parità di accesso» di tutte le forze politiche in campo per le prossime elezioni politiche in tutti i programmi di informazione, compresi i telegiornali e i programmi di approfondimento giornalistico.

Il relatore Marco Beltrandi, Rosa nel pugno, aveva invece proposto la piena «parità di accesso e di trattamento tra le diverse forze politiche» in tutti i programmi di informazione, appoggiato in questo dalle altre forze minori in campo per le prossime elezioni. La Commissione di vigilanza dovrà esaminare questa sera altri aspetti che riguardano i programmi di approfondimento informativo e le condizioni di accesso delle forze politiche ad essi."

Questo è quanto ci dice La Stampa. Viene da sorridere a pensare alla logica "vera" che è dietro all'attuale fase politica ed a quanti cadono in questa padella "legittimando" questo tipo di "democrazia".
Qui non si tratta di fare un sistema politico più efficiente ma solo di gestire quello che c'è seguendo nuove logiche spartitorie e di potere.

E' il parlamento, sono queste istituzioni il luogo in cui si garantisce parità di accesso e di confronto tra chi fa della politica?
Io penso di no. E' un simulacro, un contenitore vuoto di sostanza. Riconoscerne il ruolo in questo "vuoto" di pensiero e di progetti è un tragico errore per la sinistra antagonista ed alternativa.

martedì 19 febbraio 2008

Giganti della patria

Tra tutti i nanogiganti della repubblichetta si distingue tal Michele Vietti (UDC) che, a proposito di candidati candidabili, dice" Non ci si può fermare all'automatismo della condanna, passata in giudicato o meno.Deve essere il partito ad applicare un proprio codice deontologico...." e chiude maestoso declamando" Spesso si può far peggio candidando qualcuno senza "nei" (la mafia, nota di chi scrive)ma privo del patrimonio necessario per fare politica".
Probabilmente si riferisce al "patrimonio" di Cuffaro.

Questo è uno di quelli che chiedono credito. Insieme al centro "mite" e moderato, alla destra che vuole la castrazione chimica, ai riformisti che tra i gioielli di famiglia mettono il volto bruciacchiato di un operaio che, siamo sicuri, si sentirà a suo agio tra figli di gioiellieri, banchieri,imprenditori e ladri vari.

Rimane un miscuglio di sinistri radicali che faranno una finta opposizione in parlamento.Con le coscienze libere e la faccia da culo di riprendere le bandiere contro la guerra ed il precariato.
Siccome andranno a colazione insieme, a prescindere, togliamogli l'acqua. Non votateli.

domenica 17 febbraio 2008

Il dibattito (serio) sulle candidature nel PD

Ci limitiamo a fare copia ed incolla di un "serio" dibattito, preso al volo su un forum, di due potenziali e prossimi elettori di Walter e banda.
Il dubbio viene spazzato via da un pò di buon senso e sano realismo politico. E che cazzo mica stiamo facendo una squadra di calcio, ed un pò di compromessi...suvvia signori. E l'Italia operosa che vuole fare questa, mica vogliamo perdere del tempo.
Fonte
http://www.nntp.it/newsgroups-politica/977426-grave-errore-del-pd-imbarcare-un-colanino.html

Addirittura poi metterlo in lista dopo Veltroni.
> E' il figlio di quel Colanino che, assieme al filibustiere Gnutti, con
> l'appoggio di D'Alema,allora primo ministro, che li chiamò capitani
> coraggiosi, si impossessò della Telecom,svuotandola e poi venduta a
> Tronchetti Provera con enormr plusvalenza, quel Colanino che poi con la Seat
> Pagine Gialle fece quell'enorme bluff in borsa riuscendo a vendere le sue
> azioni ad Euro 6,50 precopitate poi in pochi giorni ad Euro 0,50,truffando
> migliaia di piccoli azionisti.
> Come può un Colanino essere in lista del PD.
> Veltroni stai facendo un errore madornale. I tuoi potenziali elettori non
> ammettono la presenza di un Colanino nel tuo partito.
> Saluti,
> cino


è semplice da spiegare.
siamo in un mondo capitalista, quindi chi compra/vende fa i
suoi interessi personali, non quelli della politica.
inoltre colaninno figlio non può avere le colpe del padre ed
è presidente dei giovani industriali, area dell'elettorato
da conquistare per il pd.
avere inoltre gente della società civile della classe
dirigente è un ottimo ponte per far valere le intenzioni
verso un miglioramento della condizione della sicurezza nel
mondo del lavoro.
dovete capire tutti che una coalizione politica non è una
squadra di calcio, e che bisogna fare dei compromessi.
la lotta di classe è finita da secoli
--
rafrasnaffra

sabato 16 febbraio 2008

La monnezza e quelli che hanno ragione

Se De Gennaro dice che la gente aveva ragione a protestare sulle discariche e sull'inquinamento,vuol dire che quella gente aveva ragione a fare barricate e ad opporsi con il proprio corpo a scelte che avrebbero pagato le generazioni future.
Aveva ragione a ribellarsi ed a dichiarare guerra allo stato come a Serre.

Hanno, quindi, ragione ad opporsi al business dell'inceneritore perché forse la priorità è ridurre i rifiuti a percentuali infinitesimali.
Rivedere un pò il modo in cui ciò che viene prodotto viene distribuito e consumato.
Costringere qualche esimio scienziato a sforzarsi un pò di più sulle soluzioni.

Non è che per caso anche in Val di Susa la gente ha ragione ad opporsi ad un opera che non ha nessuna utilità per rendere il "sistema" paese più competitivo?
Dobbiamo aspettarci qualche altra manganellata per stabilire la "verità" anche lì?

Certe vicende insegnano molto e qualcuno dovrà rivedere la sua posizione a proposito dell'Italia dei veti. Magari c'è un'Italia che non viaggia con l'anello al naso e che non si fa raccontare cazzate.
Ora i Campani sanno che hanno perso 14 anni e di chi è la responsabilità. Di una congrega di affaristi che voleva far passare l'idea "emergenziale" ad ogni costo, anche a scapito della salute delle persone. Anni in cui non si è fatto nulla per ridurre il volume dei rifiuti, in cui non si è lavorato per rendere operativo un modello di trattamento delle scorie alternativo a quello proposto con l'inceneritore e le discariche.

Non abbiamo bisogno di mandare in parlamento un pò di ciarlatani, abbiamo bisogno di riprendere la politica del fare gestendo in concreto le lotte di chi si oppone a ciò che vogliono far passare ad ogni costo.

venerdì 15 febbraio 2008

Quelli come Marco Olmo, i vinti.


Marco Olmo a sessantanni è il maratoneta più forte del mondo.Nell'ultima sua impresa ha battuto (Triatlon del Bianco,163 Km senza fermarsi) anche Dean Karzanes (46 anni, americano) dandogli 6 ore di distacco.
Nell'intervista che ha concesso ha detto cose semplici.
"Io vengo dal mondo dei vinti, i contadini che hanno rinunciato alla terra come ho fatto io a venti anni .In casa non c'era luce, e l'acqua stava fuori nel pozzo.Scuola? Elementari e basta.Sport? Non sapevo che roba era.
Però se c'era da correre io correvo, andavo su e giù per i pascoli.A pensarci era una bella vita: il mangiare c'era sempre, la gente si aiutava e non aveva bisogno di niente.Mica come adesso che hai tutto e non ti basta mai."
"Non mi piacciono i corridori professionisti:io sono uno che lavora per vivere e vivo per correre.Non si può correre per lavoro: non è naturale.La fatica ha un senso solo se scegli di farla.La corsa è uguale, rendila obbligatoria e fa schifo."
" Sono vegetariano per scelta. Se per nutrire una vacca ci vogliono 15 Kg. di cereali al giorno, tanto vale mangiarsi i cereali e lasciar stare la vacca.La forza? Quando ero piccolo la carne non la mangiava nessuno.Eppure tiravamo su sacchi da mezzo quintale come carta."
"Ricordo un'alba sul Bianco, con il sole riflesso sulla parete.Era bellissimo.Forse solo sollievo: stavo correndo da 12 ore e ne mancavano 9."
Perchè ci piacciono quelli come Marco?
Perchè sentiamo il bisogno, giunti ad un momento della nostra vita, di spogliarci di tante cose e rimanere soli con noi stessi? Provare a sondare dentro e vedere se quello che abbiamo fatto ha un senso? Perchè nutriamo il dubbio di sprecare del tempo in una corsa innaturale?

giovedì 14 febbraio 2008

Economia politica e storia- la Nep

Il mondo moderno lascia insoddisfatti o, dove appare soddisfatto di se stesso, è volgare.

Karl Marx, lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica

Enrico Galavotti - Homolaicus

"Per la sua ricchezza di idee e di misure audaci, creative, la Nuova Politica Economica (NEP) degli anni '20 occupa un posto assai particolare nell'esperienza storica accumulata nell'URSS in materia di regolazione e gestione dell'economia. Una radicale ristrutturazione di tutto il meccanismo economico, operata in un breve periodo (1921-24), procurò allora un apprezzabile effetto socio-economico. Il settore socialista si trovò ampliato e rafforzato, e l'alleanza politica degli operai coi contadini venne dotata d'una base economica sufficientemente solida. Nel 1927-28 la produzione industriale e agricola aveva già ritrovato i suoi ritmi pre-bellici (non dimentichiamo che la NEP si sviluppa subito dopo la I guerra mondiale e la guerra civile). Si erano elevati anche la produttività del lavoro e gli standard di vita. La NEP aveva posto numerose e necessarie premesse all'industrializzazione del Paese e alla collettivizzazione agricola (anche se poi la prima, sotto lo stalinismo, riguardò quasi esclusivamente l'industria pesante mentre la seconda avvenne nella maniera "forzata").

Oggi non pochi economisti tentano di equiparare la NEP alla perestrojka, ma è evidente che una riedizione pura e semplice della logica e dei metodi della vecchia NEP non ha alcun senso. Al massimo si possono paragonare le esigenze di realizzare complesse strategie socio-economiche in condizioni molto difficili e in un lasso di tempo relativamente breve. In particolare, sono forse 5 o 6 gli aspetti ancora oggi di fondamentale importanza, che assomigliano ad aspetti analoghi della vecchia NEP: il passaggio a una distribuzione proporzionale dei redditi nell'ambito dell'industria e dell'agricoltura; la riedificazione di rapporti mercantili-monetari, equivalenti tra città e campagna; l'istituzione di vari trusts industriali e di cooperative commerciali, funzionanti in gestione contabile integrale; la creazione d'una moneta forte e di un bilancio statale equilibrato; la regolarizzazione di tutto il sistema creditizio e finanziario; un ampio utilizzo delle conquiste scientifiche nell'organizzazione del lavoro e nel management.

Il periodo del "comunismo di guerra"(immediatamente precedente a quello della NEP) si era caratterizzato anzitutto per un'opposizione acuta fra le posizioni di classe delle masse lavoratrici da un lato, e quelle degli elementi piccolo-borghesi dall'altro. Ma soprattutto fra gli operai e i contadini, il livello necessario di concertazione degli interessi non era stato ancora realizzato, a causa dell'inesistenza d'un meccanismo economico capace di formarlo e supportarlo. Il problema cioè era quello di come raccordare gli interessi di classe del proletariato industriale delle imprese nazionalizzate, con quelli di tutta l'altra popolazione (di cui i contadini costituivano l'asse portante). La strategia della NEP consisteva appunto in questo, nel cercare di rimuovere le forme contraddittorie più acute e scoperte fra le classi, attenuando le forze centrifughe della piccola produzione mercantile, per arrivare in seguito ad armonizzare gli interessi degli operai e dei contadini almeno su taluni aspetti essenziali.

Per risolvere questi problemi era necessario rispettare scrupolosamente alcune condizioni: nella sfera economica, anzitutto, il carattere equivalente dello scambio dei risultati del lavoro, onde impedire la soggezione dell'agricoltura all'industria; in secondo luogo, la partecipazione paritaria fra lavoratore, collettivo e Stato al reddito finale (mentre infatti il volume assoluto del reddito statale era fissato prima, l'ammontare dei redditi dei collettivi e dei lavoratori variava in funzione del valore del risultato finale della loro attività, per cui il produttore si sentiva sollecitato a fabbricare prima e meglio i beni di consumo).

Un tale meccanismo non esisteva nella Russia dei primi anni rivoluzionari. Alcuni tentativi erano stati fatti nel 1918-19, ma la guerra civile, l'intervento straniero e la fame resero necessari una misura politica estrema: la requisizione del grano, onde realizzare degli stocks minimi di derrate. La razione di pane venne fissata a 409 grammi al giorno pro-capite, ma in genere si riusciva ad assicurarne solo la metà.

Ovviamente la confisca del grano eccedente lo stretto indispensabile, ledeva gli interessi del contadino produttore: le norme che lo riguardavano consideravano solo il numero delle bocche da sfamare per ogni famiglia, nonché i bisogni di foraggio e di sementi per gli animali (queste eccedenze gli venivano pagate a prezzi calmierati e finivano negli ammassi pubblici. Il libero commercio era proibito). Ciò ovviamente dissuadeva i contadini dall'aumentare la produzione, anche perché l'inflazione era così alta che i prezzi con cui lo Stato pagava il grano eccedente, non servivano neanche a coprire le spese di produzione, per cui col tempo la fame, che pur il governo aveva cercato di combattere, divenne peggiore di prima.

Non solo, ma nelle fabbriche il livellamento remunerativo degli operai distoglieva quest'ultimi dall'idea di dover produrre meglio e prima. Di qui il circolo vizioso: la produttività del lavoro diminuiva, questa portava a un calo dei consumi, e questo, a sua volta, inibiva gli stimoli a un lavoro più intenso e qualificato. Nel 1920-21 il livello reale di vita dei lavoratori raggiungeva appena 1/3 di quello del 1913.

All'inizio degli anni '20, il ristabilirsi di rapporti fondati su incentivi, al fine di garantire una migliore e maggiore produttività, debuttò nelle campagne, cioè in quel settore in grado di risolvere i problemi connessi all'approvvigionamento di tutta la popolazione. Durante il sistema delle requisizioni forzate il governo aveva posto l'accento sull'alleanza con gli strati più poveri dei lavoratori agricoli, che ricevevano in effetti una parte del grano stoccato. Ora invece l'intenzione era diventata quella di estendere ai contadini medi le migliori condizioni per potersi sviluppare. Nel marzo 1919 Lenin dichiarò che il partito avrebbe difeso i contadini medi dall'arbitrio delle autorità locali. Poco dopo l'VIII congresso, egli chiese, in un primo momento, di diminuire le requisizioni, le esazioni fiscali, ecc.; poi chiese di fissare una quota proporzionata di prelievi, che il contadino avrebbe dovuto conoscere in anticipo, in modo da poter utilizzare liberamente la quota restante.

I punti di vista che si fronteggiavano sulla stampa erano sostanzialmente due: uno partiva dall'immutabilità del sistema dei prelievi delle derrate e prevedeva di passare a una regolazione statale diretta delle aziende individuali e familiari, sino alla delineazione di compiti obbligati relativamente alle superfici seminate (era l'approccio amministrativo). L'altra opinione, del tutto opposta, puntava su misure miranti a interessare economicamente i contadini alla crescita della loro produzione. Alla fine del dicembre 1920, nel corso dell'VIII congresso dei soviet, si giunse a un compromesso. I prelievi delle derrate secondo la vecchia modalità furono aboliti in 13 distretti.

L'8 febbraio 1921, Lenin elaborò delle tesi che prevedevano la transizione dalla politica del "comunismo di guerra" alla NEP. I punti fondamentali erano i seguenti:

  • soddisfare le esigenze dei contadini, sostituendo le requisizioni (il prelievo delle eccedenze) con un'imposta in natura (cioè in grano), che poi diventerà in denaro, pagato il quale, il contadino poteva liberamente vendere i suoi prodotti sul mercato locale;
  • diminuire il tasso di questa imposta in rapporto alle requisizioni dell'ultimo anno;
  • approvare il principio secondo cui il tasso d'imposta dev'essere fissato secondo l'impegno dell'agricoltore, ovvero che deve diminuire se l'impegno aumenta;
  • estendere la libertà per l'agricoltore di utilizzare le eccedenze rimanenti nel circuito economico locale, a condizione che l'imposta sia versata rapidamente e completamente. Queste tesi serviranno poi da base per elaborare la risoluzione del X congresso del partito: "Sulla sostituzione delle requisizioni con un'imposta in natura". La NEP insomma era stata suggerita dalle esigenze degli stessi contadini.

Secondo le iniziali previsioni, l'imposta doveva essere percepita sotto forma di un prelievo proporzionato alla produttività dell'azienda, tenendo conto dell'importanza del raccolto, del numero di bocche da sfamare e della presenza o assenza di bestiame. Tuttavia si concedevano forti agevolazioni agli agricoltori zelanti, che aumentavano le superfici coltivate. In seguito si decise di stabilire l'imposta sulla base delle terre lavorate, cosa che aumentava l'interesse del contadino verso un loro uso intensivo.

Il rischio maggiore che il governo doveva affrontare era quello della diffusione degli accaparratori e degli speculatori. A tale scopo si propose di organizzare, con l'aiuto delle cooperative e degli organi locali di potere, una sorta di scambio diretto dei prodotti tra produttori e consumatori. Questo scambio "naturale" delle merci era troppo primitivo per potersi sviluppare, ma proprio per questo il governo lo appoggiò: un decreto del 24 maggio 1921 autorizzò "il libero scambio, la vendita e l'acquisto di derrate agricole che restano alla popolazione, dopo il pagamento dell'imposta in natura".

Il X congresso del partito, nel marzo 1921, aveva dunque optato per la trasformazione della confisca in un'imposta naturale e per la reintroduzione della circolazione delle merci. Esso in pratica aveva costatato ch'era impossibile vincere il proprietario privato (specie quello medio-piccolo, enormemente maggioritario) con l'aiuto dei mezzi e dei metodi militari e amministrativi. La lotta per l'affermazione del socialismo si doveva spostare sul terreno dell'economia, dove i mutamenti qualitativi sono sempre molto lenti e faticosi, anche se, in ultima istanza, sicuri e irreversibili. Il governo doveva partire dal riconoscimento che le aziende individuali costituivano la forza principale dell'economia.

La valorizzazione, da parte di Lenin, del duplice carattere dell'azienda individuale ebbe un'importanza capitale per l'elaborazione d'una politica corretta nei confronti di circa 100 milioni di lavoratori. "Il proletariato -egli scrisse- deve distinguere il contadino lavoratore dal contadino proprietario, il contadino lavoratore da quello mercantile, quello laborioso da quello speculatore". Lenin ammise l'errore d'aver creduto che fosse sufficiente, tramite ordini espressi dall'alto, organizzare in modo comunista, in un Paese di piccoli agricoltori, la produzione e la divisione dei prodotti, senza tener conto dell'interesse e dei vantaggi individuali. Egli insomma capì che per costruire il socialismo si doveva, almeno in Russia, passare per il capitalismo di stato. Questa transizione al socialismo era la più accessibile e la più comprensibile ai contadini.

L'esperienza degli anni 1918-20 mostrò chiaramente il fallimento di tutti i tentativi di risolvere le contraddizioni economiche attraverso uno scambio dei prodotti imposto volontariamente. D'altro canto, gli agricoltori sapevano bene d'aver ricevuto la terra dalla rivoluzione proletaria. Tornare indietro era impossibile: solo i rapporti mercantili-monetari avrebbero potuto salvare l'economia rurale dalla rovina in cui era caduta all'inizio degli anni '20. E in effetti sarà così: la NEP supererà il dissesto economico del Paese e l'inflazione, inoltre ristabilirà la normale formazione dei prezzi e un sistema monetario stabile, creando infine una consistente riserva finanziaria e materiale per la successiva industrializzazione. Nel 1925 molti indici produttivi uguagliarono quelli del 1913. Nel '27 si contavano nel Paese decine di migliaia di associazioni e cooperative agricole, compresi 6.300 associazioni per il lavoro comune della terra (TOZ) e 8.500 artels e comuni.

I contadini si univano anche in società di consumo. Le cooperative di consumo divennero degli importanti intermediari commerciali fra il produttore agricolo e il cittadino consumatore. Nel 1926-27 più della metà dell'insieme del commercio al dettaglio veniva gestito dalle cooperative di consumo, che realizzavano anche una buona parte dello stoccaggio del grano, della carne, delle uova, delle fibre di lino e altre merci. Nella seconda metà degli anni '20 si sviluppò anche il sistema dei contratti riguardanti le forniture dei mezzi produttivi e la concessione di un'assistenza agrotecnica: contratti stipulati fra le organizzazioni statali e le cooperative, da un lato, e le aziende contadine dall'altro. Ciò al fine di limitare l'anarchia del mercato.

La NEP tuttavia non rappresentò soltanto il passaggio dal prelievo delle derrate all'imposta in natura e, in seguito, a forme più o meno evolute di commercio. Oltre a ciò, la NEP aveva di mira la creazione di un forte sistema monetario, finanziario e creditizio, nonché il rafforzamento e l'estensione delle cooperative di consumo e l'istituzione (come poi avvenne nel febbraio 1921) d'una commissione di Stato (Gosplan) autorizzata ad elaborare un piano statale unico. Inoltre la NEP autorizzò l'affitto della terra e l'uso, in una certa misura, della manodopera salariata.

Non solo, ma gli stessi rapporti dello Stato con la classe operaia subirono delle modifiche. Gli operai infatti vennero coinvolti nell'allestimento di trusts funzionanti in gestione autonoma, dotati d'una relativa libertà d'azione e responsabili del loro fatturato, nei confronti non solo dello Stato ma anche del collettivo dei lavoratori. Si faceva cioè dipendere direttamente il finanziamento della produzione e i redditi di tutto il personale dai risultati delle attività produttive e commerciali. Il lavoro del trust doveva essere orientato verso l'acquisizione di profitti destinati a una divisione equilibrata. Infatti, almeno il 20% dei profitti andavano alla formazione d'un capitale di riserva del trust: tale somma raggiungerà ben presto la metà del totale del capitale sociale di base (di qui la decisione che in seguito si prenderà di alimentare il capitale di riserva in ragione del 10% dei profitti). Il capitale di riserva veniva utilizzato dal consiglio d'amministrazione del trust, in accordo con gli organi amministrativi superiori, per allargare la produzione e compensare le perdite connesse alle attività economiche. Il trust era soggetto a tutte le imposte, comprese quelle industriali e sul reddito, allo stesso titolo delle imprese private.

Per interessare il personale del management alla crescita di efficacia della produzione, furono istituiti premi speciali e occasionali dividendi, proporzionati al livello di profitti raggiunto. Nel contempo il personale era responsabile nei confronti del diritto civile e penale per l'integrità del bene affidatogli e per la redditività dell'impresa.

Gli operai erano remunerati a cottimo o sulla base di contratti negoziati: vi erano poi dei "bonus" relativi ai profitti. Praticamente si cercava di ostacolare il livellamento retributivo e d'incentivare materialmente i lavoratori migliori. Anche se la cosa però non riusciva più di tanto. Produzione e distribuzione restavano, nonostante tutto, largamente dipendenti dalla volontà dello Stato, e in questo senso si può dire che la NEP trovò maggiori sostegni nel mondo agricolo che in quello industriale.

I prodotti del trust erano commercializzati sulla base dei prezzi di mercato. In un primo momento, numerosi trusts cercarono d'incrementare i profitti facendo lievitare i prezzi, ma poi gli organi statali competenti dovettero aumentare i controlli e regolamentare i prezzi (anche perché le merci rischiavano di restare invendute). Ciò comunque indusse le imprese a puntare sulla qualità dei prodotti, migliorando le prestazioni economiche e la produttività del lavoro.

Lo sviluppo dei trusts si basava sul principio dell'autofinanziamento: il capitale proveniva dall'ammortamento del capitale di riserva, cioè dai profitti, e dal credito bancario. In tali condizioni, le imprese incapaci di sfruttare al meglio le potenzialità esistenti, prive di vera iniziativa, finivano col trovarsi in una grave situazione finanziaria. Non poche infatti dovettero chiudere. Il tesoro pubblico, infatti, per legge, non rispondeva dei debiti contratti dai trusts: le eccezioni erano assai rare. In questi casi Lenin prevedeva la confisca di tutti i beni e il perseguimento giudiziario per quei membri del management colpevoli di determinate infrazioni: per quanto possibile però si cercava di escludere la nazionalizzazione.

Nel 1922, al fine di ovviare ai guasti del sistema centralizzato di distribuzione dei prodotti (si poteva vendere solo ai clienti decisi dallo Stato), cominciarono a formarsi dei sindacati, che, quali organi del commercio all'ingrosso, poco per volta si sostituirono agli enti centrali. I primi sindacati si svilupparono nell'industria leggera (alimentare, tessile, cotonifici, pellame, saline...), il cui sviluppo aveva subìto più in fretta e più completamente l'impatto della NEP. Si trattava spesso di società anonime il cui capitale si componeva di crediti bancari e di partecipazioni da parte di trusts interessati ai loro servizi.

In seguito, con un certo ritardo, si formarono sindacati anche nell'industria pesante. Nel gennaio 1923 s'istituì uno speciale comitato (la Convenzione dei sindacati) incaricato di assicurare la regolazione delle vendite e dei movimenti dei prezzi relativi alla produzione delle aziende metallurgiche. Sulla base di un'analisi dei costi di produzione e della congiuntura di mercato, si poterono fissare con successo i prezzi all'ingrosso e al minuto previsti dalla Convenzione. Nel 1922-23 si formarono circa, in totale, una ventina di sindacati. Il loro finanziamento dipendeva, in genere, dalla partecipazione dei trusts interessati, dall'emissione di azioni e dal credito.

Le funzioni essenziali dei sindacati consistevano nell'aiutare i trusts a smerciare i loro prodotti, a rifornirsi di materiali, materie prime e combustibili. In caso di necessità, il sindacato concedeva un credito commerciale ai suoi membri, oppure erano questi a concederne al sindacato. I servizi dei sindacati naturalmente venivano pagati. Gli ordinativi mensili e trimestrali per l'approvvigionamento di materiali erano la più importante relazione d'affari, oltre ai contratti di commercializzazione dei beni e servizi prodotti, tra sindacati e imprese. Nel 1923-24, 15 sindacati federali avevano realizzato un profitto che ammontava a 21 milioni di rubli, ripartito nel modo seguente: 8,4% al Tesoro, 2,9% agli azionisti, 25,5% per l'aumento del capitale di riserva, 6,7% al "fondo-qualità" per il livello di vita degli operai, 46,8% per la creazione d'un capitale speciale per investimenti e il restante 9,8% lasciato in bilancio.

L'estensione rapida del processo di sindacalizzazione mostrò, nella pratica, che questi organismi erano la forma più adeguata di relazioni commerciali fra i trusts industriali e l'utenza sociale. Se nel 1923 la percentuale dei sindacati nella circolazione degli articoli manufatti era del 20-40%, cinque anni più tardi essa s'aggirava sull'80-90%, a seconda dei settori produttivi, raggiungendo a volte il 100%. Alcuni di essi (ad es. quello tessile o petrolifero) ebbero accesso al mercato mondiale.

Lenin, che pur tuttavia si oppose a separare il lavoro dei sindacati da quello del partito, diceva che se non si sapeva lavorare con un'elevata efficienza, qualità e rendimento, anche i migliori piani e programmi erano destinati a restare sulla carta. Di qui l'esigenza di migliorare il livello culturale e professionale dei lavoratori e di realizzare un'organizzazione scientifica del lavoro. Il periodo di pace che seguiva la firma del trattato di Brest-Litovsk, offrì la possibilità di creare una nuova mentalità sociale e individuale, una nuova cultura del lavoro. Non a caso quelli furono gli anni in cui s'introdusse la scolarizzazione gratuita e di massa, offrendo borse di studio ai capaci privi di mezzi per accedere all'università. L'insegnamento era diventato una professione centrale. Relativamente all'organizzazione scientifica del lavoro, fu creato all'inizio del 1920 l'Istituto di studi sperimentali del lavoro (più tardi chiamato Istituto centrale del lavoro), avente compiti molto vasti di razionalizzazione della produzione e del management. L'Istituto, coadiuvato da altre decine di istituti, laboratori, sezioni, raggiunse un livello così alto, che praticamente a tutt'oggi è rimasto ineguagliato.

Praticamente la NEP fallì perché nella seconda metà degli anni '20 l'industria, ancora debole, non era in grado di offrire ai contadini le merci di cui avevano bisogno. Lo sviluppo dell'agricoltura era così ostacolato dalle limitate possibilità della sua base tecnico-materiale. Nel '28 più del 70% delle superfici colturali erano state seminate a mano, circa il 45% di tutti i cereali erano stati raccolti con la falce e il falcetto, più del 40% di tutta la raccolta venne battuto col correggiato.

Invece di considerare queste difficoltà, il partito-Stato puntò a realizzare i grandi piani d'industrializzazione, i quali naturalmente richiedevano urgenti risorse materiali, umane e finanziarie. La popolazione cittadina aumentava del 4% l'anno. Crescevano i redditi da lavoro e la domanda solvibile. Le città risentivano di una certa scarsità del pane e di altri generi alimentari, tanto che si dovettero introdurre le tessere del razionamento.

Nei confronti dei contadini, Stalin e il suo entourage misero in atto la concezione di Trotski e Preobrajenski sull'"accumulazione socialista primitiva" (il drenaggio, praticamente gratuito, delle risorse agricole verso l'industria). Venne anche applicata l'idea di Zinoviev e Kamenev sulla tassazione straordinaria degli strati agiati della campagna. L'opposizione a queste misure coercitive venne interpretata come una forma di sabotaggio.

Si stavano insomma violando del tutto i princìpi dei fondatori del marxismo, secondo cui l'espropriazione delle piccole aziende agricole non andava assolutamente fatta. Lenin aveva formulato con precisione i princìpi fondamentali, relativi alla trasformazione socialista delle aziende agricole: il libero consenso, la gradualità, l'inammissibilità di ogni misura coercitiva durante il passaggio dei contadini alla produzione agricola collettiva, lo scambio equivalente tra città e campagna, un largo utilizzo di varie forme di cooperazione, l'assistenza tecnico- materiale da parte dello Stato.

Lo stalinismo fece esattamente il contrario. Ripristinando i metodi extraeconomici del "comunismo di guerra", considerò l'aspirazione dell'uomo ad essere padrone della propria terra, come una sopravvivenza della mentalità del proprietario privato. Tutta la diversità di metodi, nel gestire l'agricoltura, venne ridotta a uno solo. Ogni autonomia economica dei colcos e sovcos venne abolita. Gli agricoltori furono trasformati in lavoratori a giornata, direttamente subordinati all'apparato burocratico. Negli anni '32-'33 la fame coinvolse milioni di contadini. Il livello di produzione agricola raggiunto nel periodo precedente alla collettivizzazione forzata, venne superato solo due volte, prima della II guerra mondiale: nel '37 e nel '40. Anche da questo punto di vista strettamente economico ci si rende facilmente conto di quale disastro sia stato per l'URSS l'aver introdotto, con lo stalinismo, il metodo burocratico e amministrativo di gestione dell'economia"

mercoledì 13 febbraio 2008

Similitudini

In teoria la differenza tra un indirizzo "sindacale" ed uno corporativo consiste nella azione democratica e dal basso del primo ed una di tipo "burocratico" ed inserita "istituzionalmente" all'interno del sistema di relazioni per il secondo.
Il Fascismo inquadrò in un apposito ministero la logica "burocratica"( corporazioni), che dirigeva e controllava dall'alto, stabilendo, tra l'altro, le regole per la contrattazione in funzione dei "superiori interessi della nazione".

Gli obiettivi di un sindacato dovrebbero essere (sempre in teoria) tesi a ridurre le differenze ed a stabilire condizioni normative e salariali migliori per i propri iscritti.
Dovrebbe quindi avere una certa difficoltà ad accettare logiche che parlano di "gabbie salariali",riduzione dei salari e norme penalizzanti nel rapporto di lavoro. Sempre sulla base di questa teoria (che chiameremo ruolo e funzione di un sindacato) quello che si guadagna, nelle negoziazioni, dovremmo cercare di migliorarlo (nel tempo) ed estenderlo a chi è penalizzato.

Eppure, nei comportamenti e nel ruolo che il sindacato assume, sentiamo sempre più "puzza" di "corporativismo" e di logiche che parlano di "interesse supremo della nazione" dimenticando che, la stessa, è somma di "soggetti" che all'interno di questi interessi non hanno esattamente la stessa considerazione, le stesse opportunità e la stessa centralità.

Giocando sempre sulle similitudini uno stato laico è tale perché riconosce parità a tutte le religioni stabilendo, di converso, che questa parità permette allo Stato di decidere in autonomia le politiche in relazione ai diritti civili delle persone.
Nel 1929, attraverso i patti lateranensi, il fascismo ruppe questo principio e sancì la promozione del cattolicesimo a religione di Stato.
Il successo politico del fascismo fu rappresentato dal consenso dei cattolici a quel regime.
Sembra che i nostri "politici e uomini di stato" non sappiano rinunciare a questo "bagaglio culturale" del fascismo. La questione è paradossale: tutta questa strada per ritrovarsi in camicia nera?

Sionismo e semitismo

Il dibattito che si è svolto intorno alla presenza di scrittori israeliani alla fiera del libro di Torino ha posto al centro dello stesso una terminologia che, nel tentativo di stigmatizzare chi si oppone a quella presenza, mette assieme e confonde una serie di "significati" che finiscono con il produrre, "coscientemente" per alcuni ed in virtù di semplice ignoranza in altri, un polverone che serve a strumentalizzare una presa di posizione che, potrà non piacere, ma ha solo un senso politico ( e questo lo condivido) sull'uso che di quella presenza si fa per legittimare e dare per assodato un certo comportamento da parte dello stato Israeliano nei confronti della comunità palestinese.

Non ci interessa qui discutere di queste ragioni ma ridare un senso alle parole.
Intanto diciamo subito che l'antisemitismo non è associabile con l'antisionismo.

Cosa significa Sionismo?.
" Si indica con questo termine il movimento di ritorno alla Palestina che ha dato origine allo Stato di Israele. Il termine deriva da Sion, antico nome di una collinetta presso Gerusalemme che poi passò a indicare tutta Gerusalemme . I Palestinesi arabi contemporanei proclamano la lotta al Sionismo (spesso assimilato al colonialismo) non all'ebraismo per indicare che essi non si considerano nemici del popolo ebraico ma della costituzione di un loro stato sui territori arabi."

Cosa significa Semitismo?
"Con il termine Semiti si intendono tutti i popoli che parlano, o hanno parlato, lingue collegate al ceppo linguistico semitico (tra questi Arabi, Ebrei, Cananeo-Fenici, Cartaginesi, Maltesi).

Il primo a proporre una definizione del termine fu dato nel 1787 da Eichorn (Einleitung in das Alte Testam., Lipsia, II ed., I, p. 45) che volle rifarsi alla definizione biblica di Genesi X-XI, che indicava una serie di nazioni discese dal figlio del patriarca Noè, Sem.
Al di là delle imprecisioni bibliche (nei popoli parlanti idiomi strutturalmente riconducibili a un unico ceppo linguistico sono infatti elencati anche gli Elamiti della Susiana e i Lidi che parlavano altri idiomi, mentre non è citato il Cananeo), le analisi genetiche mostrano come i popoli genericamente indicati come i "semiti" condividano una notevole affinità che confermerebbe la discendenza da antenati linguistici comuni, malgrado vi siano stati inevitabili contributi ed influenze da parte di altri gruppi linguistici.
Il dibattito sull'esatto significato del termine è ancora aperto ma vi è un largo consenso nell'accettare che, da un punto di vista linguistico, il termine si riferisce oggi ad Ebrei, Arabi e alle genti che impiegano la lingua amarica e la lingua aramaica.
La forma negativa del termine antisemita è invece usata nell'accezione pura e semplice di anti-ebraico.
I popoli proto-semiti, antenati dei semiti del Vicino Oriente, si ritiene provenissero dalla Penisola Araba, anche se non mancano ipotesi su una derivazione mesopotamica in cui, col regno di Akkad, si ha conoscenza allo stato attuale della prima cultura linguisticamente semitica."

Detto questo, quali sono le origine dell'antisemitismo?

Per rispondere a questa domanda ci limitiamo a proporre alcune delle motivazioni che hanno prodotto e radicalizzato, nei secoli,pregiudizi e preconcetti nei confronti degli Ebrei.

"Nella storia della Germania l'antisemitismo ha trovato un'espressione particolarmente violenta e orribile. Ma non è certo una invenzione di Hitler, né è qualcosa nata e sviluppatasi solo in Germania.

Origine n°1:
Gli ebrei sono quelli che hanno crocefisso Gesù!
La più antica fonte dell'antisemitismo è cristiana: "Gli ebrei sono quelli che hanno crocefisso Gesù!". Per molti secoli la chiesa ha alimentato nel popolo questa convinzione demagogica che serviva a giustificare la persecuzione e l'eliminazione della "concorrenza" religiosa. La comunità religiosa degli ebrei era sparsa in tutta l'Europa, e costituiva sempre un corpo estraneo in una società in cui la chiesa voleva essere l'unica autorità, non solo religiosa, ma anche politica. Solo per la loro esistenza, gli ebrei erano un pericolo costante per una società medievale dominata dalla religione cristiana, il loro costante rifiuto di farsi cristiani era una specie di delegittimazione della validità universale della fede cristiana. Così è nato l'odio e anche la necessità di trovare una spiegazione "religiosa" per quest'odio. L'idea della "colpa collettiva" degli ebrei per la morte di Gesù fu praticamente la condanna a morte per decine di migliaia di essi. Questa convinzione si mantenne molto a lungo, a livello più o meno conscio, in vasti strati della popolazione.

Origine n°2:
Gli ebrei sono avari, degli usurai che si arricchiscono con i soldi degli altri!
Durante il Concilio laterano del 1215 il Papa Innocente III, un nemico giurato degli ebrei, fece rilasciare una serie di norme che dovevano segnare il destino degli ebrei per molti secoli. Vietò per esempio ai cristiani di prestare soldi contro interessi e consigliò di escludere gli ebrei dalle altre associazioni professionali. Successivamente, quasi tutte le associazioni professionali, riferendosi a queste leggi della chiesa, vietarono agli ebrei l'esercizio della loro professione e costrinsero questi a delle attività professionali (cambiamonete, prestasoldi etc.) che il popolo, comprensibilmente, odiava. Tutti, anche i contadini più poveri, dovevano rivolgersi prima o poi a un ebreo per farsi prestare dei soldi e ogni raccolta andata male portava a un odio crescente verso di loro. Ma anche gli imperatori avevano un gran bisogno di denaro, motivo per cui di solito i poteri imperiali erano molto più tolleranti nei confronti degli ebrei dai quali spesso dipendevano.

Origine n°3:
Gli ebrei non vogliono integrarsi nel mondo cristiano-occidentale!
Relegati da leggi religiose e civili nei loro ghetti, periodicamente perseguitati e anche sterminati, gli ebrei svilupparono una forte identità culturale che li fece sopportare e sopravvivere. Ma il loro essere diversi che si vedeva nel modo di vestirsi e in molte abitudini quotidiane, la loro "resistenza culturale", li rese ancora più oggetti di sospetti e di attacchi ingiusti. Colui che è diverso è tendenzialmente pericoloso. Questo vale oggi e valeva ancora di più per la società medioevale. Gli ebrei furono usati come capri espiatori per tutte le occasioni, furono resi colpevoli persino della peste che nel Trecento devastò mezza Europa: a Strasburgo, per esempio, furono sepolti vivi 2000 ebrei ritenuti responsabili di quella terribile epidemia.

Origine n°4:
Gli ebrei vogliono dominare tutti i paesi, per poterli manovrare secondo i loro interessi!
Questa è la versione più "moderna" dell'antisemitismo, è quella inventata dai nazisti per canalizzare e deviare i mille motivi di scontentezza e di rabbia del popolo contro una facile preda, per dare una semplice "spiegazione" alle molte ingiustizie nel mondo che molta gente non riusciva a spiegarsi. In tutti i governi, in tutte le organizzazioni internazionali si potevano trovare degli ebrei, anche in posizioni importanti, e così era molto facile trovare delle "prove" per questa assurda affermazione. L'antisemitismo doveva diventare così una lotta di tutti i popoli contro un nemico che minaccia tutti. Per essere giustificato, lo sterminio sistematico aveva bisogno di una motivazione più forte, più "politica" e non solo etnica o religiosa."

Probabilmente abbiamo molto da chiedere a noi stessi e preferiamo produrre confusione perchè le domande, a cui dovremmo rispondere, richiedono una "onestà intellettuale" che oggi non sono del mondo politico ed intellettuale.
Preferiamo delle scorciatoie e questo finisce per produrre significati che sono altro.Quindi l'antisionismo diventa antisemitismo nel suo significato peggiore facendo una equiparazione a cui, personalmente, non ho intenzione di sottostare.
Credo che la politica dello stato d'Israele sia una politica criminale perchè condotta con una logica "repressiva" che non ha nessuna scusante.
Credo che Israele e gli israeliani abbiano diritto ad uno stato così come di questo hanno diritto i palestinesi.
Non credo che si possa pensare di essere nella condizione di fare "retorica" e morale sui modi in cui una lotta di liberazione viene condotta.
Israele è nata dal terrorismo degli anni 30 così come storicamente tutti i movimenti che avevano l'obiettivo di affermare il diritto ad esistere per i propri popoli hanno fatto.
Bisognerebbe avere la voglia di fare di quelle esperienze "tesoro" ed impedire il loro riprodursi, ma questo è altro tema per altri tipi di leadership ed altro tipo di uomo.
Al momento accontentiamoci di ridare "senso" alle parole e responsabilità storica a chi quei termini ha usato e strumentalizzato.


martedì 12 febbraio 2008

Libero mercato e catene

Naomi Klein, nel suo ultimo libro “shock economy”, narra alcuni avvenimenti degli ultimi decenni mettendo in evidenza l’impatto ed i risultati disastrosi che le politiche liberiste hanno prodotto in molti paesi.

Tra i casi proposti voglio riprendere ciò che avvenne in Sud Africa dopo la fine del regime d’apartheid e la riconquista della democrazia da parte di quel popolo.

Partiamo da qualche numero.
Rispetto al 1994, dati al 2006, il numero delle persone che vivono con meno di1 (uno) $ il giorno è raddoppiato.
Il tasso disoccupazione è passata dal 23 al 48%.
Il numero degli abitanti nelle baracche è aumentato del 50%.
1 milione di persone sono state sfrattate dalle fattorie
Su una popolazione di 35 milioni di neri 5 mila vivono con un reddito superiore ai 60mila $, su una popolazione di bianchi inferiori ai 5 milioni il numero è 20 volte superiori.

In buona sostanza la liberazione ha prodotto un risultato, in termini di qualità di vita e di ricchezza, peggiore rispetto al periodo in cui vigevano le leggi razziali.

Cosa è successo in questi anni e quali politiche sono state fatte per arrivare ad una situazione di questo tipo?

Le rivendicazioni politiche, su cui l’ANC aveva focalizzato le lotte della popolazione di colore, erano rappresentate e scritte nei principi della “Freedom Charter”.
Questa carta era stata il frutto di una massiccia iniziativa politica che aveva portato, migliaia di cittadini, ad esprimersi su quelle che erano le richieste ed i punti su cui fondare un’azione di governo.
I punti principali erano:
- Riforma agraria e redistribuzione delle terre.
- Salari di sussistenza e orario di lavoro ridotto.
- Istruzione gratuita ed obbligatoria
- Diritto di residenza e libertà di movimento.

Il sistema economico dell’apartheid aveva garantito, alle aziende che investivano in Sud Africa, l’accumulo di ricchezze a fronte dello sfruttamento di manodopera a basso costo, con orari di lavoro massacranti ed in assenza di qualsiasi tutela di tipo sindacale.
I colletti bianchi, dei vari consigli d’amministrazione, si erano ingrassati con le loro famiglie a spese della popolazione nera.

La lotta di liberazione produsse i suoi frutti e Mandela poté ottenere la libertà.

Uno dei punti chiave della politica economica dell’ANC doveva essere la nazionalizzazione d’importanti aziende del paese.
In modo ingenuo la leadership pensava, in questo modo, di rendere possibile una redistribuzione delle ricchezze accumulate disonestamente e di avere, nel contempo, la possibilità di gestire la fonte della produzione di risorse da destinare ad investimenti a favore della popolazione.

Il modo per ottenere, in via pacifica, elezioni a suffragio universale e la possibilità di contare nel sistema politico, passò da una serie di negoziazioni che furono fatte tra i soggetti coinvolti.
Il confronto si ebbe, in modo separato, sia sotto il profilo politico istituzionale che sotto il profilo economico.

L’errore maggiore fatto da quei leader fu di trattare la questione delle “regole”, con cui si sarebbero prodotte le politiche economiche, secondo una logica tecnica non legando il confronto al tavolo in cui si discutevano le regole di convivenza “politica”.

In questo modo il sistema dell’apartheid mentre perdeva al tavolo “istituzionale” vinceva a quello economico.
- Le politiche commerciali e della Banca centrale furono rese indipendenti dal potere politico.
- La tutela di questi settori chiave fu affidata ad organismi “autonomi” quali il FMI e la banca Mondiale.
- Negli accordi furono stabilite una serie di clausole che, nei fatti, limitarono l’azione di governo.

Riforma agraria? Una clausola garantiva ogni forma di proprietà privata.
Creazione di posti di lavoro? Illegale il finanziamento d’aziende (settori auto e tessile) da parte dello stato.
Farmaci gratis? Violazione di un accordo promosso dal WTO per la tutela dei diritti della proprietà intellettuale.
Costruire case? I sodi devono essere destinati alla copertura del debito pubblico.
Aumento dei salari? Gli accordi presi con il FMI lo impedivano.

La rete a supporto delle “regole” del libero mercato poteva contare su azioni destabilizzanti sul fronte dei cambi e del valore borsistico delle aziende quotate.
Subito dopo la liberazione di Mandela il Rand perse il 10% del suo valore e la borsa ebbe un tracollo.
Fuga di capitali e de localizzazione degli head quarter delle maggiori aziende seguirono a fronte della stabilizzazione del nuovo quadro politico.
Il sistema globale, e le sue istituzioni, impedirono con i loro vincoli lo sviluppo di politiche economiche in antitesi a quelle liberiste.
In sostanza si produssero una serie di fatti che destabilizzarono qualsiasi ipotesi di poter far viaggiare quel paese, con nuove regole, favorendo gli interessi “deboli”.
Ad una classe politica fu chiesto di rinunciare a quei principi per i quali migliaia di Sudafricani avevano sacrificato la loro vita.
Le catene dal collo si spostarono ai piedi ed il risultato fu un ridisegno della politica economica:
- Liberalizzazioni a fronte di nazionalizzazioni.
- Flessibilità nel mercato del lavoro
- Tagli alla spesa pubblica
- Più libertà negli scambi commerciali
- Meno controlli nei flussi monetari

Il disastro prodotto sulla pelle degli ultimi ha consentito a molti di applaudire al modo in cui, pacificamente, un popolo si era liberato dalle sue catene.Le regole ed il diritto internazionale, gli accordi economici ed il modo in cui stare al tavolo hanno salvaguardato la forma. La sostanza non è cambiata per chi abita nelle bidonville.
La lezione da trarre da vicende di questo tipo è duplice. Nessuna rivoluzione, pacifica o meno, produce risultati se non può contare su una leadership in grado di gestire il dopo.
Nessuna rivoluzione può ambire ad avere successo in modo duraturo, se le classi che la hanno prodotta perdono la ribalta e si accontentano di delegare le proprie sorti perdendo quella tensione necessaria a salvaguardare gli interessi.
Ultima considerazione, di carattere personale, ad un tavolo di negoziazione in compagnia di banditi mai perdere l’abitudine di portarsi il mitra

domenica 10 febbraio 2008

Come la definiamo questa politica?


Questa immagine l'ho ripresa da http://herrywottonclub.splinder.com
Possiamo stare lì a discutere su cosa significhino le parole, ma come vogliamo definirla la politica dello stato d'Israele?
Mandela, uno che se ne intende, l'ha paragonata a quella dei suoi connazionali sudafricani bianchi.
Approssimazione? Può darsi. Però preferiamo guardare ai comportamenti piuttosto che alle parole.

Omologazione

Siamo arrivati. Il confronto tra Veltroni e Berlusconi si è spostato dalla rissa degli anni scorsi , ai convenevoli ed ai reciproci riconoscimenti.
Quale è la differenza tra i due contenitori diventa difficile capirlo.
A questo si sommano messaggi molto chiari, Chiamparino (PD) vagheggia di un'Italia del fare nella quale le forze politiche si devono unire per rendere operative le riforme di cui avremmo bisogno.
Crosetto (PdL) elenca le cose su cui lui è disponibile a sommare i suoi voti a quelli degli avversari per rispondere con i fatti all'ostruzionismo della sinistra radicale.
Scalfari supporta gli ascari Veltroniani con richiami ad un patto tra borghesia ed operai. Sfugge il senso di un'operazione del genere considerato che, a detta di tutti i sociologi ed i politici, la classe operaia è scomparsa ed il conflitto sociale è un ricordo.
Tabacci,in un'intervista alla Stampa, dice che è meglio se Bertinotti ed i suoi stiano in parlamento. Al contrario ci sarebbero scioperi e manifestazioni di piazza.
I borghesi hanno fiuto, capiscono che l'orizzonte è coperto da nuvole nere. Un tempo avrebbero risolto la questione con un pò di sano fascismo e continuato a fare i loro affari. Oggi la situazione è un pò più complessa e questo non lo possono fare.
Vale molto di più clonare nel sistema politico il sistema azienda.Far funzionare le cose con uno stile di comando e di gestione che anestetizzi le coscienze.
Ed allora messaggi vaghi, demagogia spesa a piene mani, confini sempre più labili ed un'idea di stato in cui gli interessi di sudditi e principi trovino armonia ed equilibrio.
Cosa c'è di più contraddittorio rispetto al concetto di democrazia di un sistema in cui non si percepiscono le differenze, ed in cui l'energia data dal conflitto tra forze contrarie permette al sistema stesso di rigenerarsi?
Bene,noi siamo per storia, coscienza e convinzione per una politica del fare. Un fare che produca conflitto e sviluppi le contraddizioni facendole esplodere e non anestetizzandole.Siamo per una politica che ritorni tra le persone. per questo pensiamo che Tabacci abbia ragione. E per questo pensiamo che non abbiamo bisogno di rappresentanti in parlamento.NON VOTATE!

venerdì 8 febbraio 2008

Cultura d'impresa ed ideologia

John Kotter è docente di leadership alla Harward Business School. Utilizzeremo le "idee" guida di questo consulente, scritte in un testo intitolato "guidare il cambiamento, rinnovamento e leadership (1998)" per fare una disanima di quella che è la relazione tra cultura d'impresa oggi, ideologia e pensiero liberista.

In questo saggio i punti fondamentali che emergono sono:
1- "un'economia globalizzata va creando più rischi e più opportunità per tutti" Lo scenario competitivo che viene descritto ha come punto di riferimento la necessità di avere un "drive" che, per diminuire i rischi, necessita di una trasformazione del sistema impresa che si trasformi attraverso azioni di reengineering, ristrutturazione, progetti per la qualità, fusioni, cambiamento strategico e cambiamento culturale.
2- il processo di cambiamento necessita di:
-creazione di un senso di urgenza
-costruzione di una coalizione di governo
-sviluppo di una visione strategica
-comunicazione della visione del cambiamento
3- le modalità di creazione del senso di urgenza possono essere supportate da azioni quali:
- Creare una crisi, ad esempio una di tipo finaniaria, esponendo il sistema agli attacchi dei concorrenti in condizioni di debolezza.
" ho visto dei dirigenti avviare con successo delle ristrutturazioni o dei progetti di miglioramento durante un periodo in cui le aziende andavano a gonfie vele"
-Fissare obiettivi che non possano essere raggiunti lavorando nel modo consueto.
-Bombardare le persone con informazioni sulle opportunità future e sull'attuale incapacità dell'organizzazione di coglierle.
4- Le azioni non possono produrre risultati se, nello stesso tempo, non si costruisce una coalizione di governo forte. Questo punto è essenziale per lanciare qualsiasi progetto di ristrutturazione del sistema.
Avere cura di non scegliere persone con un ego accentuato sia in senso positivo che negativo.
5- Creare una visione che offra un quadro allettante ed intelligente del futuro, comunicare in modo logico il modo in cui conseguire la visione, attivare la parte operativa (management) che attui le strategie.
6-Comunicare la visione : ripetere, ripetere, ripetere.

L'impatto sulle organizzazioni del XXI secolo sarà:

STRUTTURA
-meno regole
-meno dipendenti
-meno livelli di comando
-i manager guidano, i quadri gestiscono
-procedure e politiche che non creino interdipendenza

SISTEMI
-aumento dei sistemi di controllo e di informazione
-diffusione dati sulle prestazioni

CULTURA
-propensione al rischio
-rapidità nelle decisioni
-orientamento all'esterno


La sintesi di questo pensiero riporta ad una questione legata alla centralità dell'impresa, oggi, dei suoi valori "veri" e del sistema economico ed alla subordinazione che di fronte a questi elementi hanno la politica e lo stato.
L'ideologia "forte" che permea questa visione, delle organizzazioni e del futuro, utilizza un linguaggio in cui si comunicano, oltre a valori indipendenti rispetto alle condizioni concrete di vita delle persone e sul modo in cui le "azioni" impattano su queste, immagini di una tensione continua nel vivere e della necessità di organizzare se stessi all'interno di un contesto che offra un riparo rispetto ai marosi della "competizione".
Il "costo" passa attraverso l'accettazione di una cultura di leadership elitaria, in cui i ruoli vengono disegnati in modo preciso e dentro regole che possano garantire il raggiungimento di ciò che è esplicitato nella vision.
La dialettica ed il conflitto sono, sicuramente, elementi di disturbo rispetto al sistema ed in questo è fondamentale il modo in cui si comunica (ripetere, ripetere, ripetere) e si crea il valore dell'appartenenza.
E se questa vision necessita anche della produzione di azioni che determinano "crisi" guidate (il cenno alla crisi finanziaria), l'accettazione del "costo" è funzionale ad un obiettivo che altrimenti non potrà essere raggiunto con la determinazione e consapevolezza necessaria.

In buona sostanza siamo in guerra signori.
Questa cultura, con la quale mi sono confrontato per anni, da tempo affascina la politica e ne è diventata punto di riferimento.
Il mito dell'efficienza e del cambiamento continuo, la fine delle ideologie e dei valori a scapito del pragmatismo e della ragionevolezza.
Non vogliamo affrontare in modo morale questa "ideologia", solo conoscerla e dare modo di scoprirla per quello che veramente è.In tutto questo il punto di debolezza del sistema disegnato è l'incapacità di avere un'anima e la necessità di produrre sempre una cultura ripetitiva della competizione che alla fine non potrà che produrre conflitto. La questione è ricondurre il conflitto su binari di una "visione" che sia altro.

giovedì 7 febbraio 2008

Lezione di strategia per aspiranti candidati

Detto per inciso che non vi darò il voto qualsiasi cosa promettiate, spenderò un pò del mio tempo per impartire una piccola lezione di strategia aziendale in funzione dello sforzo che dovrete fare per prendere per il culo i vostri elettori (che definiremo target) e, nell'ambito competitivo (elezioni), ottenere un risultato che renda percepibile il vostro Valore in rapporto al prezzo relativo necessario ad acquistare il pacchetto di stronzate che da qui a poco elargirete al popolo bue al fine di vincere (sostituire) sul vostro avversario (competitor)
Per fare questo utilizzeremo come supporto un testo di Porter (volume il vantaggio competitivo)
ed il paragrafo relativo alla percezione del VPR:

Cosa percepisce il target del vostro valore?
Molto o molto poco in relazione alle informazioni disponibili, alla vostra storia (stabilizzazione) che voi (prodotto elettorale) avete ed i vantaggi che potete rappresentare (in più e con maggior valore aggiunto) rispetto al vostro antagonista (competitor)
Premesso questo, possiamo sintetizzare e proporre una serie di accorgimenti che vi renderanno "pericoloso" per il vostro avversario e vi permetteranno di stare in bella vista sullo scaffale elettorale:

1- non date l'impressione che le vostre promesse diminuiscano i costi del sistema a condizione che si agisca nel lungo periodo. Promettete tranquillamente di poter risolvere i problemi della finanza pubblica nel giro di un mesetto.Per mesi li hanno allenati ad incazzarsi contro i fannulloni, quelli che non hanno voglia di lavorare, gli zingari e quanto sono un peso per qesta benedetta nazione.Vi crederanno.

2- date la sensazione di essere indispensabile e che i vantaggi che potete garantire dipendono direttamente da voi.Per questo fatevi consigliare da Cuffaro e Bassolino.

3- non date l'impressione che per avere risultati sia necessario un "cambiamento significativo" nei comportamenti delle persone e nella moralità pubblica. Questa roba rompe tremendamente i coglioni ad un sacco di gente. E poi in Italia non funziona così.Ricordatevi che per le prediche ci sono le chiese.

4- Siate pragmatici e definite sempre una misura che in modo concreto dia l'esatta dimensione del vantaggio che avranno nel votarvi. A questo proposito potete anche promettere più salario agli operai e meno tasse ai bottegai. Quando avranno realizzato sarà troppo tardi. Contemporaneamente, nel salotto di casa, premuratevi di spiegare a Montezemolo che anche per voi gli optional hanno un costo e che li farete pagare a tempo debito.

In ogni caso non vi faccio gli auguri e pensate seriamente che, probabilmente, vi toccherà girare con la scorta tra qualche mese.
Ne vale la pena?

mercoledì 6 febbraio 2008

Moralizzatori, controllori, popolo bue e mare di merda


Mi sono dilettato a mettere insieme qualche articolo uscito sui giornali.
Il quadro che ne esce è desolante. Nel 1° troviamo il sunto della relazione della corte dei conti e del giudizio che esprime sulla "moralità" e la corruzione che ormai sono parte del sistema.
Nel 2° un altro articolo ci racconta qualcosa in più proprio sulla corte dei conti, su qualche aspetto pratico che questi moralizzatori saranno "sicuramente" in grado di correggere al più presto. Sembra di essere all'interno di uno di quei proverbi popolari in cui il bue dice cornuto all'asino.
Il terzo ci racconta quanto hanno guadagnato i commissari incaricati di porre rimedio allo sfacelo della Campania.
Nel 4° qualche dettaglio sul sistema di potere lombardo (è un articolo del 2006, non credo che le cose siano cambiate ).
Ci siamo risparmiati il caso Calabria, la questione Veneta, il modo in cui Cacciari per togliersi uno sfizio ha fatto costruire un ponte a Venezia che dovrà essere sorvegliato 24 ore al giorno per evitare che crolli.
Dettagli di un paese in cui una classe dirigente trasversale combina danni inenarrabili. Tutti inossidabili e tutti pronti a chiedere legittimità e potere.
In questo contesto si parla di legge elettorale. Io credo che ci vorrebbe un coprifuoco contro le istituzioni. Impedire a loro di circolare e produrre azioni per nome e per conto del popolo bue.
Siamo ad un punto in cui parlare di massimi sistemi non ha più senso. bisognerebbe darsi la priorità di ricostruire un tessuto sociale sano.
Anni di fatica dura.
Chiedere conto a prescindere dall'appartenenza.
Storace ed i danni della sanità nel Lazio, Bassolino che non si dimette e che nessuno accompagna in galera, D'Alema che frequenta palazzinari pensando che quella sia l'economia reale.Assessori che trattano la sanità come una vacca da mungere. A dispetto di noi.Leggeri nel loro cambio di casacca.
Di cosa parliamo?
Abbiamo ucciso le ideologie, i valori, la tensione e la dialettica sana per lasciare spazio a a questa marea di merda?
E' come dopo la guerra, ci sono macerie e serve gente di buona volontà che si metta con la pala a spalare le macerie. Dopo possiamo ricominciare a parlare di cosa è meglio. Ma non con loro.
NON VOTATELI.


Repubblica

Qualcuno va in galera o rimborsa il maltolto, e probabilmente l’azione di verifica condotta dalla Corte dei Conti almeno un po’ contribuisce a disincentivare i molti furbi che «giocano» con i soldi pubblici. Ma il quardo, spiega il presidente della Corte dei Conti Tullio Lazzaro, è sconfortante: se nel complesso la «Repubblica vive in un momento di malessere e incertezza», la corruzione è «quanto mai diffusa»; e anzi, in settori come sanità e lavori pubblici è una realtà consolidata. Ci si potrà interrogare se i metodi oggi adottati dalla Corte dei Conti siano veramente efficaci ; o se la stessa «produttività» della Corte sia paragonabile a quanto fanno analoghi organismi europei. Resta il fatto che a fronte alla gravità del fenomeno, i risultati ottenuti sembrano irrisori. Come ha affermato il procuratore generale, Furio Pasqualucci, nella sua relazione sui risultati dell’attività giurisdizionale del 2007, permangono «profili di patologia» quando si tratta di depredare l’Erario: si va «dal ripetersi di fattispecie di mancata o incompleta realizzazione di opere» alla mancata utilizzazione di progetti, dalla revisione illecita dei prezzi a indebite e costose sospensioni dei lavori, da ritardati pagamenti ad acquisti o locazioni a prezzi maggiorati. Poi, c’è la corruzione in senso stretto, e continua il doloroso elenco di Pasqualucci: «artifici e irregolarità», «quali la dolosa alterazione di procedure contrattuali, i trattamenti preferenziali negli appalti, la collusione con le ditte fornitrici, la illecita aggiudicazione, la irregolare esecuzione e l’intenzionale alterazione della regolare esecuzione di applati di opere, forniture e servizi».

Ciliegina: «il pagamento di prezzi di gran lunga superiori a quelli di mercato o addirittura il pagamento di corrispettivi per prestazioni mai rese». E la melma scende giù verso il basso: comportamenti illeciti si riscontrano anche nella gestione del personale, per retribuzioni non dovute, falsi riconoscimenti di invalidità, illecito conferimento di incarichi esterni, assenze ingiustificate dal servizio. Qualcosa la Corte dei Conti fa per frenare questo sconcio. Nel 2001-2006 sono state emesse sentenze definitive di condanna per comportamenti illeciti per un importo «intascabile» di quasi 490 milioni, e circa 70 milioni sono stati recuperati come «riparazioni spontanee» durante i processi. E nel solo 2007 circa 200 sentenze di condanna in primo grado emesse dalle sezioni regionali della Corte riguardavano la corruzione. Tra i casi più eclatanti le condanna da 2,4 milioni di euro per i danni materiali e «morali» all’Enipower, oppure i 5 milioni di euro inflitti agli amministratori e dipendenti del Coni e della Fgci per «Calciopoli». Ma sono obiettivamente «spiccioli». Insomma, anche se il Presidente Lazzaro parla di una «serena coscienza che ogni possibile energia è stata profusa dalla Corte», pare che si stia tentando di vuotare un oceano con un secchio. Un secchio crivellato di fori, che opera con procedure e ritmi ottocenteschi.

Considerazioni deprimenti che volavano nere su di una platea che appariva già depressa per suo conto. Il Presidente Giorgio Napolitano e il ministro Tommaso Padoa-Schioppa erano rigidi e tesi, e molte sedie vuote testimoniavano che i Palazzi della Politica erano in altre faccende affaccendati. Per il resto, nelle parole di Lazzaro qualche apprezzamento per uno stato dei conti pubblici «in netto miglioramento», anche se va valutato l’andamento della spesa previdenziale alla luce della riforma. effetti delle scelte operate nel settore previdenziale», e preoccupa il taglio esagerato degli investimenti pubblici. Detto dell’allarme lanciato sul proliferare di precari e consulenze, la Corte prende come caso esemplare di cattiva gestione delle risorse l’emergenza rifiuti in Campania.


Repubblica
ACCOUNTABILITY. In italiano si potrebbe tradurre come "resa del conto". E' un istituto che negli Stati Uniti ha una sua previsione funzionale e un proprio organico: esiste infatti il Gao (Government accountability office) che è il luogo dove la burocrazia deve dar conto dei suoi atti. L'ufficio dove la politica rende al singolo cittadino il suo conto: cosa ho fatto, perché l'ho fatto. Dei conti, in senso molto lato, in Italia invece si occupa una magistratura speciale: la Corte dei conti. I giudici contabili dovrebbero sorvegliare, controllare e, in casi in verità sempre più rari, persino punire i pubblici ufficiali che hanno speso male i soldi dell'erario chiedendo loro con la forza di un titolo esecutivo di risarcire alla collettività il danno procurato ed accertato.

Dovrebbero. La legge non aiuta a controllare e il controllore poi ha piccole debolezze che custodisce con assoluta discrezione. I magistrati della Corte dei conti sono sulla carta 615. Un numero non spropositato, poiché il difetto genetico della cattiva spesa risiede nell'assenza quasi totale di controlli con efficacia cogente. E già qui bisogna mettere un punto. I Procuratori della Corte indagano e inquisiscono, gli altri magistrati - riuniti nelle varie sezioni di controllo - devono controllare. Ma piano. Controllare, ma con gentilezza. Il Parlamento ha infatti voluto che il loro controllo sia "collaborativo": possono bacchettare ma non punire, esortare ma non intervenire. Dei seicento e passa solo quattrocento circa sono però i magistrati effettivamente all'opera. E qui viene il bello, anzi il brutto. Perché parecchi di essi, già stremati dalle carte e dai conti che non tornano, trovano il tempo di dedicarsi a un dopolavoretto.

Nel 2006 il 30,8 per cento dei magistrati contabili si è preso una boccata d'aria, mezz'ora di libertà. A volte un pomeriggio. O anche giornate intere: uno studio, o una serie di seminari universitari. Una consulenza, o più consulenze. Retribuite con poche migliaia di euro o molte migliaia di euro. Per il 2006 sono ventitrè le pagine fitte di nomi di magistrati che hanno avuto conferito un incarico extra. O che sono stati autorizzati all'extra. La differenza non è di poco conto. La Corte ha l'obbligo di prestare (conferire, appunto) ad altre amministrazioni dello Stato i propri dipendenti per l'esercizio di funzioni di garanzia o di controllo. A questi si aggiungono coloro che richiedono l'autorizzazione per un impegno esterno: piccino e gratuito, o grande e a pagamento.

Nel 2007, ma riferita solo al primo semestre, la percentuale si attesta al 15,2 per cento. In linea, quando si tireranno le somme, con il totale dei cumulanti registrato l'anno precedente. I nomi, le pagine, i lavori, i soldi extra sono riportati, e bisogna ricordare che fu l'ex ministro della Giustizia Roberto Castelli a rendere obbligatoria questa pubblicità, nel sito della Corte (www. corteconti. it).

Poi ci sono i magistrati fuori ruolo. Sono giudici che ricevono lo stipendio di giudice senza fare il giudice. Fanno altro: incarico presso Amministrazioni o Autorità dello Stato. E aggiungono un secondo stipendio al primo. I magistrati collocati fuori ruolo fino a qualche mese fa erano nove. Dei nove, secondo una nota dell'ufficio stampa della Corte, "due sono collocati in aspettativa senza assegno". Due. E gli altri sette?

E così i controllori, già pochi, hanno spesso le ore contate, gli impegni a cascata, l'agenda fitta. I controlli sulla massa degli enti che spendono e sprecano sono realizzati a campione. Pochissimi gli sventurati che non la fanno franca. E per gli amministratori scalognati, chiamati a rendere conto e pagare il danno, è giunto in soccorso un condono, l'ultimo nato della grande famiglia dei condoni berlusconiani: se il fatto contestato è antecedente al 1 gennaio 2006 lo Stato accetta di chiudere la controversia in appello in cambio del pagamento del 30% del valore del danno accertato nel giudizio di primo grado.

Pochi controlli e tanta cortesia

Corriere della sera
NAPOLI — L'emergenza rifiuti è stata l'occasione per far guadagnare cifre «inimmaginabili » a chi lavorava negli anni scorsi al commissariato straordinario, dove durante la gestione Bassolino i subcommissari hanno ricevuto compensi pari anche a novantacinquemila euro al mese e non c'era quindi alcun interesse a risolvere la situazione. È questo uno dei punti centrali della requisitoria dei pm Noviello e Forleo durante l'udienza preliminare per il rinvio a giudizio del governatore della Campania Bassolino, dei vertici di Impregilo e di alcuni ex rappresentanti del commissariato.

I pm hanno citato i casi più eclatanti: il subcommissario Vanoli percepiva un milione e cinquantamila euro all'anno, i subcommissari Paolucci e Facchi, compensi tra gli ottocento e i novecentomila euro. La stessa situazione si sarebbe verificata anche quando commissario era il prefetto Corrado Catenacci, che in una intercettazione telefonica allegata agli atti del procedimento e citata dai pm, si lamentava con l'interlocutore, perché il suo stipendio era di cinquemila euro mensili, mentre due tecnici della struttura commissariale intascavano cifre pari a un miliardo di lire all'anno.

Con compensi così alti, sostiene la Procura, è chiaro che «più durava l'emergenza più si guadagnava», e quindi la gestione commissariale non avrebbe avuto affatto interesse a superare la crisi. Di qui le molte inadempienze che oggi sono contestate agli imputati — soprattutto non aver messo a norma gli impianti cdr che producono un materiale inutilizzabile come combustibile nel futuro inceneritore di Acerra e in qualunque altro inceneritore — e di cui, secondo i pm, Bassolino era a conoscenza perché il suo ruolo di commissario era un ruolo «amministrativo e non politico» e aveva quindi «giuridicamente l'obbligo di controllare».

L'emergenza che oggi affligge la Campania nasce, sostiene la Procura, anche da quella cattiva gestione commissariale che consentì all'Impregilo di far finire in discarica non il 14 per cento dei rifiuti prodotti, così come prevedeva il piano, ma il 49 per cento, intasando gli impianti e creando quella che i pm chiamano «fame di discariche» con la quale deve fare i conti oggi il commissario De Gennaro mentre cerca di portare la regione fuori dalla crisi.

Una crisi che rischia di costare all'Italia pesanti sanzioni dall'Ue (appena avviata una nuova procedura di infrazione per le troppe discariche abusive in tutto il Paese) e che potrebbe ulteriormente acuirsi a causa del blocco dell'impianto di cdr di Giugliano, che ha i depositi pieni e ieri ha dovuto sospendere la lavorazione dei rifiuti.

Fulvio Bufi
06 febbraio 2008


non solo cuffaro: la corruzione a milano tra gli amici di formigoni

Inviato da gagarin
Monday 17 April 2006
Da Luther Blisset



La mafia del nord è diversa e magari meno cruenta di quella siciliana ma ha elevatissimi costi per la collettività, che vive una realtà sociale davvero assurda

Roberto Formigoni - l’uomo che aspira a diventare il successore di Silvio Berlusconi, per portare a compimento la democristianizzazione di Forza Italia - è stato rieletto presidente della Regione Lombardia alle scorse regionali del 16 aprile 2000 con il 62,4 per cento dei voti. Un trionfo. Ha funzionato bene la grande macchina acchiappavoti di Comunione e liberazione-Compagnia delle opere e ha dato buoni risultati il patto stretto tra Berlusconi e Umberto Bossi. I leghisti, che fino a qualche mese prima delle elezioni erano i più duri oppositori del potere formigoniano e non perdevano occasione per convocare conferenze stampa per denunciarne i presunti "abusi", hanno dimenticato in un attimo i loro attacchi e si sono stretti attorno all’ex avversario.

In cambio, hanno ottenuto un Formigoni "governatore" regionale, fautore dell’autonomia lombarda, che si fa fotografare in mezzo agli altri due "governatori" del Nord, il veneto Giancarlo Galan e il piemontese Enzo Ghigo, con i quali (pur con significative resistenze di Ghigo) ha avviato la riscossa delle regioni nordiste (e poliste) contro lo Stato centralista, romano (e ulivista). Dopo la rielezione, in un giorno dalle reminiscenze patriottiche, il 24 maggio - ironia della sorte - Formigoni ha chiesto alla sua squadra di pronunciare un "solenne giuramento", rivolto "alla Lombardia e al suo popolo". Questa volta il Piave non ha mormorato, in compenso hanno gioito i leghisti, appena conquistati alla maggioranza. Quel giuramento è un atto simbolico quasi secessionista, ha protestato qualcuno. Ma il "governatore" è andato avanti, senza curarsi troppo del galateo istituzionale.

Non erano passati neppure quattro mesi dall’inedito giuramento, e sulla nuova giunta del "governatore" si è abbattuto il primo scandalo: il 22 settembre 2000 viene arrestato Gianluca Massimo Guarischi, coordinatore provinciale di Forza Italia e presidente della commissione Bilancio della Regione. Finisce in carcere insieme ad altre otto persone, alti funzionari (come Mario Catania, vicecommissario per l’Emergenza) o imprenditori. Tre mesi dopo, il 13 dicembre 2000, è arrestata anche Milena Bertani, del Ccd, assessore prima ai Lavori pubblici e poi al Bilancio, privata della libertà insieme a Mario Giovanni Sfondrini, direttore generale del settore Opere pubbliche della Regione Lombardia. Bertani - diploma da geometra, ex segretaria della andreottiana Ombretta Fumagalli Carulli e poi esponente di rilievo del Ccd di Pierferdinando Casini - era stata scelta per il delicatissimo ruolo di assessore ai Lavori pubblici direttamente da Formigoni. Quanto a Guarischi, Formigoni da anni lo andava sostenendo, anche a dispetto della sua fama. Per esempio, lo aveva imposto come commissario straordinario dell’Ipab (un ricco ente assistenziale milanese) anche quando Guarischi era stato vistosamente messo da parte dal sindaco di Milano, Gabriele Albertini, ed escluso dalla gestione degli enti pubblici.

Aveva dovuto sopportare non poche ironie, il povero Guarischi, raccontato dai giornali come un ragazzetto con la faccia da soap-opera, messo in politica dal padre (un costruttore a suo tempo arrestato per corruzione) per garantire continuità, dopo Mani pulite, alle aziende di famiglia. Il bel Massimo era noto al pubblico più che altro per aver condotto un programma in una tv di Berlusconi e per essere stato fidanzato della modella Celeste. Ma alla fine ha dimostrato di avere la stoffa del politico di razza e del manager di successo: ha infatti saputo costruire e mantenere, dopo i guai tangentizi paterni, un nuovo comitato d’affari, un sistema di corruzione complesso e articolato.

Secondo la ricostruzione dell’accusa (coordinata dai sostituti procuratori Fabio Napoleone e Claudio Gittardi, i più attivi e silenziosi dei magistrati alle prese con la nuova Tangentopoli lombarda), Guarischi, con la complicità di Bertani, faceva i miliardi sui disastri (degli altri): frane, alluvioni, smottamenti. Il suo sistema di relazioni e di procedure imponeva che a vincere gli appalti regionali per la ricostruzione fossero le aziende di famiglia: Guarischi politico affidava i lavori a Guarischi imprenditore. Poi truffava sui materiali: piazzava tiranti più corti del dovuto, impiantava nel terreno meno pali e di diametro più piccolo ("Sui pali abbiamo fregato un trenta per cento", dice uno dei complici, intercettato dai magistrati ). Tutta la compagnia - politici, funzionari, amministratori, imprenditori - è accusata "di aver ridotto la Regione a una specie di mercatino", sintetizzano a Palazzo di giustizia.

Le imputazioni ufficiali sono corruzione, frode allo Stato, associazione a delinquere: il gruppo, secondo l’accusa, aveva messo in piedi un sistema per truccare tutte le gare e controllare tutti gli appalti pubblici dei lavori regionali, dalla costruzione degli argini del torrente Seveso al ripristino delle sponde del Naviglio, dalla sistemazione delle frane in Valbondione al ristrutturazione dei torrenti in Val Tidone, fino al consolidamento dell’Adda. Guarischi nega tutto. Dichiara che tra gli imprenditori c’era soltanto un "gentlemen agreement".

In realtà, l’intervento illecito di pubblici funzionari per ottenere vantaggi era diventato per Guarischi un metodo consolidato, una consuetudine assodata. Tanto che la sua famiglia vi ricorreva, scrive il giudice per le indagini preliminari Alessandro Rossato, "anche per le più banali necessità". Come l’iscrizione della moglie di Guarischi, Stefania Luraschi, all’Albo degli architetti: "Si può affermare", scrive Rossato, "che il segretario della Bertani, Paolini, sia intervenuto per favorire la moglie del Guarischi, affinché questa superasse l’esame d’iscrizione all’albo. l’episodio delinea la personalità di Guarischi, sempre teso a cercare ogni tipo di favore, in questo caso per la moglie, che recentemente, anche grazie al titolo professionale conseguito in modo illecito, è stata assunta presso la Regione Lombardia".

Formigoni non si era accorto di niente? Perché proteggeva Guarischi, perfino contro il sindaco Albertini? Appena scoppiato lo scandalo, si è dichiarato "addolorato". E non per la corruzione che covava nei suoi uffici, ma "per un arresto che va assolutamente al di là di quanto la legge prescrive". Quando poi è arrivata l’alluvione che in ottobre ha battuto la Lombardia, il "governatore" perde un’occasione per stare zitto: "Avete visto? Le opere sotto inchiesta hanno resistito, dunque sono fatte a regola d’arte". Il giorno dopo, una delle opere incautamente evocate da Formigoni (l’argine di Crotta d’Adda) crolla.

Alla seconda tornata dello scandalo, nel dicembre 2000, quando sono tratti in arresto Milena Bertani e Giovanni Sfondrini, Formigoni reagisce rincarando le dosi contro i magistrati: "E’ un atto d’intimidazione. Sproporzionato, anzi del tutto ingiustificato in base alla legge vigente". Formigoni porta dunque tutta intera la responsabilità politica di aver scelto e sostenuto Bertani e Guarischi. Quanto a dirette responsabilità penali, il suo nome, a quanto è dato sapere finora, è entrato nelle carte dell’inchiesta soltanto per una citazione che Guarischi ha fatto al telefono (intercettato), parlando con il superfunzionario Sfondrini: è necessario spartire la torta di un appalto con un terzo commensale, l’ex deputato dc Antonio Cancian, perché "è amico di Formigoni", ordina Guarischi. "Dagli una roba da poco: accontendando il professore, io e te con Formigoni siamo a posto"