lunedì 31 marzo 2008

Il lavoro e la morte

Da La Repubblica
"Incidenti fotocopia a Caserta e a Teramo. Nella città campana la vittima aveva 39 anni ed era sposato con figli. In Abruzzo ucciso un romeno di 44 anni"

Questa è la contabilità di oggi.Mancano gli invalidi, quelli non contabilizzati perchè il cancro non fa fede, quelli che si sono suicidati perché a loro il lavoro manca ed altro ancora.
Qualche tempo fa, qui da noi a Torino, un operaio della Thyssen si è impiccato. Dicono che quando ti appendi ad un cappio ci metti un pò a morire. Ti pisci addosso e lo sfintere non tiene. Se sei fortunato ti si rompe l'osso del collo, altrimenti aspetti che l'ossigeno non arrivi più ai polmoni. Ti agiti e forse provi a liberarti. La questione è che ti manca la forza e la lucidità per cambiare corso a quella decisione.
La scorsa settimana in Sicilia un altro si è dato fuoco.

In qualche post dotto di qualche tempo fa, si parlava delle eredità negative del 68.Una di queste era la messa in discussione del"lavoro" come fonte di ricchezza, come elemento nobilitante della condizione umana.
Si contestava questa eredità, rimarcando come neanche Marx arrivasse a tanto nella sua critica ai meccanismi dell'economia liberale e borghese.

Era evidente la distorsione del pensiero, Marx in realtà ha sostenuto che "una volta realizzatesi determinate condizioni e trasformazioni oggettive e soggettive, il lavoro non sarebbe stato più un mezzo per guadagnarsi da vivere, ma il principale bisogno dell'uomo"

Quello che rimane del lavoro, per gran parte delle persone, è l'estraniazione che esso fornisce rispetto al suo risultato ultimo a chi è produttore di quel risultato.
Il lavoro è, per gli economisti, un fattore della produzione. Un costo e non una condizione di vita di un soggetto.

Se quello è il perimetro, l'essenza positiva del lavoro è dato per lo più (in una società come la nostra) dalle possibilità che il reddito che ne ricavi possa rendere "ricco" il tuo tempo di non lavoro.La misura è ciò che riesci a consumare in più rispetto a ciò che ti serve per sopravvivere.
Oggi per molte persone la soddisfazione è in quello.Non nel lavoro.
Se sei fortunato e ti gira bene (fai l'avvocato o lo scrittore ad esempio) nella natura stessa della tua attività puoi trovare qualcosa in più rispetto alla massa delle persone.

Al contrario non aspetti altro che il tempo scada per toglierti dalle balle e riprenderti un pò del tuo tempo.
Questa condizione qualcuno, nel 68 prima e nel 77 poi, l'ha evidenziata e portata in superficie.Ha contestato il lavoro perché contestava quella condizione dell'individuo.
Oggi quando sei stretto tra l'alienazione della tua condizione e la fatica di sopravvivere cosa ti rimane?Non ci sono più soggetti interessati a riorganizzare per trasformarla quella condizione.A darti una speranza. E allora ci tocca contare, insieme a chi cade da un'impalcatura, chi preferisce chiudere con una corda o una tanica di benzina il suo passaggio.



sabato 29 marzo 2008

Il paese semplice

Veltroni ha parlato di un paese semplice.
La semplicità riporta ad uno stato dell' esistenza, del vivere quotidiano, in cui ti mancano le ragioni per vivere in modo conflittuale i tuoi rapporti con gli altri. Affinché manchino queste motivazioni, queste cause scatenanti, cosa è che dovrebbe renderci tranquilli e soddisfatti?
E come risolverà la questione del conflitto quel tipo di paese?
E' lo stesso paese da sempre.
E questo ci viene a raccontare che vuole un paese senza spigoli, come se non avessimo già dato abbastanza.
La visione che ha della società il partito democratico è un misto tra quanto possiamo ricavare da una dichiarazione di Rutelli e quanto ci dice Gianni Letta.
Durante un'intervista l'ex radicale ha affermato, riferendosi a ciò che si può osservare dalla finestra di un albergo di lusso, che "Sa cosa si vede affacciandosi da lì? Prima di tutto vecchi materassi e poveri barboni sul camminamento di Porta Piciana. E le pare che si possano pagare 700 euro al giorno per un panorama così?".
Il nipote dell'altro Letta ha risposto a Bertinotti, che definiva ilPD come il partito dei lavoratori e degli imprenditori, in questo modo " Come si fa a pensare lavoro e impresa contrapposti quando di fronte c'è la Cina?"
In sostanza un paese in cui lo sporco è meglio metterlo sotto il tappeto (dove?) perché l'immagine che diamo non può accettare che una realtà di quel tipo riporti tutti con i piedi per terra.Un paese da armonizzare al basso, riducendo la questione del convivere e degli interessi agli interessi dell'impresa e del mercato. avendo come punto di riferimento un concetto della crescita della ricchezza e della sua distribuzione legato al PIL, alla produttività e a quant'altro faccia parte dell'armamentario di un'azienda. Che la questione sia anche quella di ridistribuire equamente quello che c'è già, quello che è stato rapinato negli anni e consolidato in rendite di posizione e conti bancari esteri sembra un non problema.
Che questo modo di vedere la realtà (e di imporlo) produca di fatto emarginazione, violenza e conflitto sembra non sfiorare le certezze di questi riformatori.
E quanto è diverso questo realismo dalla filosofia dei padroni, ad iniziare dall'800 per arrivare fino ad oggi?
Non c'è novità nell'idea del paese semplice. La sua ideologia è quella di un paese che rinuncia alla "dialettica" ed al"conflitto"per il bene supremo della nazione.Un modo di vedere le cose che può giustificare qualsiasi cosa come guerre e rinuncia a diritti.Ed è una visione moderna questa? O non è la visione disperata di chi in realtà non ha progetti e tira a campare?Dove è la novità rispetto al pensiero "forte" del primo capitalismo selvaggio?
Cosa volete che ci importi del paese semplice quando il punto è sopravvivere?
Quello che pensiamo, al contrario, è che non si può prescindere dalla complessità se si vuole riformare in senso solidale e con un progetto sostenibile per noi e per le future generazioni questo paese.Se il punto è la competizione economica abbiamo già perso.
Nel video che propongo, c'è la testimonianza della complessità e del conflitto. Di quello che divide e non potrà mai unire.Delle ragioni che fanno avanzare e non arretrare.E' vecchio si dirà. Ma ascoltateli bene quei lavoratori e provate ad indagare come fece Pasolini tra cantieri e boite o call center. Pensate di trovare parole o rabbia diversa?La realtà è che ci manca Pasolini, il resto è immutato nel tempo.


venerdì 28 marzo 2008

L'antifascismo e la recensione di Cuori Neri


La recensione di Cuori Neri fatta da Valerio Marchi su Carta e ripresa da http://www.carmillaonline.com/, mi porta a parlare di un argomento desueto:l'antifascismo.

Per chi ha militato, come me, negli anni a metà tra il 1970 ed i primi anni 80 questo tema era pratica quotidiana militante. Pratica nelle ronde, nella difesa degli spazi occupati (circoli giovanili), nelle occasioni di confronto a scuola o nelle università (votazione per i decreti delegati), nella negazione degli spazi e della possibilità di fare politica per le persone che aderivano a quelle organizzazioni.

Torino ha visto, in quegli anni, scontri molto duri.L'assalto alla sede del MSI in corso Francia al n° 19, l'incendio del Bar Angelo Azzurro e la tragica morte di Roberto Crescenzio e decine di episodi fatti di scontri fisici e pestaggi.

La militanza era una militanza dura, fatta con la spranga a portata di mano, con la ricerca dell'avversario nei suoi luoghi di ritrovo e con la caccia continua.

I fascisti erano persone che rivendicavano la loro appartenenza e la loro storia senza finzioni.Si presentavano davanti alle scuole per volantinare e si difendevano mostrando il "trono (pistola)" quando partiva la rappresaglia.

Noi sappiamo cosa ci ha diviso e cosa ci divide, è parte di una storia che parte da lontano e che rivendichiamo tutta. Per questo motivo concordo con quanto è scritto nella recensione sul libro di Telese. La storia alla camomilla raccontata così tanto per scrivere non rappresenta quello che è stato.Noi non abbiamo paura di rivendicare quelle azioni e quell'antifascismo perché è parte del solco che ci dividerà per sempre.



Cuori neri di Luca Telese ripercorre le tragiche vicende di 21 vittime "fasciste" del sanguinoso scontro politico che ha segnato l'Italia a partire dal 1970, con un approccio destinato a suscitare polemiche sia nella destra radicale che nell'intera sinistra, senza peraltro poter essere considerato - in questo suo "scontentar tutti" - semplicemente "obiettivo".
L'impressione prevalente, scorrendo le pagine del libro, è infatti quella di un testo che utilizza un passato doloroso in funzione della più stringente attualità politica.

Del resto, basta leggere gli articoli di Telese pubblicati sul Giornale [si trovano anche sul sito www.lucatelese.it], per comprendere gli umori di un giornalista culturalmente organico al Polo delle Libertà, ansioso di avvalorare la tesi di un'Italia da sempre dominata dai "comunisti", al punto da riscrivere un buon pezzo di storia e di spalmare di uno sgradito - anche ai diretti interessati - "buonismo" un'area che il Polo tenta di inglobare nel proprio blocco elettorale.
Telese, del resto, non ha come obiettivo rendere onore all'area nazional-rivoluzionaria, che anzi viene "devirilizzata" attraverso la minimizzazione sia delle sue gesta che della stessa militanza di gran parte delle vittime. Chi ha vissuto quegli anni sa come, a sinistra come a destra, la passione e l'impegno per la politica fossero totalizzanti, assoluti, con un senso del sacrificio che sfiorava addirittura il fanatismo. Sapevamo - sono nato nel 1955, quel ventennio l'ho vissuto intensamente ed in prima persona, ed ancora oggi non avverto la necessità di pentimenti o di abiure, ma soltanto di una doverosa assunzione personale di responsabilità collettive - i rischi che correvamo e che facevamo correre al prossimo. Eravamo giovani e forse incoscienti, ma certamente non inconsapevoli di quanto ci avveniva attorno. Anzi, era proprio la consapevolezza della durezza dello scontro a renderci, a nostra volta, duri ed a tratti spietati.
Se alcune di queste 21 vittime sono infatti totalmente inconsapevoli, come il piccolo Stefano Mattei o lo studente apolitico Stefano Cecchetti, nella maggior parte dei casi si tratta di militanti a tempo pieno, forgiati negli scontri di strada che allora - ed anche oggi, se a qualcuno interessasse leggere la realtà per quel che è - segnavano il paese. E l'opera di banalizzazione della passione politica che Telese compie è tale da mancare spesso di rispetto alle vittime stesse: nel caso di Emanuele Zilli si parla ad esempio di un suo avvicinamento alla Giovane Italia, che "Nel Sud ha un radicamento profondo, legato anche alle attività collaterali, ricreative o sportive. Spesso nelle sezioni del Msi c'è un accessorio ludico che a sinistra sarebbe considerato un segno di pericoloso degrado culturale: il flipper" (pagg.124-5); Mikis Mantakas "non vuole scegliere", ma poi frequenta un bar vicino la sede del Fuan di via Siena dove conosce "Una ragazza, poco più piccola di lui e molto carina, che lavora come segretaria nella sede nazionale del Msi" (pag.220); Sergio Ramelli porta i capelli lunghi e diviene "forse proprio per questo un bersaglio" (pag.269). Anche Mario Zicchieri è una delle "vittime" dei flipper (pag. 334), mentre Angelo Pistolesi, fondatore di una sezione missina, viene definito "fascista per caso" (pag.426). Roba da far rigirare nella tomba chiunque abbia avuto un anelito politico e lo abbia pagato con la vita.
Ma i migliori - nel senso di peggiori - risultati l'autore li ottiene rivolgendo la propria attenzione verso l'intera sinistra e, soprattutto, verso gli intellettuali e la stampa democratica. L'Italia di Luca Telese non è quella che abbiamo conosciuto sulla nostra pelle, ma una sorta di piccola grande Bulgaria in cui i "comunisti" controllano tutto e tutti [Chi ci ricorda, questa impostazione?]
Così, già a pagina XII dell'introduzione, veniamo a sapere che "All'alba degli anni settanta il ghetto ideale e politico dentro cui è stato chiuso l'Msi diventa all'improvvisamente un fortino assediato". Come se, negli anni cinquanta e sessanta, non si fosse registrata una sequenza impressionante di violenze fasciste, dagli assalti a colpi di bomba alle Botteghe Oscure fino allo strapotere squadrista in campo scolastico ed universitario che culmina con l'assassinio, a Roma, il 27 aprile 1966, dello studente socialista Paolo Rossi (che nel libro, a pagina 11, diviene inopinatamente "Walter Rossi"). Ma per l'ineffabile Telese, che accenna alla militanza politica nel Fuan del fratello maggiore di Carlo Falvella, gli anni sessanta registrano tutto un altro clima: "Un po' di goliardia, qualche storia d'amore con le giovani amazzoni della destra" (pagina 33).
Insomma, chi lo dice che la pratica dell'antifascismo militante sia nata dalle diffuse violenze squadriste, dai tentativi di golpe, dall'impunità dello stragismo, in un paese dominato dalla Dc, dai desiderata degli Usa, dai crimini e dalle complicità degli apparati di intelligence? Niente da fare: nell'Italia di Telese i fascisti universitari si dedicano alla goliardia e all'ippica, mentre i golpe sono soltanto delle semi-burlette (pagina 149 e seguenti) o dei semplici alibi per l'antifascismo militante (pagina 152).
Infine, l'impunità dello stragismo: che sì, ci sarà pure stata, ma affogata nel principale vezzo della magistratura (rossa?) e della polizia (rossa?) di evitare ogni problema giudiziario alle orde assassine della "sinistra extra-parlamentare", sostenute dagli intellettuali (rossi) e dal giornalismo (rosso). Mancano soltanto le cooperative (rosse), che forse sono tenute da conto per il prossimo libro.
La sinistra non porta del resto fortuna al nostro ambizioso giornalista: sbaglia nell'analizzare gli slogan ( "Camerata basco nero etc." era dedicato all'Arma e non ai fascisti, vedi pag.466), mentre a Roma sono i fascisti di Colle Oppio a disturbare le manifestazioni di sinistra dall'alto della balconata di San Pietro in Vincoli, che s'affaccia su via Cavour, e non il contrario (pag. 483).
Ma il top dell'imprecisione si raggiunge con il breve accenno all'assassinio di Walter Rossi, in cui in appena quattro righe di pagina 487 si sbaglia luogo (non Piazza Igea ma viale delle Medaglie d'Oro) e contesto (nessun assalto alla sezione missina di Balduina ma un semplice volantinaggio a più di 100 metri di distanza). Anche nel caso di Alceste Campanile, infine, è ormai dimostrata, contrariamente a quanto si scrive alle pagg. 603 e 605, la pista neofascista, con la confessione resa dell'estremista di destra Paolo Bellini. Ma nessuno sembra averne messo al corrente Luca Telese.

Pubblicato Luglio 25, 2006 11:59 PM

Criminalità e devianza


"Avevo il diritto di viverla, quella felicità. Non me lo avete concesso. E allora, è stato peggio per me, peggio per voi, peggio per tutti... Dovrei rimpiangere ciò che ho fatto? Forse. Ma non ho rimorsi. Rimpianti sì, ma in ogni caso nessun rimorso..."Julies Bonnot

Conoscete la vicenda della
Confraternita dei Bucanieri?
Siamo nel XVII secolo, in Inghilterra il destino che toccava ai ragazzi delle classi subalterne, dall’età di sette-otto anni, era di essere mandati lontano da casa per lavorare presso residenze borghesi ed aristocratiche.
Quando il lavoro veniva a mancare, il modo più sicuro per sopravvivere in strada era quello di unirsi ad una delle bande dedite all’elemosina ed al furto. Uno dei modi utilizzati dalle istituzioni contro queste bande divenne la deportazione oltreoceano ed il conseguente arruolamento nella Marina britannica. Molti di loro decisero di non continuare a servire Sua Maestà su una nave da guerra e preferirono diventare parte, nei mari delle isole indoccidentali, della Libera Confraternita dei Bucanieri. Di costoro ha scritto il sociologo Hakim Bey “adottarono costumi indiani, si sposarono con donne caraibiche, accettarono Neri e Spagnoli come pari, rigettarono ogni nazionalità”.Valerio Marchi,sociologo che si è occupato delle varie forme che il conflitto ha assunto nella cultura giovanile, scrisse “Quel bambino, nella lontana Inghilterra, che a sette anni è stato spedito fuori casa, a servizio di qualche potente o a soffrire fame e freddo in qualche bottega […], che ha subito le atrocità della guerra, che è fuggito ancora ed è approdato in un nuovo mondo, ha infine contribuito a costruire una delle esperienze antagoniste più politicamente radicali della storia. Mica male, per un teppistello da quattro soldi.”

giovedì 27 marzo 2008

Insistono sulla bufala

Ergo quelle con la diossina le abbiamo mangiate noi. calo delle vendite del 50% e dei prezzi solo del 10% (che cazzo di leggi economiche ci sono adesso?)

Da Repubblica
La Commissione chiede nuovi interventi "per evitare che prodotti contaminati entrino nel mercato europeo". L'Europa pronta a "misure di salvaguardia". Le assicurazioni dai responsabili della Salute: "Prodotti contaminati non sono stati esportati"

Ve la mangereste una mozzarella di bufala campana?

Se questo è il modo per rassicurare i consumatori.....
Intanto sappiamo che la quantità di diossina non è eccessiva, probabilmente si riferiscono al fatto che per morire di "bufala" ci metterai un pò di più.
Dopo di che sappiamo che quelle contaminate non le hanno esportate, probabilmente le abbiamo già mangiate noi.Adesso mi spiego lo sconto del 40% al supermercato!

Da La Repubblica

Mozzarella, la Ue sulla diossina
"Quantità non è eccessiva"

Ore frenetiche tra Roma e Bruxelles. La Commissione chiede subito altri chiarimenti. Poi le Politiche agricole: "Già inviati". Prodotti contaminati non sono stati esportati". Infine la dichiarazione del portavoce del commissario alla Salute. Che però precisa: "In alcuni casi diossina sopra la legislazione"

mercoledì 26 marzo 2008

Signori non voto, nè con lo stato nè con le BR

Tra i tanti paradossi surreali e le motivazioni, più o meno comprensibili e contorte, sul perché si vota Antonio piuttosto che Peppino,ci metto anch'io un bel titolo di quelli che fanno alzare le antenne.
La mia è una posizione ideologica d'antan. Vecchia.
Penso che Silvio e Walter rappresentino due facce un pò diverse della stessa medaglia e che gli amici arcobaleno, dopo le note vicende di governo, abbiano bisogno di un sano ripensamento di quelle che sono le gerarchie e le facce con cui si presentano oltre che di strategia e di contenuti della loro proposta.
Il resto della sinistra alternativa prova a contarsi, in modo idiota, proponendo due simboli speculari rispetto ai quali mi sarebbe difficile scegliere, per cui non scelgo e li faccio affogare.
Però, osservo, che tra le tante opzioni praticabili una mi mancava: quella del dispetto. Propongo di votare un fascio (comune di Roma) o un ex funzionario di partito, ex comunista, ex socialdemocratico in compagnia di un ex radicale con il quale ha formato una bel partito nuovo di zecca che, fantasia, si chiama come quelli dell'altra sponda dell'oceano (anche loro probabilmente ex di qualcosa, forse ex imperialisti).
Io, che ex non mi considero, affermo in tutta semplicità che votare questa gente e questa marmellata ideologica non è una scelta "democratica". Non ci sono spazi di dibattito, non c'è possibilità di scegliere gli uomini e le donne e 15 /20 anni della loro storia stanno lì dimostrare che quello che dicono non lo pensano, non c'è una visione di società all'altezza degli eventi e non c'è una potenziale classe dirigente selezionata dal vivere comune a tanta gente.
Quindi votare perchè?
Per dare più possibilità a degli immigrati?Balle, quelli si attrezzano da soli e secoli di volontariato hanno risolto molte più questioni di tante leggi e parlamentari.Le sanatorie le ha fatte anche il Berlusca perché, al contrario, il culo alla zia novantenne avrebbe dovuto pulirlo lui.

Dare più possibilità ai lavoratori?Balle, quando hanno voluto sono usciti dai luoghi di lavoro ed hanno superato con forme incisive di lotta luoghi e formule di rappresentanza stantii. Come pensate sia potuto accadere che negli anni 70 i salari italiani erano i più alti d'Europa? Per carità cristiana?Ci sono volute le piazze Statuto ed i vari scontri alla corso Traiano.
Non è che fossero più evoluti e coscienti di quelli che affollano i grandi magazzini oggi, semplicemente non ce l'hanno più fatta.
Certo c'era un grande partito comunista, ma mica tanto d'accordo sul come si esprimevano certe rivendicazioni.
Ed ora cosa ci proponete di turarci il naso alla Montanelli e votare PD o di fare dispetto perché tanto vale il fascio?
Io a tanto non ci arrivo. Preferisco astenermi.

lunedì 24 marzo 2008

Monnezza e conflitto

Ci raccontano, le cronache pasquali, che i pochi turisti che si sono fatti un viaggio a Napoli non hanno avuto il panorama rovinato dai quintali di sacchetti che spesso vediamo in televisione.
Le stesse cronache ci dicono che, in realtà, l'unica spazzatura che non occupa il suolo pubblico da quelle parti è quella che arriva dal centro e dai quartieri bene della città.
Per una sorta di divisione di classe, anche in questo, alla periferia tocca in sorte quello che tocca agli "sfigati" in genere.la bellezza del panorama a chi può, la merda a chi vive ai margini e non conosce il n° di telefono personale di qualche assessore.
Sappiamo bene che un giro turistico non prevede fermate a Barra o a Ponticelli. Lì c'è solo la camorra e chi con questa fa i conti tutti i giorni.

Cosa volete che possa produrre la periferia se non manovalanza a basso costo e lavoro "cinese, mentre al centro si preoccupano di produrre ricchezza legittima e legittimata da spartirsi in quattro?
Pensate che qualche economista di belle speranze (di quelli che studiano a Londra) non abbia fatto una analisi costi benefici di una scelta del genere? Che tutto viaggi sulle orme del caso inconsapevole?

In questo contesto, l'indignazione del compagno Bertinotti arriva solo fino al punto di censurare la presenza dell'ex leghista, e sponsor della rivolta fiscale, Calearo nelle fila del PD rievocando immagini di conflitto sociale.
Non arriva fino al punto di fare un'operazione semplice e di onestà "morale" togliere l'ossigeno a quella specie di sindaco del rione Sanità a nome di Bassolino.
Quando la politica ha, concretamente, la possibilità di mostrare in modo facile e comprensibile come dagli enunciati di principio si possa passare ai fatti ecco che il "realismo" e la paura del nano costringe tutti all'omertà ed alla collaborazione.
Un pò ricorda la logica di accettazione del pizzo.
Perchè Calearo fa conflitto e quintali di monnezza no?.
Misteri della logica degli ex rifondaroli e di chi gli darà il voto.

Mentre affoghiamo nella nostalgia del prossimo Duce nano (per poterci scatenare un pò con un tantino di sano conflitto sociale e farci difendere dai deputati arcobaleno nei cortei)di fare prediche agli ectoplasmi di plastica del PD non abbiamo voglia.Basterebbero da sole le ultime dichiarazioni dell'Africano di ritorno su pensioni, G8 e precariato.
Un solo epitaffio per costoro "avete la faccia come il culo"

Into the wild

Vale la pena vederlo, per constatare come prima le fai certe scelte e più possibilità' hai di non farti fottere il cervello.
Anche se confesso che, finito di vedere il film, sono andato da mia figlio per toccarlo e sentire la sua presenza.
Nella storia di Cristofer chi ha voglia ci potrà ritrovare quello che vede quando, da solo ed al buio, ripensa a tutte le volte che ha elaborato il suo viaggio, la sua fuga. La voglia di mandare tutto a farsi fottere, legare i giorni semplicemente al combinato del tempo e di ciò che ti può accadere lungo la strada.
Io ho avuto la fortuna di poter viaggiare con la sensazione di sentirmi libero. O almeno di sentirmi tale fino al momento in cui un check in ti riportava al punto di partenza.
Durante uno scambio di idee Cris racconta di quando ha deciso di bruciare i soldi che aveva perché possederli lo costringeva ad essere prudente.
Il film è la storia vera di questo ragazzo che, a 22 anni, decide di lasciarsi tutto alle spalle.Rincorre la sua voglia di andarsene in Alaska alla ricerca di una dimensione di vita diversa, più in sintonia con il suo modo di vedere la vita, i rapporti con le persone e la natura.
C'è il rapporto conflittuale con la famiglia, l'insoddisfazione adolescenziale, i sogni e gli spazi immensi.
Alla fine di quel viaggio c'è la morte.
Ho toccato Lucas, facendolo toccavo in realtà me stesso, ho ripensato a quando, da ragazzo, sognavo il viaggio. Mi sono cibato di Jack Kerouac per un pezzo della mia vita.Appena ho potuto ho spiccato il volo e non c'è nulla di comparabile di un viaggio fatto da solo, lontano da tutto,con lo stretto necessario per cambiarsi ogni tanto.Penso anche io che ognuno di noi dovrebbe misurasi almeno una volta solo con se stesso nel vero senso della parola. Provare ad affrontare quello che ti circonda potendo contare solo su di te, sulla tua forza.
Cosa c'è nella vita che ci rende prudenti e ci costringe a soffocare le pulsioni e la voglia di mutare la prospettiva del nostro vivere quotidiano? La prudenza a cui ci costringono le convenzioni ed i soldi? L'aspettativa di una vita tranquilla fuori dal gorgo? Balle, penso sia un misto di rassegnata razionalità, secoli di vita stanziale che hanno ucciso il gusto della scoperta.Non per tutti, certo.
Spero che mio figlio,per parlare di qualcosa che mi ha reso molto prudente, se la giochi la sua vita. E che se la viva senza avere, alla fine del suo viaggio, la sensazione di aver perso un'occasione.


domenica 23 marzo 2008

Il sindacalismo di base e quelli che producono chiacchiere

C'è un ritratto, oggi sulla Stampa, di quello che significa fare il sindacalista o, se volete, il militante o, se volete ancora, il volontario.
Secondo un modo di operare degno di categorie ottocentesche e del secolo scorso, a Torino e provincia, un gruppo di operai passa il suo tempo cercando di convincere, in realtà inaccessibili ai più, qualche collega a trovare il coraggio e la forza di inserire una RSU all'interno della fabbrica.
Scriviamo di persone che, durante il tempo libero o perchè in cassa integrazione o pensionato,girano tra boite e piccole realtà per promuovere assemblee sindacali e fare proselitismo.
Parliamo di compagni e compagne della FIOM che raccontano dei ricatti a cui sono sottoposti migliaia di lavoratori, impiegati in realtà molto piccole, dove non esistono diritti perché il padrone è uno che si è fatto il culo e mai farebbe entrare un sindacalista in fabbrica, dove non si capisce cosa sia la 626, e dove devi fare attenzione a non chiamare la Asl o l'ispettorato del lavoro perché quei lavoratori ti chiedono di non calcare la mano anche se quello che vedi ti fa girare lo stomaco.Il rischio di perdere il lavoro loro non lo possono correre, e per quello si può accettare di rinunciare ad alzare la testa dal tornio qualsiasi sia la cosa che ti accade intorno.
Una realtà fatta da più di 700 aziende nella sola zona di Torino, con un tasso di sindacalizzazione pari al 25%.

Gaetano Perez, operaio, a chi lo intervista dice:"E' una soddisfazione. A volte basta spiegare che la busta paga è sbagliata. O annunciare un'assemblea perchè vengano fuori scarpe e guanti da lavoro. E poi vedo come stanno peggio i giovani rispetto a come stavamo noi.Sono sfiduciati.Io da ragazzo andavo a Rivalta contento, questi sono tristi."

Un paio di post fa scrivevo che per fare cose straordinarie è necessario contribuire a risolvere questioni ordinarie.Sono legato ad una visione della società che i più catalogano come superata ed ottocentesca. Magari persone che non hanno visto quello che c'è fuori dal loro orizzonte, ingessati dall'appartenenza ad una classe sociale che alza le spalle di fronte a ciò che c'è ma che loro si ostinano a chiamare in un altro modo.
Sono convinto che, nel suo oscillare, il tempo ha riportato le lancette della storia al punto di partenza. Al momento in cui iniziava un periodo di accumulazione delle ricchezze e di sfruttamento del capitale umano dal quale hanno avuto origine lotte e momenti duri di confronto tra classi sociale antagoniste negli interessi e nella visione della società.Interessi netti e precisi, difficilmente mediabili o che lo sono solo in parte.

Sono convinto, allo stesso tempo, che non è più tempo di grandi discorsi o di progetti costruiti per qualcun altro. Oggi conquistare un centimetro vale molto di più del pensare di progettare un Km. di ponte.Penso che dovremmo concentrarci di nuovo sulla conquista dei centimetri.Presidiare quegli spazi che erano nostri, costruire modalità di vita e di relazioni sociali che siano in parallelo ed antagoniste rispetto a ciò che è dato.
In questo penso che la responsabilità di chi si dichiara appartenente alla sinistra sia immensa di fronte a persone come l'operaio Gaetano Perez.
Lui fa e molti altri pontificano a fanno solo chiacchiere.Producono discorsi ed analisi sulle ragioni del cambiamento epocale, sui motivi per cui andare o non andare a votare.Ognuno di loro (noi) sarà solo di fronte alla sua coscienza e potrà in solitudine provare a rispondere ad una semplicissima domanda " Ma, alla fine di tutto questo chiacchierare, cosa mi fa uguale all'operaio Perez di fronte a quella massa sterminata che quelli come lui rappresentano?"

sabato 22 marzo 2008

La torta in faccia a Karuso ed agli ex rifondaroli

Questo è quanto è accaduto al Kompagno Karuso proiettato, dalle logiche romane, a rappresentare gli arKobaleno nel Veneto.
Cosa ci fa lui nel Nord-Est lo capiscono solo Bertinotti ed i suoi.Ma, cosa più importante,se la legge elettorale fa schifo, e non offre la possibilità al territorio di esprimere suoi rappresentanti, perché avallare con l'accettazione di quella logica una roba che fa schifo?
Questa è l'ipocrisia che non ci piace. Quella che predica bene e razzola male, come se uno dei problemi per un Komunista, come sono i compagni della striscetta in fronte, fosse quello di uniformarsi al mare di merda per affogarci più tranquillamente dentro e con la Koscienza a posto.




Da Repubblica di oggi

La bomba di panna montata colpisce lo storico Nicola Tranfaglia, 70 anni, e imbianca solamente il più lesto Francesco Caruso, il leader no global destinatario del dolce pensiero. Ma il danno è fatto e ora è in piazza in tutta la sua evidenza. Difficile anche, a questo punto, rimettere insieme i cocci.

In Veneto è guerra aperta tra la Sinistra-L'Arcobaleno e la parte forse più pesante del suo elettorato, quella dei centri sociali, degli ambientalisti e dei verdi. Un no global, a volto scoperto, ha atteso la prima uscita veneta del candidato Caruso e ha cercato di colpirlo con una coppa gelato. Un dettaglio pesantissimo a tre settimane dal voto. E ora in via Liguria, il quartier generale romano della Sinistra a Roma, ci si chiede con preoccupazione che fine faranno i circa 500 mila voti che Rifondazione, Verdi e Comunisti hanno intascato nelle politiche del 2006. Il timore è che per rabbia restino inespressi o che, sempre per rabbia, vadano "in prestito" al Pd seguendo una nuova corrente di pensiero che in Veneto attraversa tutta la sinistra e fa capo al sindaco Massimo Cacciari.

I fatti. Venerdì sera l'onorevole disobbediente, Francesco Caruso, n.2 nel collegio Veneto 2 per la Camera nelle liste della Sinistra, e lo storico contemporaneista e docente universitario Nicola Tranfaglia, n.1 per il Senato nelle stesse liste, si erano appena seduti a Venezia ai tavolini della trattoria "Al nono risorto" a due passi da Rialto per illustrare temi e contenuti della campagna elettorale.

Lo storico e il disobbediente, coppia curiosa, a suo modo complementare, lo studioso e il provocatore, entrambi napoletani. Buone chance di successo, avranno pensato i tecnici delle liste quando li hanno scelti, accoppiati e destinati al nord-est. Forse. Ma di sicuro non in Veneto dove da un paio d'anni anni si combatte la battaglia sorda tra due ex grandi amici: Luca Casarini, leader disobbediente del nord-est e Francesco Caruso, il suo omologo del sud. Per anni si sono dati appuntamento nelle piazze d'Italia e d'Europa, hanno trascinato il Movimento, sono finiti indagati, arrestati, processati. Poi due anni fa Caruso è stato candidato, è diventato onorevole e Casarini ha detto basta, chiuso. Fine di una storia.

Ora succede che la somma di due fattori, regole della legge elettorale ed equilibri interni della Sinistra-Arcobaleno, ha fatto calare dall'alto, da Roma, e proprio in Veneto i due candidati napoletani. "Una provocazione nei miei confronti" disse Casarini appena saputo della candidatura di Caruso. Venerdì sera, la trattoria "Al nono risorto" era un po' la prima tappa nel territorio della campagna elettorale. Ed è finita a coppe di gelato in faccia.

"Eravamo lì a sedere, appena arrivati, tutti intorno a un grande tavolo, clima conviviale" racconta Caruso. "E' entrato uno, mi sembrava giovane, testa rasata, giubbotto, ho appena fatto in tempo a sentire il segretario provinciale di Rifondazione che diceva "ehi, ma che fai..." e nell'aria è sibilato il biccherino gelato a base di panna". Caruso ha fatto in tempo a scansarsi ("non l'ho preso in faccia") mentre il professor Tranfaglia è stato centrato. Lo storico ci ha scherzato su: "Non sono abituato..." a scansare gelati volanti.

Il lanciatore si è dileguato. Ma non è stato difficile capire chi ha armato quella mano. Lo spiega lo stesso Caruso: "Qui in Veneto c'è chi terorizza che i Movimenti debbano restare lontani dalla politica. Io invece sostengo che la scommessa sia proprio quella di mettere insieme le due cose". E poi: "E' patetico l'atteggiamento di chi pensa che la mia candidatura qui sia contro qualcuno o una provocazione contro qualcosa". Questo "qualcuno" si chiama Luca Casarini e Beppe Caccia, leader dei verdi veneziani. "La torta in faccia non porta la nostra firma. Noi Verdi abbiamo altri sistemi" precisa Caccia. Che però critica il progetto politico della Sinistra Arcobaleno, i modi e le scelte "che seguono una logica tutta romana poco attenta a quello che nasce dal basso".

Caruso è dispiaciuto e preoccupato. E il Veneto potrebbe diventare un laboratorio per capire i destini della Cosa Rossa, del nuovo soggetto unico a sinistra ma anche del Pd. Un laboratorio dove si muovono vari personaggi in cerca, sembra, di una casa comune. C'è Luca Casarini che nel frattempo ha scritto un romanzo giallo ("La parte della fortuna", Mondadori) che mescola noir e militanza politica. Tra i ringraziamenti spicca quello "al mio cattivo maestro Toni" (Negri ndr). Entusiasta è la prefazione del sindaco Cacciari, mai stato troppo tenero col Pd, e la nota di Gianfranco Bettin, prosindaco storico di Mestre, verde da sempre, docente di sociologia. Per tutti loro Caruso e Tranfaglia sono solo nomi nomi "paracadutati" da lontano.

giovedì 20 marzo 2008

Perchè ci sarà l'inciucio


Un fantasma Argentino si aggira per l'Italia?

Dal corriere della sera di oggi:


la scorsa settimana un'asta per i titoli di stato ando' parzialmente scoperta

Financial Times: «Il Tesoro avrà
difficoltà nel collocare i nuovi Bot»

Il quotidiano britannico cita una fonte della Banca d'Italia. Ma poi tranqullizza: nessun rischio default

ROMA - Dopo quanto successo la scorsa settimana quando per la prima volta dall'ottobre 1999 un'asta per i Bot è andata parzialmente scoperta ora c'è chi prospetta che per il Tesoro potrebbe presentarsi una «temporanea difficoltà» nel collocamento di 50 miliardi di euro di nuovi titoli pubblici a causa delle tensioni sui mercati internazionali.

Il ministro dell'Economia

DEBITO PUBBLICO - Il governo di centro-sinistra ha avuto successo nel tagliare l'enorme debito pubblico italiano al 103% del pil, il più alto dell'Eurozona, ma deve ancora pagare 70 miliardi di euro all'anno di cedole, ricorda il quotidiano britannico. Un'asta a breve termine del Tesoro è andata parzialmente deserta la scorsa settimana, ed è stata la prima volta dal 1999, viene ricordato. Il Financial Times sottolinea che dal Tesoro si fa notare come si sia trattato di un incidente minore dovuto alla delicata situazione dei mercati internazionali, testimoniato anche dal fatto che due giorni dopo un'altra asta di bond è stata coperta per oltre due volte e mezzo l'offerta. Dalla Banca d'Italia si mette poi in evidenza, secondo quanto scrive il giornale della City, che si tratta di una possibile difficoltà generata dall'elevata richiesta di copertura del debito nei prossimi mesi, e si assicura tuttavia che esistono «zero possibilità di default» per l'Italia. Secondo alcuni analisti citati dal FT il debito pubblico italiano risente dello spread con il Bund tedesco, salito nel corso di queste ultime settimane al livello mai raggiunto dal '99 con il lancio dell'euro, sebbene negli ultimi giorni questo differenziale sia sceso a vantaggio dell'Italia a 55 punti base dal picco di 60 toccato alcuni giorni prima.


20 marzo 2008

Il dolce Tibet

Ho trovato su http:// www.comedonchisciotte.org l'articolo che ricopio in toto (compreso nome autore e testi citati), ho intenzione di scrivere qualcosa sulla Cina e su quel modello di socialismo di stato tanto caro ai nostri business man, però vi invito alla lettura.Uno dei commenti all'articolo è stato che una "roba" del genere farà felice qualsiasi dirigente comunista cinese.Sicuramente è vero.Varrebbe la pena leggere qualcosa che abbia la stessa "forza" con argomenti e ricostruzione storica al contrario.Così tanto per farci un opinione.

DI MICHAEL PARENTI

Da un capo all’altro dei secoli è prevalsa una dolorosa simbiosi fra religione e violenza. Le storie della cristianità, del giudaismo, dell’induismo e dell’islamismo sono pesantemente legate a vendette micidiali e distruttive, persecuzioni e guerre. Più volte, gli appartenenti ad una confessione religiosa hanno rivendicato e vantato un mandato divino per terrorizzare e massacrare eretici, infedeli ed altri peccatori.

Alcuni hanno obiettato che il buddismo è diverso, che occupa una posizione antitetica rispetto alla violenza cronica delle altre confessioni religiose. In verità, così com’è praticato da molti negli Stati Uniti, il buddismo è più una disciplina “spirituale” e psicologica che non una teologia nel senso consueto del termine. Esso offre tecniche meditative e auto-terapie che si ritiene favoriscano l’ “illuminazione” e l’armonia dell’interiorità. Ma, come ogni altro sistema di valori, di convinzioni, il buddismo deve essere valutato non soltanto dalle sue dottrine, ma dall’effettivo comportamento dei suoi seguaci.



Eccezionalità del buddismo?

Un colpo d’occhio alla storia rivela che le organizzazioni buddiste non fanno eccezione alle persecuzioni violente che hanno così caratterizzato i gruppi religiosi nel corso delle epoche storiche. In Tibet, dall’inizio del diciassettesimo secolo e sino al secolo successivo inoltrato, sette buddiste in conflitto si impegnarono in ostilità armate ed esecuzioni sommarie. (1) Nel ventesimo secolo, dalla Thailandia alla Birmania alla Corea al Giappone, i buddisti si sono scontrati fra loro e con i non buddisti. In Sri Lanka, enormi battaglie in nome del buddismo sono parte integrante della storia cingalese. (2)

Soltanto pochi anni fa, in Corea del Sud, migliaia di monaci dell’ordine buddista Chogye – che, secondo l’opinione generale erano dedicati ad una ricerca meditativa alla ricerca dell’illuminazione spirituale – si combatterono con pugni, pietre, bombe incendiarie, e randelli, in battaglie campali che continuavano per settimane. Stavano rivaleggiando per il controllo dell’ordine monastico, il maggiore della Corea del Sud, con il suo budget annuo di 9.2 milioni di dollari, i suoi milioni di dollari aggiuntivi in proprietà, e il privilegio di nominare 1700 monaci per mansioni varie. Le risse distrussero in parte i principali santuari buddisti e lasciarono dozzine di monaci feriti, alcuni dei quali in maniera seria.

Entrambe le fazioni che lottavano per la supremazia ricercavano il sostegno della nazione. In effetti, i cittadini coreani sembravano disdegnare entrambe le parti, essendo dell’opinione che non aveva importanza quale consorteria avrebbe preso controllo di un ordine, poiché avrebbe comunque impiegato le donazioni dei fedeli per accumulare ricchezze, comprese case ed auto costose. Secondo un notiziario di cronaca, la confusione all’interno dell’ordine buddista Chogye (molta della quale portata sugli schermi televisivi coreani): “ha mandato in frantumi l’immagine dell’Illuminismo Buddista”. (3)

Ma molti buddisti odierni negli Stati Uniti farebbero obiezione, affermando che nulla di ciò si applicherebbe al caso del Dalai Lama e del Tibet da lui presieduto prima della spaccatura cinese del 1959. Il Tibet in cui credono, quello del Dalai Lama, era un mondo orientato verso un orizzonte spirituale, scevro da stili di vita egoistici, libero dal vuoto materialismo, da inutili ricerche e dai vizi corrotti che assediano la società moderna industrializzata. I media occidentali, insieme a uno stuolo di libri di viaggi, romanzi e film di Hollywood hanno dipinto la teocrazia tibetana come una vera Shangri-La e il Dalai Lama come un santo saggio, “il più grande essere umano vivente”, come lo ha descritto con grandissimo entusiasmo l’attore Richard Gere. (4)

Lo stesso Dalai Lama ha dato adito a tali immagini idealizzate sul Tibet, mediante affermazioni come: “La civiltà tibetana ha una ricca e lunga storia. L’influenza persuasiva del buddismo e le asperità di una vita fra gli ampi spazi aperti di un ambiente incorrotto, ha avuto come risultato una società dedicata alla pace e all’armonia. Provavamo diletto nella libertà e nella contentezza, nell’essere paghi.” (5)

Ma la storia del Tibet appare un po’ diversa. Nel tredicesimo secolo, l’imperatore Kublai Khan creò il primo Grande Lama, che avrebbe dovuto presiedere tutti gli altri Lama, così come farebbe un papa con i suoi vescovi. Parecchi secoli dopo, l’imperatore della Cina inviò un esercito in Tibet per sostenere il Grande Lama, un’ ambizioso venticinquenne che si autoconferì il titolo di Dalai (Oceano) Lama, signore di tutto il Tibet. Ecco un’ironia storica: il primo Dalai Lama fu investito della propria carica da un esercito cinese. Per elevare la sua autorità oltre la sfida mondana, temporale, il primo Dalai Lama confiscò monasteri che non appartenevano alla sua setta, e si crede anche che abbia distrutto scritti buddisti contrastanti con la sua pretesa di divinità.

Il Dalai Lama che gli successe ricercò una vita sibaritica (ndt: termine che indica un eccesso di lusso e mollezza, “degno di un sibarita”), da individuo raffinato e dedito ai piaceri, godendo di molte concubine, organizzando feste, scrivendo poesie erotiche e comportandosi in altri modi, che dovrebbero sembrare sconvenienti per una incarnazione degli dei.

Per questo la sua figura, in seguito è stata "oscurata" dai suoi monaci. In 170 anni, malgrado il loro stato riconosciuto come dei, cinque Lama di Dalai sono stato assassinati dai loro gran sacerdoti o da loro altri cortigiani non violenti buddistici. (7)

Shangri-La (per signori e Lama)

Le religioni hanno sempre avuto una stretta correlazione non soltanto con la violenza, ma anche con lo sfruttamento economico. In realtà, è spesso la strumentalizzazione economica che conduce necessariamente alla violenza. Tale è stato il caso della teocrazia tibetana. Fino al 1959, quando il Dalai Lama presiedette l’ultima volta il Tibet, la maggior parte della terra arabile era ancora organizzata attorno a proprietà feudali religiose o secolari lavorate da servi della gleba. Addirittura uno scrittore come Pradyumna Karan, solidale con il vecchio ordine, riconosce che “una grande quantità di proprietà apparteneva ai monasteri, la maggioranza di essi accumulava notevoli ricchezze… Inoltre, monaci e Lama riuscirono ad ammassare individualmente notevoli ricchezze tramite la partecipazione attiva negli affari, nel commercio e nell’usura.” (8)

Il monastero di Drepung era uno delle più estese proprietà terrestri del mondo, con i suoi 185 feudi, 25.000 servi della gleba, 300 grandi pascoli e 16.000 guardiani di gregge. La ricchezza dei monasteri andava ai Lama di più alto rango, molti dei quali rampolli di famiglie aristocratiche, mentre invece la maggior parte del clero più basso era povero come la classe contadina dalla quale discendeva. Questa disuguaglianza economica classista all’interno del clero tibetano, è strettamente paragonabile a quella del clero cristiano dell’Europa medievale. Insieme al clero superiore, i leaders secolari facevano la loro parte. Un esempio considerevole fu il comandante in capo dell’esercito tibetano, che possedeva 4.000 chilometri quadrati di terra e 3.500 servi. Egli era anche un membro del Consiglio terriero del Dalai Lama. (9) L’Antico Tibet è stato rappresentato da alcuni dei suoi ammiratori occidentali come “una nazione che non necessitava forze di polizia perché il suo popolo osservava spontaneamente le leggi del karma.” (10) In realtà era dotato di un esercito professionale, sebbene di piccole dimensioni, che era al servizio dei proprietari terrieri come gendarmeria, con l’incarico di mantenere l’ordine e catturare i servi della gleba fuggitivi. (11)

I ragazzini tibetani venivano regolarmente sottratti alle loro famiglie e condotti nei monasteri per essere educati come monaci. Una volta laggiù, erano vincolati per tutta la vita. Tashì-Tsering, un monaco, riferisce che era pratica comune per i bambini contadini essere abusati sessualmente nei monasteri. Egli stesso fu vittima di ripetute violenze sessuali perpetrate durante l’infanzia, non molto tempo dopo che fu introdotto nel monastero, all’età di nove anni. (12)

Nell’Antico Tibet vi era un piccolo numero di agricoltori il cui stato sociale era una sorta di contadino libero, e forse un numero aggiuntivo di 10.000 persone, le quali costituivano la “classe media”, famiglie di mercanti, bottegai e piccoli commercianti. Migliaia di altri erano mendicanti. Una piccola minoranza erano poi schiavi, di solito servi domestici, che non possedevano nulla. La loro prole nasceva già in condizioni di schiavitù. (13)
Nel 1953, la maggioranza della popolazione rurale – circa 700.000 su una popolazione totale stimata 1.250.000 – era composta da servi della gleba. Vincolati alla terra, veniva loro assegnata soltanto una piccola parcella fondiaria per poter coltivare il cibo atto al sostentamento. I servi della gleba e il resto dei contadini dovevano in genere fare a meno dell’istruzione e dalle cure mediche. Trascorrevano la maggioranza del loro tempo sgobbando per i monasteri e per i singoli Lama di alto rango, e per un’aristocrazia secolare, laica, che non contava più di 200 famiglie. Essi erano in effetti proprietà dei loro signori, che gli comandavano quali prodotti della terra coltivare e quali animali allevare. Non si potevano sposare senza il consenso del loro signore o Lama. Se il suo signore lo avesse inviato in un luogo di lavoro lontano, un servo avrebbe potuto essere facilmente separato dalla sua famiglia. I servi potevano essere venduti dai loro padroni, o sottoposti a tortura e morte. (14)

Se dobbiamo dar credito al racconto di una donna ventiduenne, ella stessa serva fuggiasca, il signore tibetano era solito selezionare fra il meglio della popolazione femminile di servitù della gleba: “Tutte le ragazze graziose della servitù erano solitamente prese dal proprietario come domestiche e trattate come lui desiderava.” Esse “erano soltanto schiave senza alcun diritto.” (15) La servitù necessitava di un permesso per recarsi ovunque. I proprietari terrieri avevano l’autorità legale di catturare e impiegare metodi coercitivi, sino alla violenza, nei confronti di quelli che tentavano di fuggire, obbligandoli a tornare indietro. Un servo di ventiquattro anni, anch’egli fuggiasco, intervistato da Anna Louise Strong, accoglieva con favore l’intervento cinese come una “liberazione”. Nel corso del suo periodo di servitù sostiene di non avere ricevuto un trattamento molto diverso da un animale da traino, sottoposto a un incessante lavoro, fame e freddo, incapace di leggere o scrivere, senza conoscere nulla, né sapere nulla. Egli racconta il suo tentativo di fuga: la prima volta che [gli uomini del padrone] mi agguantarono mentre stavo cercando di sfuggire, ero molto piccolo, e mi diedero soltanto un buffetto imprecando contro di me. La seconda volta mi picchiarono. La terza volta avevo già quindici anni e mi diedero quindici frustate pesanti, violente, con due uomini seduti sopra di me, uno sulla mia testa e uno sui miei piedi. Il sangue mi uscì allora dal naso e dalla bocca. Il sorvegliante disse: “Questo è soltanto sangue dal naso; forse prenderai bastonate più forti, e perderai sangue dal cervello.” Mi picchiarono poi con bastonate più intense, versando alcool e acqua con soda caustica sulle ferite, per aumentare il dolore. Persi i sensi per due ore…” (16)

Oltre a ritrovarsi in un vincolo lavorativo che li obbligava a lavorare la terra del signore – oppure quella del monastero - per tutta la durata della vita e senza salario, i servi della gleba erano costretti a riparare le case del signore, trasportarne la messe e raccoglierne la legna da ardere. Si esigeva anche che provvedessero a trasportare gli animali e al trasporto su richiesta, a seconda delle pretese del padrone. “Era un efficiente sistema di sfruttamento economico, che assicurava alle élites laiche e religiose del paese una forza lavoro sicura e permanente per coltivare i loro appezzamenti di terreno, che li esonerava dall’accollarsi qualsiasi responsabilità quotidiana diretta circa la sussistenza del servo, e senza la necessità di competere per la manodopera in un contesto di mercato.” (17)
La gente comune sgobbava sotto il doppio fardello della corvée (lavoro forzato non retribuito in favore del padrone) e delle decime onerose. Ogni aspetto della vita era gravato da tributi: il matrimonio, la nascita di ogni figlio, ogni morte in famiglia. Erano soggetti a imposta per aver piantato un nuovo albero nel loro cortile, per tenere animali domestici o dell’aia, per il possesso di un vaso di fiori, o per l’aver messo un campanello ad un animale. C’erano tasse per le festività religiose, per cantare, ballare, far rullare il tamburo e suonare il campanello. La gente veniva tassata per quando veniva mandata in prigione e quando la si rilasciava. Addirittura i mendicanti erano soggetti alla pressione fiscale. Quelli che non riuscivano a trovare lavoro erano tassati a causa della loro disoccupazione, e se si spostavano in un altro villaggio nella loro ricerca di un’occupazione, pagavano una tassa di transito. Quando la gente non poteva pagare, i monasteri prestavano loro denaro ad un interesse oscillante fra il 20% e il 50%. Alcuni debiti venivano tramandati di padre in figlio sino al nipote. I debitori che non potevano evadere i loro debiti, rischiavano la riduzione in schiavitù per un periodo di tempo stabilito dal monastero, a volte per il resto delle loro vite. (18)
Le dottrine pedagogiche della teocrazia ne appoggiarono e rafforzarono l’ordine sociale classista. Si insegnava ai poveri e agli afflitti che i propri guai erano su di loro a causa del loro comportamento sciocco e immorale nel corso delle loro vite precedenti. Dovevano quindi accettare l a miseria della loro esistenza presente come un’espiazione e in anticipo, solo così il loro destino, la loro sorte sarebbero migliorati se fossero rinati, se si fossero reincarnati. I ricchi e potenti consideravano naturalmente la loro buona fortuna come una ricompensa e una dimostrazione tangibile di virtù nelle vite passate e presenti.

Torture e mutilazioni in Shangri-La

Nel Tibet del Dalai Lama, la tortura e la mutilazione – comprese l’asportazione dell’occhio e della lingua, l’azzoppamento e l’amputazione delle braccia e delle gambe – erano le punizioni principali inflitte ai ladri, ai servi fuggiaschi, e ad altri “criminali”. Viaggiando attraverso il Tibet negli anni ’60, Stuart e Roma Gelder ebbero un colloquio con un antico servo, Tsereh Wang Tuei, che aveva rubato due pecore che appartenevano ad un monastero. Per questo ebbe entrambi gli occhi strappati e le mani mutilate. Spiega che non è più un buddista: “Quando un sacro Lama disse loro di accecarmi, pensai che non c’era alcun bene nella religione.” (19)
Alcuni visitatori occidentali nell’Antico Tibet hanno fatto notare l’elevato numero di amputati. Dato che è contro la dottrina buddista sottrarre la vita, alcuni delinquenti furono severamente frustati e poi “abbandonati a Dio” nella gelida notte a morire. “I paralleli fra il Tibet e l’Europa medievale sono impressionanti,” conclude Tom Grunfeld nel suo libro sul Tibet. (20)

Alcuni monasteri avevano le proprie prigioni private, riporta Anna Louise Strong. Nel 1959, visitò una mostra di apparecchiature da tortura che erano state impiegate dai signori feudatari tibetani. C’erano manette di tutte le taglie, comprese quelle di piccola misura per bambini, e strumenti per mozzare nasi e orecchie, e spezzare mani. Per strappare gli occhi, c’era uno speciale copricapo di pietra, provvisto di due fori, che veniva premuto sul capo, così che gli occhi potessero gonfiarsi e deformarsi fuoriuscendo dalle orbite, facilitandone l’asportazione. C’erano congegni per tagliare le rotule e i talloni, o per azzoppare. C’erano tizzoni ardenti, scudisci e strumenti speciali per sventrare. (21)

L’esposizione presentava fotografie e testimonianze di vittime che erano state accecate o storpiate o che avevano patito amputazioni per furto. C’era il pastore il cui padrone vantava un debito nei suoi confronti in denaro e grano, ma che si rifiutava di pagare. Così il pastore si impossessò di una delle mucche del padrone; e per questo gli furono troncate le mani. Ad un altro guardiano di gregge, che si opponeva al dover concedere la moglie al suo signore, furono staccate le mani. C’erano fotografie di attivisti comunisti dai nasi e dalle labbra superiori troncati, e una donna che era stata violentata e che poi ebbe il naso mozzato. (22)

Il dispotismo teocratico era stato per anni il principio informatore. Nel 1895, un visitatore inglese in Tibet, il dr. A. L. Waddell scrisse che i tibetani erano assoggettati all’ “intollerabile tirannia dei monaci” e alle superstizioni diaboliche che essi avevano modellato al fine di terrorizzare le persone. Perceval Landon descrisse nel 1904 la regola del Dalai Lama come una “macchina da sopraffazione” e un “ostacolo ad ogni progresso umano.” Più o meno a quel tempo, un altro viaggiatore inglese, il Capitano W.F.T. O’Connor notava che “ i grandi proprietari terrieri e i sacerdoti… esercitano ciascuno all’interno del proprio dominio un potere dispotico dal quale non c’è appello,” mentre il popolo è “oppresso dalla più mostruosa crescita di monachesimo e clericalismo che il mondo abbia mai visto.” I governatori tibetani, come quelli europei durante il medioevo, “forgiarono innumerevoli armi per asservire il popolo, inventarono leggende umilianti e stimolarono uno spirito di superstizione” fra la gente comune. (23)

Nel 1937, un altro visitatore, Spencer Chapman, scrisse: “…il monaco buddista tibetano non trascorre il proprio tempo provvedendo alle persone o ad istruirle, e nemmeno i laici prendono parte ai servizi dei monasteri o li frequentano. Il mendicante sul ciglio della strada non è nulla per il monaco. La conoscenza è una prerogativa dei monasteri custodita gelosamente, ed è strumentalizzata per aumentare la loro influenza e ricchezza...” (24)

Occupazione e rivolta

I comunisti cinesi occuparono il Tibet nel 1951, rivendicando la sovranità sul paese. Il trattato del 1951 stabiliva un apparente autogoverno sotto l’autorità del Dalai Lama, ma conferiva di fatto alla Cina il controllo militare e il diritto esclusivo di condurre le relazioni estere. Si rilasciava anche ai cinesi un ruolo diretto nell’amministrazione interna “per promuovere le riforme sociali.” Inizialmente, procedevano cautamente facendo affidamento per lo più sulla persuasione, tentando di attuare processi di cambiamento. Tra le prime riforme varate ci fu quella che riduceva i tassi d’interesse da usuraio, e costruirono alcuni ospedali e strade.

Mao Tze Tung e i suoi quadri comunisti non intendevano semplicemente occupare il Tibet. Desideravano la cooperazione del Dalai Lama nel trasformare l’economia feudale del Tibet in conformità con gli obiettivi socialisti. Perfino Melvyn Goldstein, che è solidale con il Dalai Lama e con la causa dell’indipendenza tibetana, ammette che “contrariamente all’opinione corrente in Occidente”, i cinesi “perseguivano una politica moderata. Avevano cura di mostrare rispetto per la cultura e la religione tibetane” e “permettevano ai vecchi sistemi monastico e feudali di continuare immutati. Fra il 1951 e il 1959, non solo non venne confiscata alcuna proprietà aristocratica o monastica,ma venne permesso ai signori feudali di esercitare una continua autorità giudiziaria nei confronti dei contadini a loro vincolati ereditariamente.” (25) Non più tardi del 1957, Mao Tze Tung cercò ancora di rafforzare una politica progressiva. Ridusse il numero di quadri cinesi e delle truppe in Tibet, e promise al Dalai Lama che la Cina non avrebbe portare a termine riforme terriere in Tibet per i sei anni successivi e oltre, se le condizioni non fossero ancora maturate. (26)

Nondimeno però, l’autorità cinese in Tibet arrecava grandi disagi ai signori e ai Lama. Ciò che li infastidiva più di ogni altra cosa non era che gli intrusi fossero cinesi. Nel corso dei secoli avevano visto cinesi andare e venire, godendo di buone relazioni con il Generalissimo e il regime reazionario del Kuomintang in Cina. (27) Effettivamente, l’approvazione del governo reazionario del Kuomintang era necessaria, per ratificare la scelta dell’attuale Dalai Lama e del Lama Panchen. Quando il giovane Dalai Lama fu investito della sua carica a Lhasa, ciò avvenne con un scorta armata di truppe di Chiang Kaishek e di un ministro cinese in carica, in conformità con una tradizione secolare. (28) Quel che preoccupava i signori tibetani e i Lama era che questi cinesi recenti erano comunisti. Si sarebbe trattato soltanto di una questione di tempo, ne erano certi, poi i comunisti avrebbero iniziato ad imporre le loro soluzioni ugualitarie e collettiviste sulla loro teocrazia altamente privilegiata.

Nel 1956-57 bande armate tibetane tesero un’imboscata al convoglio dell’Esercito di Liberazione del Popolo cinese (EPL). La sommossa ricevette il sostegno esteso e materiale della CIA, comprendente armi, provviste e l'addestramento militare per le unità di commando del Tibetan. È ormai di conoscenza pubblica che fu la CIA a impiantare le basi di sostegno in Nepal, compiendo numerosi ponti aerei per le operazioni di guerriglia condotte all’interno del Tibet. (29) Nel frattempo negli Stati Uniti, la Società Americana per un'Asia Libera, un ramo della CIA, propagandava in modo dispiegato la causa di resistenza del Tibetan. Il fratello maggiore del Dalai Lama, Thubtan Norbu, ha giocato un notevole ruolo in questo gruppo. Molti dei commando del Tibetan e gli agenti che la CIA aveva paracadutato nel paese, erano dei capi di clan aristocratici o i figli dei capi. Il novanta per cento di loro non li conosceva nessuno nel paese, secondo una relazione della CIA. (30)
La ridotta guarnigione dell’EPL in Tibet non avrebbe mai potuto catturare tutti loro, se non avesse ricevuto il sostegno dei tibetani che non sostennero la rivolta. Questo dimostra che la resistenza ha avuto una base piuttosto stretta dentro il Tibet. "Molti Lama e molti membri laici dell'elite e molti dell'esercito del Tibetan hanno sostenuto la rivolta, ma la maggioranza della popolazione non l’ha fatto e questo ha sancito il suo fallimento," scrisse Hugh Deane. (31)

Nel loro libro sul Tibet, Ginsburg e Mathos raggiungono una conclusione simile: "Gli insorti del Tibetan non sono mai riusciti a raccogliere nei loro ranghi anche solo una consistente parte della popolazione, per non dire niente della maggioranza di essa. Per quanto può essere constatato, la gran parte della popolazione di Lhasa e della campagna contigua, non aderirono nonostante il tentativo di unirle nella lotta contro il cinese..." (32)
Alla fine la resistenza si sgretolò.

I Comunisti rovesciano il Feudalesimo

Qualunque presunta ingiustizia e qualunque presunta nuova oppressione furono introdotte dai cinesi in Tibet dopo 1959, essi di fatto hanno abolito la schiavitù ed il sistema di servi della gleba e l’utilizzo di mano d'opera non pagata. Hanno eliminato il sistema delle tasse, creato piani di nuovi lavoro, ridotto in gran parte la disoccupazione e la miseria. Hanno costruito i soli ospedali che esistono nel paese, e un nuovo sistema educativo, rompendo perciò il monopolio educativo dei monasteri. Hanno costruito i sistemi d’irrigazione per l'acqua e portato l’energia elettrica in Lhasa.Abolito il sistema delle flagellazioni pubbliche, le mutilazioni e le amputazioni come criminali forme di punizione. (33)
Il governo cinese ha espropriato anche le proprietà terriere e ha riorganizzato i contadini in centinaia di comuni. Heinrich Harrer ha scritto un libro di successo delle sue esperienze in Tibet che è diventato un film di Hollywood. (Solo dopo si è saputo che Harrer era stato un sergente nazista sotto Hitler. (34)
Egli narra che i tibetani resisterono orgogliosamente contro i cinesi e "che hanno difeso nobilmente la loro indipendenza... Erano predominantemente i nobili, i proprietari ed i Lama; sono poi stati puniti utilizzandoli per eseguire i lavori più bassi, come lavorare alla costruzione di strade e ponti. Furono poi ulteriormente umiliati, essendo usati per la pulizia delle città prima dell’arrivo dei turisti..." Dovevano anche vivere in un accampamento originalmente abitato da mendicanti e vagabondi. (35)

Dal 1961 centinaia di migliaia di acri precedentemente posseduti dai signori e dai Lama furono distribuiti agli affittuarii ed ai contadini senza terra. Nelle zone pastorali, le greggi che erano state possedute una volta dai nobili furono date alle comuni dei poveri e dei pastori. Miglioramenti ed investimenti furono apportati nell'allevamento del bestiame e per le nuove coltivazioni di verdure e di frumento e orzo, che furono introdotti per la prima volta; fu pianificato il sistema di irrigazione, che hanno portato ad un notevole incremento della produzione contadina. (36)

Molti rimasero religiosi come sempre, e liberi di dare le elemosine al clero. Ma la gente non fu più costretta a omaggiare o fare regali obbligati ai monasteri ed ai signori. I molti monaci che erano stati costretti negli ordini religiosi da bambini senza poter scegliere ora erano liberi di rinunciare alla vita monastica e così migliaia di essi, particolarmente quelli più giovani, tornarono alla vita civile. Il clero restante può vivere contando su minimi stipendi governativi ed un reddito supplementare guadagnato officiando ai servizi di nozze ed ai funerali. (37)

Le denunce fatte dal Dalai Lama circa le sterilizzazioni di massa e la deportazione forzata dei tibetani, fatte dai cinesi non hanno mai trovato conferme da alcuna prova.

Sia il Dalai Lama che il suo fratello più giovane e consigliere, Tendzin Choegyal, hanno sostenuto che "più di 1.2 milione tibetani sarebbero morti come conseguenza dell’”occupazione cinese”.(38)
Ad essi non importa come spesso nelle loro dichiarazioni, che i numeri dati siano sconcertanti e lasciano completamente perplessi.

Il censimento ufficiale del 1953 sei anni prima dell’arrivo dei cinesi, aveva registrato l'intera popolazione del Tibet, stabilendo la cifra di 1.274.000 abitanti.
Altre valutazioni avevano conteggiato circa due milioni di tibetani abitanti il paese. (39)
Se i cinesi avessero ucciso 1.2 milioni, città intere dell'inizio degli anni 60 e parti enormi della campagna, effettivamente quasi tutto il Tibet, sarebbe stato spopolato, trasformato in un enorme campo di concentramento, pieno di fosse comuni e cimiteri, di cui però non abbiamo trovato prove. La forza militare cinese nel Tibet non era abbastanza grande come numero, non avrebbe potuto sterminare materialmente tutta quella gente anche se avesse speso tutto il proprio tempo e attività, senza fare nient’altro.
Le autorità cinesi ammettono "errori" nel passato, specialmente durante la rivoluzione culturale 1966-76 quando le persecuzioni religiose raggiunsero un alto livello sia in Cina che nel Tibet. Dopo la rivolta verso la fine degli anni 50, furono migliaia i tibetani incarcerati. Durante il “grande balzo in avanti”, la collettivizzazione dell’agricoltura, la coltivazione forzata del grano furono imposte ai contadini, a volte con effetti disastrosi. Verso la fine degli anni 70, la Cina aveva ottenuto la completa pacificazione della situazione nel Tibet "ed ha provato a modificare e correggere alcuni errori commessi durante i due decenni precedenti." (40)

Nel 1980 il governo cinese iniziava una serie di riforme destinate ad assegnare al Tibet un grado sempre più grande di autonomia e di auto amministrazione. Ai tibetani venne permesso di coltivare propri appezzamenti di terra, vendere le eccedenze della raccolta, scegliere le coltivazioni più adatte al proprio sostentamento e per mantenere il bestiame e le pecore. Vennero ripristinate le comunicazioni con il mondo esterno ed i controlli di frontiera furono facilitati per permettere ai tibetani di visitare i parenti in India e Nepal. (41)

Le Elites, gli Emigrati ed il denaro della CIA

Per i Lama dell’alta società tibetana ed i signori, l'intervento comunista fu una calamità. La maggior parte di loro fuggirono all'estero, come il Dalai Lama, che scappò in un operazione organizzata direttamente dalla CIA. Alcuni scoprirono con orrore che avrebbero dovuto lavorare per vivere. Quelle elite feudali che rimasero in Tibet e decisero di cooperare col nuovo regime, si trovarono davanti a nuove situazioni di vita non certo facili.
Eccone alcuni esempi: nel 1959, la giornalista Anna Louise Strong visitò l'Istituto Centrale delle Minoranze Nazionali a Pechino, che addestrava le varie minoranze etniche per il servizio civile o preparava per l'entrata nelle scuole agricole e mediche. Dei 900 studenti del Tibetan presenti, la maggior parte erano servi in fuga e ex schiavi. Ma circa 100 erano di famiglie agiate del Tibetan, inviate dai loro genitori in modo che avrebbero potuto ottenere posti favorevoli nella nuova amministrazione. Il divario di classe che divideva tra questi due gruppi di studenti era fin troppo evidente. Una nota del direttore dell'istituto diceva: “Quelli provenienti dalle famiglie nobili ritengono che in tutte le cose essi sono superiori. Si risentono di dover portare le proprie valigie, fare i propri letti, badare alla propria stanza. Questo, pensano, è un incarico da schiavi; si ritengono insultati perché pretendiamo che facciano questo. Alcuni non l'accettano e tornano a casa; altri alla fine l'accettano.
Il servo all’inizio ha paura degli altri e non può sedere con facilità nella stessa stanza con essi. In periodi successivi prossimo cominciano ad avere meno paura ma tuttavia continuano a sentire differenze e non riescono a mescolarsi. Soltanto con il tempo e la discussione continua raggiungono il momento in cui si mescolano facilmente e si sentono come studenti e persone, criticandosi o aiutandosi l'un l'altro, con normalità. (42)
Intanto fu fatto un patto nauseante dagli emigrati tibetani con l’Occidente ed il sostegno sostanzioso di agenzie americane per il mantenimento di un mondo fondato sulla disuguaglianza economica.
Dall’inizio del 1960 la comunità tibetana in esilio ha intascato segretamente 1,7 milioni di dollari all'anno dalla CIA, come accertato dalla documentazione rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri USA nel 1998. Quando questo fatto è stato pubblicizzato, l'organizzazione del Dalai Lama ha emesso un comunicato ammettendo che aveva ricevuto alcuni milioni di dollari dalla CIA durante gli anni 1960 per inviare squadre armate di esiliati in Tibet per contrastare la rivoluzione maoista. Il Dalai Lama riceveva per sé 186.000 dollari, rendendolo così di fatto un agente ufficiale pagato dalla CIA. Anche i servizi segreti indiani l'hanno finanziato e anche altri esiliati tibetani. (43)

Egli si è sempre rifiutato di dire se egli o suoi fratelli hanno lavorato per la CIA. Anche l'agenzia si è rifiutata di commentare. (44)
Nonostante abbia sempre presentato sé stesso come difensore dei diritti umani, e per questo vinse il Premio Nobel per la pace nel 1989, il Dalai Lama ha sempre continuato a frequentare e avuto come consiglieri l'émigrazione aristocratica ed ogni altro reazionario, durante il suo esilio. Nel 1995, il Raleigh, il N.C. News e Observer ha messo in prima pagina una fotografia a colori del Dalai Lama mentre abbracciava il famoso reazionario senatore Repubblicano Jesse Helms, sotto il titolo: "Buddista Affascina l'Eroe della Destra Religiosa." (45)
Nel mese di aprile del 1999, con Margaret Thatcher, il papa Giovanni Paolo II ed il primo George Bush, il Dalai Lama ha fatto appello al governo britannico per liberare Augusto Pinochet, l'ex dittatore fascista del Cile e cliente da molto tempo della CIA, arrestato mentre visitava l'Inghilterra. Ha sollecitato che a Pinochet sia permesso ritornare alla sua patria e non costringerlo ad andare in Spagna dove era ricercato dai giudici spagnoli per crimini contro umanità.

Oggi, principalmente attraverso il “Fondo per lo sviluppo della democrazia” ed altri canali che sono rami della CIA, il Congresso degli Stati Uniti continua ad assegnare i 2 milioni di dollari annuali per i tibetani in India, con altri milioni supplementari per "le attività di democrazia" all'interno della Comunità tibetana in esilio. Il Dalai Lama inoltre ottiene i soldi dal finanziere George Soros, che sovvenziona la creatura della CIA Radio Free Europa/ Radio Liberty e altri istituti. (46)

La questione culturale

Ci è stato detto che quando il Dalai Lama governava il Tibet, la gente viveva in simbiosi armoniosa con i loro signori monastici e secolari, in un ordine sociale costituito da una cultura profondamente spirituale e nonviolenta. La relazione profonda del contadino al sistema di credenza sacra avrebbe loro dato una tranquilla stabilità, ispirata da insegnamenti religiosi umanitari e pacifici. Uno di questi è paragonato, nell’immagine idealizzata dell’Europa feudale, come presentato dai cattolici conservatori quali G. K. Chesterton e Hilaire Belloc. Per loro, la cristianità medioevale era un mondo di contadini contenti che vivono nel legame profondo dello spirito con la loro chiesa, sotto la protezione del loro signori. (47)

Siamo invitati ancora ad accettare una cultura particolare relativamente alle proprie condizioni, che significa accettarla come presentata dalle classi dominanti, da coloro che da essa traggono i maggiori profitti.

L'immagine della Shangri-La del Tibet non ha nessuna rassomiglianza con la realtà storica, poi trasformata in un'immagine romanticizzata dell’Europa medioevale. Si potrebbe dire che come cittadini del mondo moderno non possiamo afferrare le equazioni di felicità e dolore, contentezza ed abitudini, che caratterizzano di più "lo spirituale" e le società "tradizionali". Ciò può essere comprensibile e può spiegare perchè alcuni di noi idealizzano tali società. Ma ancora, un occhio sgorbiato è un occhio sgorbiato; una fustigazione è una fustigazione; e lo sfruttamento opprimente dei servi e degli schiavi è ancora una brutale ingiustizia di classe, qualunque abbellimento culturale si tenti. C’è una differenza fra un legame spirituale e la schiavitù umana, anche quando entrambi esistono parallelamente.

Sicuramente ci sono molte cose da deplorare circa l’intervento cinese. Negli anni 90, l’etnia Han, il più grande gruppo etnico che rappresenta oltre il 95 per cento della popolazione generale della Cina, ha cominciato a muoversi in numero notevole verso il Tibet e varie province occidentali. (48)
Questi riassestamenti demografici hanno avuto sicuramente effetti sulle culture indigene della Cina e del Tibet occidentali… Alcuni dirigenti cinesi nel Tibet hanno assunto troppo spesso un atteggiamento di superiorità verso la popolazione indigena. Alcuni osservano i loro vicini tibetani come retrogradi e pigri, necessitanti di sviluppo economico e "educazione patriottica."
… Durante gli anni 90 diversi tibetani secondo molte informazioni sono stati arrestati, per attività separatiste e legami con la "sovversione politica."... (49)
…. Nel frattempo, la storia, la cultura e la religione tibetane sono trascurate nelle scuole. I materiali didattici, sono comunque ancora in tibetano, anche se molto è indirizzato verso la storia cinese e le sue culture…(50)

Il nuovo ordine ha molti sostenitori.
Un articolo del Washington Post del 1999 scriveva che il Dalai Lama continua ad essere riverito nel Tibet, ma. . . pochi tibetani accoglierebbero favorevolmente un ritorno dei clan aristocratici corrotti che sono fuggiti con lui nel 1959 e che compongono la massa dei suoi consiglieri. Molti contadini tibetani, per esempio, non hanno interesse nella cessione della terra che avevano ottenuto durante la riforma fondiaria della Cina, espropriata ai clan aristocratici feudali. Gli ex schiavi del Tibet dicono anche che non desiderano che i loro precedenti padroni tornino al potere.

"Già ho vissuto una volta quella vita prima," ha detto Wangchuk, un ex schiavo di 67 anni con indosso i suoi vestiti migliori per il suo pellegrinaggio annuale a Shigatse, uno dei luoghi più sacri del buddismo tibetano. Ha detto che adorava il Dalai Lama, ma ha aggiunto, "non posso essere libero sotto comunismo cinese, ma la mia vita è migliore di quando ero uno schiavo."(51) Nel sostenere il rovesciamento cinese della teocrazia feudale del Dalai Lama non devo approvare ogni cosa fatta circa il ruolo cinese nel Tibet. Questo punto è capito raramente dagli odierni aderenti della Shangri-La nell'occidente.
Il contrario è inoltre allineare. Criticare l'invasione cinese non significa che dobbiamo romanticizzare il regime feudale precedente. Una protesta comune fra i seguaci buddisti nell'ovest è che la cultura religiosa del Tibet sta per essere distrutta dalle autorità cinesi. Questo potrebbe essere.
Ma ciò che tratto qui è la presunta natura spirituale, ammirevole e primitiva di quella cultura pre-invasione. In breve, possiamo sostenere la libertà e l'indipendenza religiose per il Tibet senza dovere abbracciare la mitologia di un paradiso perduto. Per concludere, vorrei sottolineare che la critica proposta qui non è intesa come attacco personale al Dalai Lama. Egli appare sempre come un individuo abbastanza piacevole, che parla spesso di pace, di amore e di nonviolenza.

Nel 1994, in un'intervista con Melvyn Goldstein, ha voluto ricordare che fin da giovane egli era sempre stato per la costruzione di scuole, "macchine" e strade nel suo paese. Sostenne che aveva pensato che gli obblighi e le tasse imposti ai contadini "siano stati estremamente difettosi." Ed ha provato antipatia per il fatto che la gente era stata strozzata con i vecchi debiti, a volte passati di generazione in generazione. (52)
Inoltre ha creato "un governo in esilio" con una Costituzione scritta, un'assemblea rappresentativa ed altri aspetti democratici. (53)
Come molti sovrani di un tempo, il Dalai Lama dà l’impressione di essere più più preparato a parlare di potere invece che di esercitarlo. Se si tiene conto che ci ha messo quarant’anni di esilio, un'occupazione cinese per arrivare a proporre la democrazia per il Tibet e a criticare l’autocrazia feudale di cui lui stesso era la massima apoteosi.
Ma la sua critica del vecchio ordine arriva troppo in ritardo per convincere i tibetani. Molti di loro desiderano che possa tornare nel paese, ma sembra che relativamente pochi desiderino un ritorno all'ordine sociale che lui ha rappresentato.

In un libro pubblicato nel 1996, il Dalai Lama profferì una clamorosa dichiarazione che fece venire i brividi alla Comunità dell’esilio. Si legge in un capitolo: di tutte le teorie economiche moderne, il sistema economico marxista è fondato su principi morali, mentre il capitalismo è interessato soltanto al guadagno e al profitto. Il marxismo è indirizzato alla distribuzione della ricchezza su una base uguale e alla giusta utilizzazione dei mezzi di produzione. Inoltre esso è anche concepito sugli interessi della classe lavoratrice che è la maggioranza della popolazione, così come per il destino degli sfruttati e di quelli che hanno più bisogno, inoltre si preoccupa del destino di chi non è privilegiato e per le vittime dello sfruttamento imposto dalla minoranza. Per questi motivi il sistema fa appello a me e mi sembra giusto... Per questo motivo penso a me come mezzo marxista e mezzo buddista. (54)
E più recentemente nel 2001, mentre visitava la California, ha sottolineato che "il Tibet, è materialmente molto, molto indietro. Spiritualmente è abbastanza ricco. Ma la spiritualità non può riempire i nostri stomaci."
Questo è un messaggio a cui dovrebbero fare attenzione i ricchi e benestanti proseliti occidentali del buddismo che ritengono che esso non può essere confuso con considerazioni materiali, mentre romanticizzano il Tibet feudale. Al di là del buddismo e del Dalai Lama, quello che ho provato a sfidare è il mito del Tibet, l'immagine di un paradiso perduto, un ordine sociale che era poco più di un teocrazia dispotica e retrograda, fondata sulla schiavitù e sulla povertà, danneggiando così lo spirito dell’uomo, dove le più grandi ricchezze sono state accumulate da pochi potenti che vivevano al di sopra degli altri, approfittando del lavoro, del sangue e del sudore della maggioranza.
Per la maggior parte degli aristocratici tibetani in esilio, quello è il mondo a cui vorrebbero ardentemente ritornare. Esso è molto lontano dallo Shangri-La.

Michael Parenti
Versione dal francese:

Fonte:www.michelcollon.info
Link: http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2005-08-24%2011:39:05&log=invites
21.11.2005

Versione italiana:

Fonte: www.resistenze.org/

Traduzione di ENRICO VIGNA, revisione a cura AM

Note:

1. Melvyn C. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon: China, Tibet, and the Dalai Lama (Berkeley: University of California Press, 1995), 6-16.
2. Mark Juergensmeyer, Terror in the Mind of God, (Berkeley: University of California Press, 2000), 113.
3. Kyong-Hwa Seok, "Korean monk gangs battle for temple turf," San Francisco Examiner, December 3, 1998.
4. Gere quoted in "Our Little Secret," CounterPunch, 1-15 November 1997.
5. Dalai Lama quoted in Donald Lopez Jr., Prisoners of Shangri-La: Tibetan Buddhism and the West (Chicago and London: Chicago University Press, 1998), 205.
6. Stuart Gelder and Roma Gelder, The Timely Rain: Travels in New Tibet (New York: Monthly Review Press, 1964), 119.
7. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 123.
8. Pradyumna P. Karan, The Changing Face of Tibet: The Impact of Chinese Communist Ideology on the Landscape (Lexington, Kentucky: University Press of Kentucky, 1976), 64.
9. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 62 and 174.
10. As skeptically noted by Lopez, Prisoners of Shangri-La, 9.
11. See the testimony of one serf who himself had been hunted down by Tibetan soldiers and returned to his master: Anna Louise Strong, Tibetan Interviews (Peking: New World Press, 1929), 29-30 90.
12. Melvyn Goldstein, William Siebenschuh, and Tashì-Tsering, The Struggle for Modern Tibet: The Autobiography of Tashì-Tsering (Armonk, N.Y.: M.E. Sharpe, 1997).
13. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 110.
14. Strong, Tibetan Interviews, 15, 19-21, 24.
15. Quoted in Strong, Tibetan Interviews, 25.
16. Strong, Tibetan Interviews, 31.
17. Melvyn C. Goldstein, A History of Modern Tibet 1913-1951 (Berkeley: University of California Press, 1989), 5.
18. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 175-176; and Strong, Tibetan Interviews, 25-26.
19. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 113.
20. A. Tom Grunfeld, The Making of Modern Tibet rev. ed. (Armonk, N.Y. and London: 1996), 9 and 7-33 for a general discussion of feudal Tibet; see also Felix Greene, A Curtain of Ignorance (Garden City, N.Y.: Doubleday, 1961), 241-249; Goldstein, A History of Modern Tibet 1913-1951, 3-5; and Lopez, Prisoners of Shangri-La, passim.
21. Strong, Tibetan Interviews, 91-92.
22. Strong, Tibetan Interviews, 92-96.
23. Waddell, Landon, and O'Connor are quoted in Gelder and Gelder, The Timely Rain, 123-125.
24. Quoted in Gelder and Gelder, The Timely Rain, 125.
25. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 52.
26. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 54.
27. Heinrich Harrer, Return to Tibet (New York: Schocken, 1985), 29.
28. Strong, Tibetan Interview, 73.
29. See Kenneth Conboy and James Morrison, The CIA's Secret War in Tibet (Lawrence, Kansas: University of Kansas Press, 2002); and William Leary, "Secret Mission to Tibet," Air & Space, December 1997/January 1998.
30. Leary, "Secret Mission to Tibet."
31. Hugh Deane, "The Cold War in Tibet," CovertAction Quarterly (Winter 1987).
32. George Ginsburg and Michael Mathos Communist China and Tibet (1964), quoted in Deane, "The Cold War in Tibet." Deane notes that author Bina Roy reached a similar conclusion.
33. See Greene, A Curtain of Ignorance, 248 and passim; and Grunfeld, The Making of Modern Tibet, passim.
34. Los Angeles Times, 18 August 1997.
35. Harrer, Return to Tibet, 54.
36. Karan, The Changing Face of Tibet, 36-38, 41, 57-58; London Times, 4 July 1966.
37. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 29 and 47-48.
38. Tendzin Choegyal, "The Truth about Tibet," Imprimis (publication of Hillsdale College, Michigan), April 1999.
39. Karan, The Changing Face of Tibet, 52-53.
40. Elaine Kurtenbach, Associate Press report, San Francisco Chronicle, 12 February 1998.
41. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 47-48.
42. Strong, Tibetan Interviews, 15-16.
43. Jim Mann, "CIA Gave Aid to Tibetan Exiles in '60s, Files Show," Los Angeles Times, 15 September 1998; and New York Times, 1 October, 1998.
44. Reuters report, San Francisco Chronicle, 27 January 1997.
45. News & Observer, 6 September 1995, cited in Lopez, Prisoners of Shangri-La, 3.
46. Heather Cottin, "George Soros, Imperial Wizard," CovertAction Quarterly no. 74 (Fall 2002).
47. The Gelders draw this comparison, The Timely Rain, 64.
48. The Han have also moved into Xinjiang, a large northwest province about the size of Tibet, populated by Uighurs; see Peter Hessler, "The Middleman," New Yorker, 14 & 21 October 2002.
49. Report by the International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril (Berkeley Calif.: 2001), passim.
50. International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril, 66-68, 98.
51. John Pomfret, "Tibet Caught in China's Web," Washington Post, 23 July 1999.
52. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 51.
53. Tendzin Choegyal, "The Truth about Tibet."
54. The Dalai Lama in Marianne Dresser (ed.), Beyond Dogma: Dialogues and Discourses (Berkeley, Calif.: North Atlantic Books, 1996). www.reseau-asie.com/publication_standard/martens_g.jpg

mercoledì 19 marzo 2008

Post tamarro ed antipolitico, qualunquista direi


La matematica è un'opinione per mr. Veltroni.
Non gli deve essere piaciuto l'attacco di quell'ex fascista in doppio petto al nostro.
Ma come !!Lui, uno che mette gli operai (uno) in lista, e che censura stipendi e sprechi del nostro sistema parlamentare attaccato da chi anni fa buttava le monetine contro un padre della patria come Craxi?
Ed attaccato per quella pensioncina da 5.000 euro netti al mese che in parte devolve in beneficenza?
Allora le questioni sono:
1- la dichiarazione dei redditi ultima dei due campioni della casta è rispettivamente di : 296.000.€ Veltroni l'africano, 147.814 Fini il post fascista.
Domanda: perchè Veltroni dice che Fini guadagna il doppio?
2- Il PD ci racconta che il Walter ha devoluto 100.000€ in opere di bene.
da quanti anni prende quella pensione? se gli anni sono più di 2 che fine hanno fatto gli altri soldi?

Noi ci limitiamo a sorridere di tutti quelli che andranno a sventolare bandiere tricolori davanti al post fascio, e cartoncini di verde ramarro di fronte al mancato frate.
Sappiamo che Walter le sue vacanze da un pò le fa alle Maldive e non più presso i bagni pubblici di sora Peppa e tanto ci basta. Cazzi suoi come impiega il denaro faticosamente guadagnato.
Ma smettetela di farvi prendere per il culo

P.S.per gli amici arcobaleno, quelli con il nastrino in testa con i colori della pace.
Mr. Bertinotti dichiara, senza la sora Lella, 233.195€ ed abitava un pò di tempo fa in una casa di un ente previdenziale ad equo canone.Dili colleziona libri antichi e Salvi fa affari pubblicando libri sugli sprechi della politica facendo il parlamentare da anni.
Guerrieri morali o no?

P.S.per gli amici riformisti del partito socialista che loro malgrado voteranno PD
ma perchè parlate sempre di Craxi e vi siete scordati di Matteotti?

martedì 18 marzo 2008

Ricordiamo Fausto e Iaio oggi

Il guerriero morale di sinistra ed il non voto


Decidere di votare uno qualsiasi dei partiti che si presentano nel centro sinistra, presuppone la possibilità di fornire sostegno ad una idea di società che, almeno in parte, collimi con la nostra visione del mondo e del convivere. Ma, sopra ogni cosa, dovrebbe darci la possibilità di credere che quel voto è funzionale ad una strategia che punti a ribaltare lo stato delle cose presenti.

Una delle questioni è che ci arriviamo dopo una stagione di disillusioni in cui si è manifestato, in modo evidente, il fallimento di un pensiero che "nel meno peggio" ha finito per accettare supinamente tutte quelle azioni di governo che hanno reso impalpabile la differenza tra quello che aspiriamo ad essere noi e quello che sono lor signori, compreso ciò che ci propinano tutti i giorni come modello culturale e di sviluppo.

Siamo arrivati al paradosso, oggi, che mentre a Destra si riscoprono valori che guardano con terrore ai processi di globalizzazione in atto, con il richiamo alle radici giudaico-cristiane su cui imperniare una politica di solidarietà "caritatevole" (Tremonti-senza per altro mettere in discussione i meccanismi di accumulazione e distribuzione della ricchezza),nella ex sinistra riformista si risponde con un modello senza anima e struttura, che guarda al mercato come all'unica soluzione per trovare la "soluzione" all'ingiustizia (distribuire ricchezza se cresce il pil) dando la sensazione che, costoro, più degli altri si apprestano a smantellare quanto in modo residuale resiste all'ideologia del liberismo e delle privatizzazioni.
Se da una parte si fa un'operazione ideologica falsa (comunità e valori) dall'altra si presta il fianco e li si aiuta preparando il terreno "ideologico".

A tutto ciò si dovrebbe contrapporre il voto "utile" da dare alla sinistra alternativa.
La prima questione è : alternativa in cosa?
Ha questa sinistra un modello da anteporre ai due maggiori contendenti? E' la strategia del palazzo l'unica con cui costruire un fronte del dissenso?
Dal mio punto di vista la risposta e no a tutte e due le domande.

Se devo pensare ad una strategia utile, mi viene in mente che (come ci indica la storia di liberazione di molti popoli) un guerriero morale, come aspira ad essere un soggetto di sinistra, non può prescindere da ciò che comunica e da come comunica e da ciò che coerentemente fa tutti i giorni (se vuole essere leader e non semplice cittadino).

Cosa c'è da difendere della reputazione delle attuali istituzioni?Molto poco.
"Prima e durante la Rivoluzione americana, il grande propagandista Adams prese di mira la reputazione dell'Inghilterra come nazione civilizzata, liberale ed equanime.Sottolineò i punti deboli di questa immagine morale denunciando lo sfruttamento delle risorse coloniali e la simultanea esclusione delle relative popolazioni da qualsiasi spartizione democratica". Questa mattina un economista di sinistra si interrogava sul perchè il PIl italiano non cresce rimarcando come questo dipenda, a suo modo di vedere, dalla frammentarietà e dimensione delle aziende nazionali.Per lui questo elemento gioca un ruolo determinante su crescita e produttività.
E se anche avessimo aziende più grandi questo soddisfa la visione che abbiamo della società?
E' di questo che possiamo parlare nei mercati e nei quartieri per ricostruire un soggetto politico alternativo?

Cosa c'è da difendere dell'attuale modo in cui un sistema "consociativo" spartisce ed assegna risorse e prebende in funzione di quanto contano le relazioni e le reti costruite? Niente.
"Nel 1517 il papa Leone X lanciò una campagna per vendere le indulgenze.Un prete di nome Martin Lutero inchiodò alle porte del castello di Wittenberg un trattato intitolato le 95 tesi.Toccava a Dio e non alla chiese, secondo Lutero,perdonare i peccatori e quel perdono non si poteva comprare"
C'è qualcuno tra questi signori in grado di affiggere un qualsisi manifesto "morale" che richiami a poche regole di "salute" pubblica? Nessuno.


La sindrome del palazzo ha permeato la classe dirigente "alternativa" (quella riformista affoga nel pozzo degli affari di famiglia), lor signori hanno perso lucidità, carisma e carica morale. Utilizzano un linguaggio grigio quando, al contrario, il linguaggio di un guerriero morale dovrebbe essere netto, evidenziando il bianco ed il nero.
Votare oggi significa delegare una speranza, e mettersi a posto la coscienza, sapendo che questo modo di fare non sarà altro che un moltiplicatore senza fine delle condizioni attuali.
L'unico modello alternativo è capovolgere lo schema, fuoriuscire dal palazzo e riprendere quella memoria storica che ha visto crescere e consolidare valori di stampo diverso attraverso il coinvolgimento continuo delle persone in modo fattivo. Questo sono state la nascita delle leghe e delle cooperative, questo il sindacalismo di base, questo tutte quelle esperienze di formazione che hanno visto milioni di persone condividere spazi in cui discutere e fare politica.


Questo presuppone voglia fare politica in modo diverso, con strumenti diversi, un ricambio negli uomini che dovrebbero rappresentarci e la determinazione di chi ha chiaro in testa di quanto duro è il lavoro da fare.
Penso ad una visione transnazionale della politica (internazionalismo si chiamava una volta) con la capacità di pensare cose straordinarie lavorando alla realizzazione di obiettivi ordinari.
Più presenza e politica sul territorio di casa nostra, ad esempio la creazione di modelli alternativi di economia e di consumo che siano la cellula consapevole di un progetto più ampio.Più diritti riconosciuti nella pratica dei rapporti quotidiani, questo significa non voltare le spalle quando si osservano fenomeni di degenerazione o di discriminazione.Boicottare ciò che non sopportiamo. Ad esempio perchè non lanciare una campagna per non pagare il canone della televisione, in modo consapevole, facendone un modo per fare azioni che comunichino in modo incisivo.Per fare questo non c'è bisogno di dare il voto a lor signori. NON VOTATE.