giovedì 28 maggio 2009

Il diritto dei figli di difendere i genitori, il dovere nostro di mandarli a fanculo

La vicenda farsesca di berlusconi padre,oggetto degli strali di Franceschini, merita solo qualche semplice copia ed incolla affinché rimanga ai figli la possibilità di difendere l'onore dei genitori.
Per questo lasciamo la parola a quella poveraccia di Marina Berlusconi a cui forse il famoso stalliere strigliò il pony, alla figlia di quel gentleman di Totò Riina e,per finire, alla figlia di Benitone Mussolini. Quella a cui il padre,per amor di patria, fucilò il marito; che entra di sbieco in un'interessante articolo di Pieroni Alfredo sull'Unità.



«Ma quale diritto ha di dire anche una parola, una sola, su Berlusconi padre? Io questo diritto ce l'ho e stavolta non intendo restar zitta. Vuol fare una domanda agli italiani? Gli rispondo da italiana, che è mamma e che ha avuto la fortuna di avere un genitore come Silvio Berlusconi. E parlo di fortuna non per il cognome che porta o per quello che ha fatto, ma per il padre che è stato e che è. Mio padre ha sempre lavorato tanto, ma non c'è stata una volta, una volta sola, in cui io non l'abbia sentito vicino quando ne avevo bisogno. E vicino nel modo giusto, a seconda delle situazioni: una presenza forte, se di quella avevo bisogno; o discreta, sfumata, se era la cosa giusta. Mi ha fatto sentire sempre molto amata, rispettata come figlia e come donna. Ha sempre compreso e sostenuto le mie scelte. Ma cosa ne sa Franceschini di me, di noi...».
-intervista a Marina Berlusconi, fonte corriere della sera

Sembrerà strano ma uomo di onore è.

"Sembrerà strano... mio padre viene presentato come un sanguinario, crudele, quasi un animale, uno che addirittura avrebbe fatto uccidere anche i bambini. Ma a me, come figlia, tutto questo non risulta. So io quello che mi ha trasmesso. Educazione. Moralità. Rispetto. E quando parlo di rispetto non parlo in quel senso, in senso omertoso. La persona che io sono ora, è quella che mio padre e mia madre hanno lasciato".

Si rende naturalmente conto che c'è un contrasto nettissimo tra come suo padre è descritto in centinaia di sentenze e come lo sta descrivendo lei adesso. Come può parlare di moralità e di rispetto una persona che ha fatto uccidere tanti uomini?
"Ecco perché ho detto che vi sembrerà strano, ma mio padre per me è così. E io così l'ho vissuto e così lo vivo ancora".
Intervista alla figlia di Totò Riina


Una volta era anticlericale e socialista rivoluzionario (sic!),poi firmò i patti lateranensi e promosse opere di bene per gli Italiani . Famiglie comprese.

La vera storia di Ida: la prima moglie


di Alfredo Pieroni

Anni or sono un editore americano mi chiese di convincere Edda Ciano a scrivere un libro biografico ma soprattutto politico su «Mussolini mio padre». Benché malvolentieri (perché il compito materiale di scriverlo sarebbe toccato a me) affrontai l’argomento. Parlammo a lungo e confidenzialmente. Da un pianoforte ci guardava quasi sorridente una di quelle foto del Duce come ne avevo visto a migliaia. Ma la firma non era quella con la famosa M volitiva. Diceva: «Il tuo papà». Alla fine Edda pose una mano su una delle mie: «Siamo sinceri, caro Pieroni. Noi due ci rendiamo conto che in un libro come chiede lei io dovrei accusare mio marito di aver tradito il suo Capo, mio padre. Poco dopo dovrei accusare mio padre di avere ucciso il padre dei miei figli. Una tragedia greca, non le pare?». Ora dovrei narrare una seconda tragedia greca, sempre attinente alla famiglia Mussolini: il fatto (o il Fato) che Mussolini abbia fatto morire in manicomio prima una donna che aveva amato, e secondo alcuni sposato, Ida Dalser, e in seguito il figlio che da lei aveva avuto e che aveva riconosciuto legalmente, Benito Albino Dalser Mussolini. Ho riflettuto su questa definizione di «tragedia greca», perché è tutt’altro che estranea a quanto dovrei scrivere. Infatti, saremmo nella tragedia greca se una forza oscura e sovrumana avesse portato madre e figlio a morte: in greco la forza oscura sarebbe detta tyche e in italiano Fato. Ma saremmo in qualche modo nella tragedia greca anche se una forza oscura avesse imposto a Mussolini di indurre o condurre a morte madre e figlio. Due ipotesi che sembrano contrastanti, ma che forse non lo sono. Anche nei termini di una moderna inchiesta giornalistica la faccenda è complicata. Dovremmo stabilire se Mussolini ha fatto uccidere i due congiunti o non si è curato di impedirne la morte. Fa differenza? La lingua italiana ritiene che nel Fato sia contenuta una necessità suprema e ineluttabile o potere misterioso e incontrastato. Ne hanno trattato scrittori un po’ più quotati di noi, come Eschilo, Sofocle ed Euripide, e persino Omero. Eschilo, in particolare, non si occupava tanto dell’uomo quanto del suo destino. Con Sofocle ed Euripide si fa già strada l’idea della responsabilità e della moralità degli uomini. Noi moderni siamo ormai tutti di questa seconda tesi. A volte tuttavia le vicende restano oscure. Nei fatti che mi propongo di raccontare non c’è assolutamente alcuna prova che Mussolini abbia ucciso la propria amante e il proprio figlio. Ma ha fatto in modo che accadesse? Oppure poteva impedire che accadesse e si è astenuto? Oppure la morte è arrivata per un concatenarsi di fatti, per l’appunto, oscuri? Ma soltanto oscuri oppure anche sovrumani? Il mio destino, in questo momento, è di tentare di districarmi fra tante oscurità e provare a fare chiarezza.
***
Mi rendo conto che certe divagazioni pseudofilosofiche nelle parole di un giornalista possono stupire. La verità è che io condussi un’inchiesta su queste vicende molti anni or sono e credetti di poter concludere che tanto la Dalser quanto il figlio, a molta distanza di tempo, fossero fatti morire in manicomio, e che il responsabile fosse Mussolini. Oggi niente è cambiato. I due morirono in manicomio in circostanze perlomeno sospette. E nelle due vicende Mussolini resta il personaggio centrale. Se mi si chiede di ripetermi, sono però costretto a riflettere anche a ragione di alcune recentissime scoperte. Sul primo caso, quello di Ida Dalser, niente sembra cambiato. La signora aveva un carattere assai difficile e sicuramente dava fastidio a Mussolini, che era diventato il padrone d’Italia. Sono vissuto in gioventù a Trento, dove era vissuta anche lei, e le autorità erano turbate dal fatto che lei raccontava a tutti , anche a passanti sconosciuti, e in termini esaltati, che Mussolini era stato il suo amante e le aveva dato un figlio. Con questo figlio si fermava spesso davanti alle edicole e gli indicava le foto di Mussolini. «Guardalo - diceva - Quello è tuo padre, è un fior di mascalzone». Io stesso ho avuto per le mani lettere che lei aveva scritto a Mussolini, al re, al papa al prefetto. Questo non faceva di lei una malata di mente. Ma anche i più generosi ammettevano che «un po’ matta lo è». Quello che mi ha sempre colpito e anche sdegnato è che, verso i 26 anni, anche il figlio finì nel manicomio di Mombello, a Milano, mentre lei era stata internata a Pergine, nei pressi di Trento. Quel che mi ha più sdegnato, pochi giorno or sono, è di aver saputo che il giovane Benito Albino era stato sottoposto a una cura di insulina con una serie di iniezioni che lo mandarono in coma ben nove volte. Questa mi sembrava la certezza che lo volessero uccidere perché - pensavo - non si fanno tante iniezioni capaci di mandare in coma un uomo giovane e sano. Ma dei medici mi hanno spiegato che quella vecchia cura, simile all'elettroshock aveva proprio lo scopo di indurre uno stato comatoso, che non poteva avere conseguenze letali, ma serviva a condurre delle analisi che in altro modo non sarebbero state possibili. Nessuno mi leva di mente che, volente o non volente, il motore diretto o indiretto di tutto fosse Mussolini. E se gli esecutori dei misfatti non fossero mandati dal Duce, ma irresponsabili esecutori di desideri che, a ragione ma forse a torto, gli si attribuirono? E se, addirittura, madre e figlio avessero davvero una vena di pazzia? Non mi sembra, del resto, che la psichiatria vada considerata una scienza proprio esatta.
***
Proviamo a ricostruire i fatti. Quello tra la Dalser e Mussolini fu vero amore. Ho avuto per le mani gli originali di alcune lettere che lui aveva scritto a lei. Una, di stile caratteristicamente mussoliniano, potrei citarla a memoria. In un’altra scriveva: «Ti ho nel sangue, mi hai nel sangue». Qualcuno ricorderà che egli aveva usato proprio le stesse parole la sera del 24 novembre 1914 davanti all’assemblea della sezione milanese del Partito socialista nel Teatro del Popolo di Milano. Pallido, affranto, dopo aver constatato che tra fischi e urla lo espellevano dal partito, gridò quasi la stessa frase che in quei giorni, forse la sera precedente, aveva usato con la Delser. La frase fu riportata due giorni dopo sul «Popolo d’Italia»: «Quella gente che mi ha espulso mi ha nel sangue e mi ama». Durante il dibattito l’attenzione di tutti fu attratta da una donna che schiaffeggiava di santa ragione un troppo acceso detrattore di Mussolini. Fa pensare a una lettera che mi hanno regalato al manicomio di Pergine. L’aveva scritta al Santo Padre su un foglio di protocollo la Dalser, ma come le altre non era stata spedita: «L’uomo che ho adorato, difeso, curato quando era ammalato, seguito come un’ombra nei comizi, nelle dimostrazioni... rendendolo padre di un’adorabile creatura che è il suo ritratto vivente... E tutto questo? Non certo per le sue ricchezze... L’ho adorato, mi ha adorata, prometteva di fare di me la più invidiata delle donne. Io non domandavo altro che di fare di me la più amata...» Il 20 ottobre qualcuno assalì a mano armata Mussolini per punirlo di aver lasciato «l’Avanti» ed essersi dichiarato interventista. La Dalser gli parò il colpo. Lui passava un periodo difficile. Senza giornale e senza mezzi, doveva trovare il modo di procacciarsi l’uno e gli altri. Ida non esitò. Liquidò un suo Salone di bellezza, mise a pegno i gioielli, depositò contro sovvenzione i mobili del suo appartamento di via Ugo Foscolo. Quando Benito riuscì a riprendersi, toccò a lui di aiutare lei. Ho sempre avuto in casa una sua letterina che che finiva con un postcritto: «Ti lascio un po’ di mitraglia», cioè del denaro. Insomma, fu amore. Il 31 agosto lui, che non aveva pensato a presentarsi volontario per la guerra, fu richiamato con la classe dell’84. Ida gli scrisse al fronte che l’11 novembre era nato un loro figlio, che si sarebbe chiamato Benito come lui e Albino come il padre di lei. Non ebbe risposta, ma le arrivò un telegramma dell’Ospedale di Riserva di Treviglio: «Bersagliere Mussolini qui ricoverato per ittero catarrale». Ida andò subito a Treviglio col neonato. Lui le assicurò che le loro faccende avrebbero trovato sistemazione per sempre. Era il 18 dicembre. Il giorno prima, il 17, in quello stesso ospedale Mussolini aveva sposato civilmente Rachele, dalla quale aveva avuto una figlia, Edda, già l’1 settembre 1910. Era, come tutti sappiamo, un uomo di molte sorprese e di non poche donne. L’11 gennaio a Milano davanti al notaio Vittori Buffoli e a due testimoni dichiarò per iscritto che il neonato era suo figlio e che «al momento della nascita di tale mio figlio io non avevo nessun vincolo matrimoniale con alcuna donna». Nell’ottobre il Comune di Milano emise una dichiarazione: «Il sindaco del suddetto Comune dichiara che la famiglia del militare Mussolini è costituita dalla moglie Ida Dalser e da figli numero uno... Le cose si complicarono. Il figlio fu riconosciuto, ma il padre rifiutò di vedere tanto lui quanto la madre. Fu costretto a vederli il 31 luglio del 1916 in tribunale perché accusato di «seduzione e mancata promessa di matrimonio». Il giudice lo condannò a pagare alimenti per 200 lire mensili. Non fu invece riconosciuta la seduzione perché non se ne riconobbero i presupposti giuridici. Ma soprattutto perché nel 1914 la Dalser aveva mosso le stesse accuse a un certo prof. Brambilla, che pare fosse amministratore della Visconti di Modrone, e aveva perso la causa. Il resto è piuttosto noto. C’era la guerra e Ida Dalser, cittadina austriaca, non poteva tornare né a Trento né a Sopramento. La vicenda riprende più tardi, a guerra finita, quando il dissidio tra i due diventa anche un dissidio tra fascisti e antifascisti. Guardata a vista dalla polizia, la Dalser riuscì a raggiungere Roma, pare nel ‘24. Qui le assicurano di farle incontrare Mussolini, la fecero salire in automobile e la condussero invece alla casa di salute Carlo Alberto dove imposero al direttore di internarla. Il primario la visitò e rifiutò il ricovero. La polizia la riportò a Sopramonte. Saltiamo due anni. Il 19 giugno 1926 Ida seppe che a Trento era atteso il ministro Fedele, che aveva conosciuto. Tentò di raggiungerlo, ma fu arrestata e condotta al manicomio di Pergine. Era davvero matta oppure, come si dice, «aveva dato fuori da matta» come sarebbe accaduto a chiunque in quelle circostanze? Di qui ricordo solo alcune frasi di una lettera: «... Dei giorni sento per te una grande pietà, poiché ti vedo abbandonato... Contro i cattivi colpi del destino non farti potente della tua posizione... Domani potrebbe suonare l’ora dell’espiazione terribile e implacabile... Tutti ti abbandoneranno...». Forse meno drammatica, ma non migliore, fu la fine del figlio Benito Albino Dalser Mussolini. Era un giovanotto talmente sano che fu arruolato in marina. Al ritorno da una lunga crociera in Estremo Oriente non gli fu mai concesso di vedere la madre\, anzi gli fecero credere che fosse morta. Invece era stata trasferita dal manicomio di Pergine a quello di Venezia e poi di nuovo a Pergine. Benito Albino poteva solo diventare scandaloso, quando Mussolini era al suo apogeo del suo potere, perché era giovane e sano. Il suo amico Giacomino Minella, che è ancora vivo, mi ha raccontato dei loro rapporti. Ma anche per lui calato il silenzio. Il Benitino fu rinchiuso nel manicomio di Mombello. Perché? Dalle cartelle cliniche non risulta quasi nulla. La madre era morta nell’ospedale di Venezia il 3 dicembre del 1937. Benito Albino muore il 26 agosto del 1942 a 26 anni. Causa della morte sarebbe il «marasma», che sarebbe una progressiva e alla fine totale consunzione soprattutto psichica. Fu avvertito - fate attenzione alle parole - «chi di dovere». Naturalmente l’autopsia non fu ritenuta necessaria né, probabilmente, opportuna. Questa è la storia di due vite angosciose e di due morti se non impropriamente inflitte sicuramente indotte, cioè prodotte, fosse pure solo da sofferenze psichiche. I fatti sono incontrovertibili. I particolari sono oscuri. Ogni volta che ho indagato (e sono cinquant’anni) ho avuto ben pochi chiarimenti. Oggi è troppo tardi per conoscere tutta la verità. Non possiamo più neppure chiedere «a chi di dovere».



martedì 26 maggio 2009

Numeri,economia dei poveri e prese per il culo

Partiamo dall'economia dei poveri e dal riscaldamento delle abitazioni.
Questa mattina l'ANACI ha messo un bel annuncio sulla Stampa in cui spiega che "contrariamente a quanto inteso da molti utenti, la gestione 2008/2009 si chiuderà con un aumento del costo (per gli utenti), rispetto a quanto preventivato lo scorso Ottobre, intorno al 20%"

In ragione di " una lievitazione dei costi (aprile 2008-marzo 2009) del 15-18%.

Questo perché "la riduzione dei prezzi (di metano, gasolio e teleriscaldamento) è scattata a partire da Aprile 2009" e, tanto per pararsi il culo, prosegue scrivendo che " Il risparmio si vedrà, SALVO ULTERIORI E NON PREVENTIVABILI AUMENTI DEI PREZZI, il prossimo inverno"

A parte lo scostamento sull'aumento dei costi (è del 15 o del 18% ?) ed il ribaltamento del 20% sui consumatori (con un margine incrementale che oscilla tra un 5 ed un 2%), qualcuno ha capito perché e secondo quali calcoli le famiglie ne avrebbero avuto un vantaggio, in termini di risparmio, dell'ordine di svariate centinaia di euro sul proprio budget (per questa voce) secondo la grancassa della propaganda di re Silvio? Qualcuno,tra i durissimi oppositori,ha voglia di parlare di queste cose in campagna elettorale?

Sempre per rimanere tra noi "poveri" cristi parliamo di contributo di 50 € all'acquisto del decoder per vedere il digitale.
Intanto se avete due televisori vi tocca comperarne due, di decoder. Poi, se provate a chiedere di utilizzare il contributo per acquistarne uno che costa tra i 30 ed i 50 euro vi risponderanno che quello vale solo per i modelli interattivi che, guardacaso, costano cifre non inferiori ai 90 euro.
Insomma, una parte della socialcard finanzia lo sviluppo di quel tipo di tecnologia.

Passiamo adesso alle seghe sugli investimenti, la crescita e pinzillacchere.

Ieri sera il dott.Ing. Stanca,parlando dell'Expo di Milano, ha preso per i fondelli Santoro .
Questo solo perché il conduttore di annozero ha mostrato la situazione dell'indebitamento delle società, che curano e cureranno la costruzione delle strutture e delle infrastrutture legate ad Expo, e quella del loro conto economico (in perdita) senza operare nessuna distinzione tra le due cose. Con fare saccente gli ha detto che " lo insegnano ai ragionieri al primo anno che i debiti fatti per investimenti hanno un loro corrispettivo in asset e che quindi vanno valutati in funzione dello stato patrimoniale, mentre il conto economico fotografa lo stato dell'azienda in termini costi ricavi e loro differenza in quell'anno di esercizio" quindi "tornare sui banchi di scuola".

Ora, a parte la considerazione banale che se perdi soldi (conto economico) è difficile che tu riesca a pagare i debiti e che se fallisci di solito i tuoi asset vengono svenduti dal curatore fallimentare ma, quello che mi sorprende è la tranquillità con cui uno così gira i salotti ad ammansire e sparare cazzate.
Dipenderà questo anche dalla preparazione dei suoi interlocutori (Di Pietro e Bersani) forse troppo impegnati a leggere i rotocalchi sulla questione Noemi?

L'altra perla dell'ingegnere è stata l'asserzione che un aumento dell'offerta degli appartamenti a Milano costruiti (grazie ad Expo) avrebbe prodotto una diminuzione dei prezzi delle case rendendole più accessibili.
L'esperienza ci dice, al contrario, che se i prezzi diminuiscono è perché la gente non ha soldi per comperare la casa perché o perde reddito in quanto licenziato o perché precario e quindi soggetto a cui le banche non prestano neanche un centesimo. Manca la domanda più che l'offerta. Ma tant'è, questo è quello che offre il convento.

Se vuoi sedere al salotto con gente che discetta di investimenti pubblici mischiati ai privati, varrebbe la pena presentarsi preparati. In particolare sarebbe utile approfondire qualche aspetto per evitare che un tizio, domani, si presenti per raccontare qualche minchiata che giustifica la necessità di tagliare risorse e servizi pubblici per pagare quei debiti contratti.

Quando la commistione tra soldi spesi per creare infrastrutture (pubbliche che vengono poi date in gestione a privati), concessioni edilizie in cui la destinazione d'uso viene cambiata per operare degli scambi con costruttori privati e creazione di società di gestione in cui il capitale di rischio ha contorni non ben definiti (quanto è pubblico e quanto privato), tenere bene i conti, la ripartizione dei capitali , di chi mette cosa e chi finanzia e secondo quali logiche sarebbe cosa buona e giusta. Tanto per dare quel minimo di trasparenza che non consentirebbe a quelli malpensanti come noi di sospettare e dire che certe operazioni, in realtà, non hanno altro scopo che quello di cementare ancora di più le consorterie degli affari a scapito dell'interesse pubblico.

Ad esempio, in quei salotti, suggerirei qualche domanda sulla copertura del fabbisogno strutturale e del fabbisogno corrente necessari per quegli investimenti. Di come questa avvenga e da parte di quale soggetto. Con quali risorse e secondo quale logica.
Ora, poiché nella situazione di un bilancio questo è migliore se:
-le attività correnti sono superiori a quelle immobilizzate
-il capitale netto è superiore alle passività consolidate ed alle passività correnti
sarebbe bello capire bene proprio quale è l'origine delle attività correnti e la loro sostenibilità nel tempo, proprio per fare in modo che qualcuno quei debiti li possa pagare.

Evitiamo di avvitarci in discorsi troppo complicati ma, se guardiamo a due esempi recenti di interventi pubblici, viene facile pensare che la "lungimiranza" e la necessità di un certo tipo di investimenti in realtà è un escamotage non produrre la fantomatica ricchezza quanto per aggiustare conti di società private in perenne affanno sul proprio business. Quello che è difficile quantificare sono i costi aggiuntivi a carico dello stato quando le cose non funzionano.

Ricordate Malpensa e tutto il fuoco ideologico messo su per giustificare la cementificazione di una delle aree più verdi d'Italia (Ticino)?
Il volano per l'economia? I discorsi sull'incremento del pil grazie a quell'operazione?
Bene, abbiamo scoperto che Malpensa si reggeva grazie ai conti disastrati della compagnia di bandiera che grazie all'obbligo di presidiare in modo massiccio quell'hub ha massacrato i propri bilanci, fallendo. Con il risultato duplice di perdita di posti di lavoro ed oneri a carico dello stato.

La seconda operazione che viene in mente, di cui si è occupata Repubblica, è il passante di Mestre. Doveva servire per alleggerire e decongestionare quel pezzo autostradale.
In sè l'operazione è riuscita. Le code si sono spostate sulla variante,sono più lunghe e a condizione che costruiscano una terza corsia , dureranno nel tempo.
Se consideriamo che:
-con il trend di crescita del trasporto su gomma entro 7 anni si rischia il collasso sulla A4
-le previsioni di crescita del tonnellaggio entro il 2030 sarà del 103%
abbiamo solo spostato di qualche km. un problema senza risolverlo. In compenso sappiamo che un ingorgo seppellirà camion, sindaci, cittadini coglioni e crescita del PIL.

Per ragionare cosi' in grande abbiamo bisogno di questo sistema sopraffino, capitalista straccione e di questa classe dirigente?

venerdì 22 maggio 2009

Polemica con il Manifesto

21.05.2009

Potenza dell'Onda. Il conflitto picchia dove la sinistra trema!

Che la Sinistra non stesse troppo bene lo sapevamo da tempo; che il Manifesto avesse scelto -non da ieri - di bocciare, occultare e (freudianamente) rimuovere ogni pratica ed espressione di radicalismo che andasse aldilà dell'intenzione, anche. Certo non ci si poteva aspettare che una critica un po' più dura sulle sue scelte editoriali scatenasse un'offesa tanto solenne. L'isteria sembra molto più di casa in via Tomacelli che nella penna di Raparelli che ha espresso - senza troppi fronzoli - un sentimento condiviso dalla pressoché quasi totalità dei/lle partecipanti al corteo di martedì. Una riunione pre-corteo decideva la volontà di violare la Zona Rossa. Un'assemblea pubblica a fine giornata registrava l'assunzione complessiva (di tutte le città presenti) delle pratiche mese in campo.

Quello che il "quotidiano comunista" non riesce proprio ad ammettere è che un movimento sociale (se si preferisce, una parte di esso - ma quanto determinante?) si costituisca in soggetto che sceglie e pratica il proprio livello di conflittualità, senza chiedere il permesso alla sinistra casta dei moralizzatori della stampa radical italiana.

Le compagne e i compagni di Uniriot sarebbero quindi affetti da paranoia sociale perché non si sarebbero accorti che l'articolo era stato inviato a redazione chiusa... Difficile crederci! La scorsa domenica il giornale usciva con un articolo trito nella retorica e triste nella finalità. Un articolo che mirava a riproporre la (questa sì) rituale contrapposizione tra "buoni" e "cattivi", appena velata nella riformulata dicotomia tra "vera" e "falsa" anima dell'Onda.
Il Manifesto ha letto il programma della 3 giorni "Block It"? Ne ha seguito i momenti di dibattito e assemblea? No! E ne eravamo certi! Bastava il reportage di Ravarino a dare l'ultima parola sul chi è legittimamente Onda e chi no.
Gli studenti e le studentesse dell'Onda Anomala torinese che hanno costruito (con tutte le altre articolazioni nazionali) la campagna e la 3 giorni contro il G8 si facevano, sotto sotto, grosse risate, chiedendosi: cosa scriveranno mercoledì, dopo una manifestazione che porterà in piazza migliaia di persone...? Saranno in gradi di correggere il tiro, ammettere di essersi sbagliati e ridare a ognuno peso, merito - anche le critiche, certo ma con un po' di onesta intellettuale - che gli spettano?

Il resoconto del giorno dopo certo non è stato "infame". Non si poteva non notare però la difficoltà e l'imbarazzo della redazione nel trovarsi di fronte un risultato che essa non avrebbe mai voluto vedere, ma che è stato il prodotto della scelta consapevole dell'Onda. Non si riusciva proprio a prendere atto che quegli studenti e quelle studentesse, quei precari e quelle precarie, avessero optato per un segnale tanto forte!

Da queste latitudini (torinesi) ci torna in mente una vicenda, differente per i soggetti coinvolti e le poste in gioco ma anche allora identicamente affrontata con pregiudizio. Ci riferiamo alla campagna sul Salone del Libro contro la scelta d'invitare Israele come ospite d'onore. Già allora avevamo notato una certa faziosità del vostro giornale. Un editoriale di Parlato pretendeva di chiudere la vicenda: non c'era critica possibile pena l'accusa di antisemitismo di sinistra. Salvo poi un reportage di Luca Fazio che aveva dovuto ammettere che si era trattato di una campagna (e di una manifestazione) gestita in maniera "pulita".
L'Onda non sembra nemmeno meritare un riconoscimento ex-post.

Con queste poche righe ci tenevano a rimettere alcuni puntini sulle "i" di fronte alle responsabilità politiche e culturali che un giornale come Il Manifesto dovrebbe preoccuparsi di osservare, a meno di scivolare nell'indistinta ricerca di un bon ton politico che non fa male - né serve - a nessuno. Senza risentimenti, sarebbe davvero il caso di riaprire il dibattito...

La domanda pressante in fondo non è la lettura - positiva o negativa - che si vuole dare della manifestazione di martedì 19 maggio a Torino. La domanda, ben più pressante, è: perché il conflitto, tanto seducente quando si svolge in un altrove più o meno esotico, diventa tanto ostile e così ossessivamente da rimuovere quando si esprime nel qui ed ora delle nostre metropoli?


La redazione di Infoaut_Torino

Il manifesto offeso: La rivolta di Torino e Il Manifesto

giovedì 21 maggio 2009

Sinistra con la puzza sotto il naso, qualunquismo e ricerca della felicità



Qualche tempo fa lessi un post in cui si scriveva che la politica, il risolvere questioni complesse, trattare di economia, consumare meno e meglio etc. non coincide con la soluzione di problemi di ordine individuale ed esistenziale. In sostanza, rendere "più giusto" questo mondo non necessariamente coincide con la felicità del singolo (chiedo venia per la ricostruzione sommaria del pensiero).
Credo che in questo ci sia del vero. Fossimo, per assurdo, in una condizione migliore, avremmo (forse) meno gente incazzata. Ma questo significa che di gente incazzata con questo e con quello, con quel tipo di giustizia che rende tutti uguali (ad esempio), con una economia che non classifica i meriti in funzione della sola variabile retributiva e con lo status sociale, ecco anche fossimo in quella condizione, quella gente rimarrebbe lì ostinatamente a testimoniare che la felicità non è di questo mondo e che, in qualche modo, persiste la necessità di pensare ad altro e percorrere altre strade.

Come fai a collegare il cervello delle persone con lo stomaco e far passare da quello (il cervello), elaborandolo, il rancore contro il mondo?
Durante un volantinaggio un signore mi ha chiesto ragione delle cose che erano scritte (non parliamo di partiti). Mi ha detto, tra le tante cose, che lui non andrà a votare e che era stufo di essere preso per il culo.
Nell'ordine ce l'aveva con:
1- Berlusconi che si fa i cazzi suoi
2-Quelli che vogliono fare entrare tutti i marocchini e gli extracomunitari in Italia
3-Quelli che pensano solo ai froci ed alle lesbiche
4-La casta che guadagna un sacco di soldi mentre lui fa fatica ad arrivare alla fine del mese.
5-etc.etc.etc.

Ho provato a dirgli "Guarda che qui parli con precari, operai e gente che vive una situazione di disagio come la tua. Pensi che la soluzione sia una guerra tra poveri? Non riesci a distinguere niente in quella melassa"
Non ascoltava. Ad un certo punto gli ho detto " Senti, mi rendo conto che ci sono problemi irrisolvibili ora. Ed io non riesco ad aiutarti quindi arrivederci continua pure la tua passeggiata"

Si è scatenato il finimondo ed alla fine ci hanno separati.
Si perché c'è una questione di fondo.
"Io non ci ho tempo di starti ad ascoltare, non faccio lo psicanalista e mi mancano gli strumenti per renderti felice. L'unica terapia che conosco, per te, è quella di farti spendere del tempo a fare delle cose. Impegnarti un po' su questioni in cui le cose che mi vomiti addosso le puoi misurare con la carne viva di chi è come te e forse sta peggio di te. Provare con loro a cercare risposte e costruire. Non esiste altra medicina che possa curarti. Non ti sta bene? E allora togliti dai coglioni perché abbiamo esaurito i discorsi."

C'è un film che narra del viaggio di un vecchio su un taglia erba. Si fa qualche centinaio di Km. per andare a trovare suo fratello che non vede da 10 anni. Ci ha litigato.
Durante il tragitto incontra umanità varia. Il fatto di essere quasi alla fine dei sui viaggi, data l'età, gli dà la serenità di parlare poco ma di andare al sodo delle questioni.
Incontra una ragazza fuggita dalla famiglia perché incinta.
Lui coglie immediatamente il suo disagio. Non le fa nessun pistolotto. racconta solo di quando suo padre lo faceva giocare con dei bastoncini. Glieli faceva spezzare uno ad uno uno. Dopo prendeva un altro mazzo di bastoncini, li teneva stretti ed uniti e chiedeva di fare lo stesso. Spezzare il mazzo. Nel raccontargli questo il protagonista le dice che non ci è mai riuscito a spezzare un mazzo di bastoncini tenuti uniti. Conclude che per lui quel mazzo ha rappresentato sempre la famiglia. Il senso di solidarietà e di forza che un gruppo di persone accomunate gli ha sempre dato.

Ora, per chiudere, io non ho la puzza sotto il naso. Provo ad unire dei bastoncini per evitare che, isolati, qualcuno senza sforzo li possa spezzare. Non sono in grado di risolvere questioni esistenziali e di dare felicità alle persone. Posso solo provare a suggerire un modo per cercare una ragione di camminare insieme ad altre persone e smaltire un po' del rancore. Però sono diventato cattivo e vi mando affanculo se mi fate perdere del tempo e non collegate lo stomaco al cervello prima di sputare sentenze.

mercoledì 20 maggio 2009

Dopo il 19 aspettando il G8 a l'Aquila


Fonte:http://www.infoaut.org/


Va ora in Onda il conflitto [+gallery]

saperi 

A poche ore dal termine della manifestazione odierna contro il G8 dei Rettori, non è semplice trarre un bilancio della mobilitazione, ma rispetto ad altre volte, questa, e non perchè ultima in ordine cronologico, si è auto-narrata nel corso della giornata. A mesi di distanza dall'autunno che ha visto la nascita di un nuovo movimento degli studenti non era facile riportare in piazza, se non i numeri, la voglia e il protagonismo che hanno caratterizzato la crescita dell'Onda, che fin dai suoi albori ha saputo coniugare la "controriforma dell'università" ad un discorso più ampio sulla crisi, con i suoi costi e le sue responsabilità, sapendo saldare la lotta tra studenti medi e universitari, uscendo dalle scuole e dalle università, interlacciando rapporti di conflitto con le metropoli e la loro produzione fluida. Non era semplice eppure, oggi migliaia di universitari e universitarie, studenti medi, compagni e compagne, si sono dati appuntamento per contestare fermamente l'ennesimo summit, illegittimo quanto inutile. Uno dei g8 preparativi del g8 dei grandi della terra che si terrà nell' Abruzzo martoriato il prossimo luglio. La manifestazione aveva l'obiettivo di tentarci, di provare ad avvicinarsi più possibile al Castello del Valentino, luogo quanto mai consono alla fortezza predisposta per i signori rettori, protetto da ogni forza dell'ordine di cui possiede lo Stato Italiano. La differenza da tante altre volte è che quello che il movimento ha detto, alla fine ha fatto, si è dato degli obiettivi e delle parole d'ordine, e li ha perseguiti con coerenza e maturità, sapendo mettere insieme soggettività differenti, che in quest'occasione hanno saputo parlare un unico linguaggio, fondato sulla pratica dell'obiettivo. Per farlo era chiaro che la manifestazione si doveva dotare di tutti gli strumenti utili per tentarci, per non mimare un conflitto, che non aveva, se non inteso concretamente, senso di essere. Ad alcuni farà storcere il naso non aver visto solo gioia e colori al corteo, ma a differenza di altre volte, la gioia è stata incarnata nella rabbia e i colori sono stati quelli della lotta, e non copie sbiadite delle stesse. Il resto viene ed è venuto da se', mettendo in campo la giusta determinazione di chi non si può permettere di perdere le battaglie senza neanche provare a combatterle con orgoglio. Oggi a Torino questo si è consumato, mettendoci forza senza lasciare sul campo troppi arrestati nè feriti tra l'altro, cosa che descrive la compattezza d'intenti dei manifestanti e la responsabilità degli organizzatori. Ora ci sarà probabilmente la repressione, come è normale che ci sia quando si pratica il conflitto, e va respinta con il senso di una lotta e di una giusta pratica che deve essere base per affrontarla senza gridare più di tanto allo scandalo.
Da Torino viene se non un'indicazione vera e propria, la fattibilità spinta da un'Onda, nella praticabilità di un obiettivo difficile e ambizioso come la mobilitazione contro il prossimo G8 di luglio. In serata giungono le dichiarazioni del ministro Maroni che come normale, dichiara guerra ai violenti, e lo seguono quelle del Pd, che come normale da tutta la sua solidarietà alle forze dell'ordine. C'è poco da riflettere su da che parte stare, se da quella della politica dell'esistente o in quella dell'autonomia dei movimenti del futuro, che quel presente, lo vogliono spazzare via con una grande e determinata Onda.
La nostra solidarietà va agli arrestati. Liberi tutti
Infoaut

guarda qui la galleria fotografica 

martedì 19 maggio 2009

Cronaca



  • -13.25 - TORINO BLOCK G8 LA POLIZIA RETROCEDE SOTTO UNA FITTA SASSAIOLA
    La polizia carica ma sotto una fitta sassaiola dei compagni è costretta a retrocede. Manuel da Torino [Scarica il contributo audio, durata: 1 min.] da Radio Onda d'urto
  • 13.24 - L'Onda continua a reggere, cariche e lacrimogeni della polizia. L'aria è irrespirabile, ma gli studenti e le studentesse resistono. Un elicottero volteggia in aria e la questura tenta di chiudere le vie laterali, intimidendo il corteo. La situazione è tesa ma la detrminazione è tanta
  • 13.23 -L'Onda tenta di forzare il blocco, quantità incredibile di lacrmogeni. L'attacco dell'Onda è avvenuta con scudi ed estintori, ma non si riesce ancora a passare. la polizia non si avvicina, qualche carica laterale.
  • 13.20 - LA POLIZIA SPARA ALCUNI LACRMOGENI PER ALLONTANARE IL CORTEO
  • 13.15 - UN'ALTRA VOLTA, UN'ALTRA ONDA! il corteo prosegue determinato verso il valentino. Ascolta Simone dalla piazza
  • 13.10 - il corteo dell'ONDA ora è fermo davanti al blocco dlle forze dell'ordine, presenti con un numero ingente. Le vie intorno sono chiuse
  • 12.55 - il CORTEO E' IN CORSO MARCONI, in dirittura d'arrivo verso le zone dichiarate off limits dalla questura. Attraversando San Salvario, il quartiere adiacente, l'onda ha trovato i negozi aperti a dispetto di quanto sostenevano i giornali cittadini
  • 12.41 - in corso vittorio colpita un'altra banca, chiusa con catene e lucchetti. Anche un'agenzia del lavoro interninale è stata sanzionata da scritte contro il lavoro precario. Ascolta la diretta di Simone (ONDA ANOMALA TO)
  • 12.21 - La manifestazione è ulteriormente cresciuta, sono arrivati tutti gli universitari provenienti da fuori Torino e molte persone stanno ancora affluendo. Gli organizzatori hanno stimato 10mila partecipanti. DA radio onda d'urto [Scarica il contributo audio, durata: 7 min.]

  • 12.15 - IL CORTEO E' IN PIAZZA SOLFERINO E STA GIRANDO VERSO CORSO VITTORIO.
  • 12.10 Ascolta l'intervento di uno studente milanese
  • 12.05 - IN VIA PIETRO MICCA COLPITA banca UNICREDIT con uova e vernice: NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO! Ascolta la diretta con Dana (ONDA ANOMALA TO)
  • 12.00 - CORTEO IN PIAZZA CASTELLO migliaia in piazza, procede spedito per raggiungere il Valentino -prime foto dal sito di Repubblica
  • 11.51 - CORTEO IMPONENTE Via Po in Onda! in questo momento è sotto la sede del rettorato
  • 11.40 -CORTEO IN MARCIA VERSO LA SEDE DEL G8 è presente un pool di avvocati, sette, hanno indossato delle casacche arancioni con sopra la scritta «Supporto legale» e il numero di telefono, 3315918248, e partecipano al corteo
  • 10.45 -PRIMO AGGIORMANTO DALLA PARTENZA Gianluca [Infoaut] manifestazione ancora ferma. Sembra primi fermi intorno al corteo (notizia da confermare). Si aspetta l'arrivo del treno da milano


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Now playing: Scarica il contributo audio in mp3
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lunedì 18 maggio 2009

Che domani ci aspetta? Quello che costruiamo oggi.


Ieri a Torino c'è stata una manifestazione non programmata dell'onda. Studenti, precari e ricercatori si sono ritrovati in centro. Diverse centinaia  di ragazzi hanno occupato le vie del centro ed hanno mandato di traverso la passeggiata a più di un torinese.

Nella stessa giornata una melassa indistinta di giovani, vecchi e famiglie hanno occupato piazza S.Carlo ed hanno assistito allo spettacolo della De Filippi. Sul palco gli eroi del grande fratello.Più o meno 50.000 persone dice la stampa.

Questa mattina corso Massimo D'Azeglio è stato occupato, il traffico bloccato e ci sono stati scontri con la polizia. Niente di grave. 
Vi saprò dire di quello che accadrà domani perché andrò con loro.   

Ci sono due Italie? Una maggioranza silenziosa, senza pensieri con la voglia di divertirsi e guardare al futuro pensando solo a come tirare fino al prossimo giorno? Un'Italia che non si interroga di nulla, che reagisce solo in funzione di ciò che l'onda emotiva del momento la costringe a guardare? 
E l'altra Italia com'è? Minoritaria, divisa, rissosa, senza risposte e progetti?

Troppo semplice raffigurare le cose così.
L'altro giorno, mentre volantinavo, un tizio che si è definito anarchico, poi socialfascista ed infine di ordine nuovo (tanto per non farsi mancare niente) mi ha detto " ma non lo vuoi capire che le rivoluzioni si fanno solo se la borghesia si rompe i coglioni?"

Anche lui ha ragione.
Hanno tutti ragione. ha ragione quello che pensa a come sfangarla giorno per giorno, che per questo si raccomanda l'anima ed i figli a qualche ras della politica e del sindacato.
ha ragione quello che dice"ognuno pensa ai cazzi suoi, ed io ai miei"
Ha ragione quell'altro che fa analisi brillanti sui massimi sistemi e che rimanda a dieci anni le risposte in attesa che le coscienze si sveglino.
ha ragione Caio che racconta come consumare meno per vivere meglio.
Ha ragione Tizio che vorrebbe di più per tutti.

In tutto questo bailame sembra che nulla si muova. Ma la visione è distorta.
Le rivoluzioni e le controrivoluzioni sono questioni di minoranze. la maggior parte della gente guarda e pensa a tirare avanti.
Se il tessuto si lacera, se la corda si spezza allora anche gli equilibri (tra minoranze) vanno a farsi fottere.
Lor signori queste cose le sanno molto bene. E' questione di organizzazione, di progetti, di realismo e di leadership.

Costruire significa fare. Oggi la politica, quella che vuole costituire un'alternativa al sistema, deve sapersi muovere in modo concreto sul territorio. per rappresentare delle esigenze devi avere la capacità di dare risposte. Che siano in grado di risolvere questioni dell'oggi. Un modo per costruire la piattaforma del futuro.

Esperienze da questo punto di vista ci sono, hanno bisogno di una maggiore visibilità, di una maggiore forza e devono porsi come soggetto in grado di rompere gli schemi e praticare del contropotere sul territorio.
Partiamo da fatti.
Askatasuna, qui a Torino, ha lanciato un progetto che è quello di una ludoteca in cui ospita bambini del quartiere. Rifondazione, attraverso il "partito sociale", ha riesumato la pratica dei mercatini rossi ed ha iniziato a costruire una rete di distribuzione di generi di prima necessità.

Nel corso di un dibattito ho parlato della necessità di occupare degli spazi fisici, in cui sviluppare una serie di servizi per le persone del quartiere. Una rete di "resistenza" e di risposta per le esigenze di chi vive nel territorio.
Occupare spazi significa togliere territorio al degrado, allo spaccio, all'intolleranza. 
"Rete di resistenza" significa avere anche gli strumenti, in termini di organizzazione, in grado di rispondere alla repressione.

Politica della casa? Iniziamo a censire le case vuote, gli immobili non usati dagli enti pubblici ed occupiamole. Mettiamoci dentro le famiglie, costruiamo spazi per farli usare ai bambini. Circoli in cui riunire gli anziani.
Lavoro? Iniziamo a girare per i cantieri, costringiamo le imprese a far lavorare le persone in sicurezza, picchettiamo i luoghi di raccolta della manovalanza da parte dei caporali. 

Quando ci si muove, anche in modo caotico, si semina quel tanto che basta a scuotere l'albero. E' questione di forza e di tempo per sradicarlo. Le lotte studentesche, ad esempio, hanno prodotto oltre che risultati pratici, come un ridimensionamento del primo progetto della Gelmini, anche risultati in termini di rappresentanza. Ogni dove liste promosse dall'onda si sono persentate, queste hanno sbaragiato il campo. Qui da noi hanno raccolto più della metà dei consensi riuscendo a far aumentare anche il numero dei votanti.

Fare significa anche avere chiaro che la questione ineludibile, per qualsiasi alternativa o progetto, è il lavoro. Come produci, perché, cosa e secondo quale visione di rapporti sociali.

Si tratta di questo, seminare e lavorare duro formando una nuova generazione di protagonisti. Un lavoro ed un progetto che tenga conto della necessità di spazzare via un'intera schiera di quella classe dirigente della sinistra istituzionale (presente dal PD a Rifondazione passando per Sinistra e libertà) che non ha più un cazzo da dire oggi. Hanno avuto a disposizione 50 anni e li hanno sprecati ritrovandosi intorno a quel tavolo che volevano rovesciare.

domenica 17 maggio 2009

Quando la lotta diventa dura i burocrati parlano d'altro


La vicenda della contestazione a Rinaldini, ed agli oratori che si sono succeduti sul palco a Torino, viene ricostruita dai media come l'occasione per sottolineare l'irresponsabilità di chi usa metodi violenti per prendere la parola.

In questa cappa di piombo che avvolge il mondo delle relazioni sindacali, delle modalità in cui si stanno ristrutturando le aziende approfittando della crisi e di come i costi sociali verranno e vengono pagati dai soliti noti, l'informazione sfrutta la sua funzione di cavallo di troia di formazione delle coscienze per raccontare a modo suo come si svolgono i fatti.

Isolato dal contesto in cui è avvenuto, un episodio può essere manipolato al meglio per offrire una visione della realtà che si limita allo spazio in cui l'immagine viene messa a fuoco, lasciando sfuocato ed invisibile il resto.

Anche Sofri, dall'angolo della sua cella, non ha perso l'occasione per scrivere un articolo inutile al riguardo su Repubblica.

Ieri davanti al palco c'è stato un parapiglia, molta agitazione e nessuna azione preordinata.Rinaldini è scivolato dal palco ed un po' di gente si è accapigliata .
Perché tutto questo?

La vicenda affonda le sue radici in quella che è la lotta dura che i lavoratori di Pomigliano D'arco stanno conducendo da qualche anno a questa parte contro i continui tagli, le riorganizzazioni fatte attraverso le esternalizzazioni di parti di attività, il peggioramento delle condizioni di lavoro a fronte di salari che nel tempo perdono valore e non coprono più le esigenze di sopravvivenza dei più.

Limitiamoci alla cronaca di qualche anno:
anno 2006, dopo una manifestazione alcuni operai (otto) del sindacato autonomo vengono licenziati dall'azienda.
In data 23 Marzo 2009 il giudice del lavoro ne reintegra tre
Fonte:http://www.slaicobas.it/
.
CON ORDINANZA DEPOSITATA STAMATTINA IL GIUDICE DI NOLA REINTEGRA IN FABBRICA GLI ALTRI TRE DEGLI OTTO LICENZIATI (ALL’EPOCA DIPENDENTI TNT, POI DHL - OGGI IL RAMO D’AZIENDA E’ STATO RILEVATO DI NUOVO DALLA FIAT) PER LE ASSEMBLEE DI ‘SAN VALENTINO’ DEL 2006  TENUTE NELLO STABILIMENTO DI POMIGLIANO D’ARCO IN CUI 6.000 LAVORATORI - CON LO SLAI COBAS - CONTESTARONO FIOM-FIM-UILM-FISMIC PER LA STIPULA DEL CONTRATTO-BIDONE DEI METALMECCANICI : SI SGONFIA COSI, DOPO ALTERNE VICENDE GIUDIZIARIE, LA PROVOCAZIONE ANTISINDACALE ORDITA ALL’EPOCA DALLA FIAT CONTRO LO SLAI COBAS. INTANTO GRANILLO, DOPO IL DISPOSITIVO DEL GIUDICE DEL LAVORO DI STAMANE, POTRA’ IMPUGNARE L’ENNESIMO LICENZIAMENTO (COLLOCAZIONE IN MOBILITA’ FORZATA) COMMINATOGLI DALL’AZIENDA IL 1° GENNAIO 2007 


A seguito di questa vicenda molti lavoratori (320 di cui 120 iscritti al sindacato Slai Cobas) furono trasferiti in una unità produttiva a Nola facendo, in questo modo, riemergere la pratica dei reparti di confino che fu, durante la gestione Valletta, una delle modalità applicate per stroncare qualsiasi forma di opposizione sindacale dentro gli stabilimenti del gruppo fiat.

Fonte:http://www.slaicobas.it/

Il lungo corteo, partito dall’area industriale, ha attraversato le vie della cittadella operaia raggiungendo poi piazza Primavera dove erano ad attendere sindacalisti confederali, politici, sindaco e prelati che, con l’arroganza checonsuetamente li contraddistingue, pretendevano di negare la parola agli operai. La contestazione ha raggiunto toni forti quando gli organizzatori si apprestavano a smontare l’impianto di amplificazione, ed è stato allora che, i lavoratori deportati all’impianto-confino di Nola si sono appropriati del palco tra gli applausi delle migliaia di lavoratori presenti (indipendentemente dalla loro iscrizione ai vari sindacati compresi quelli confederali) e che si rifiutavano di sciogliere la manifestazione per ascoltare finalmente i lavoratori ed i rappresentanti dello SlaiCobas.
 
Nell’intervento di Luigi Aprea, delegato RSU della componente Slai cobas della Fiat Pomigliano la “serrata critica sulla deportazione al reparto confino di Nola di 320 lavoratori ammalati o sindacalizzati tra cui 120 iscritti allo SlaiCobas la cui difesa per il rientro a Pomigliano è sostenuta solo dallo Slai Cobas perché i confederali tutti all’epoca firmano l’accordo”.

 
E’ toccato poi a Vittorio Granillo, plurilicenziato dalla Fiat Pomigliano sintetizzare la paradossale giornata di lotta di stamattina in cui quegli stessi sindacati che (dall’Alitalia a Pomigliano) continuano a sottoscrivere accordi di licenziamenti e precarietà per i lavortatori poi pretenderebbero pure di negargli la parola: “ LA DEMOCRAZIA E’ UNA QUESTIONE POLITICA, NON LA SI RIVENDICA MA LA SI ESERCITA ED OGGI MIGLIAIA DI LAVORATORI DELLE FABBRICHE SI SONO RIPRESI LA PAROLA: BISOGNA CONTINUARE COSì.





Queste tensioni e questi fatti hanno prodotto ieri un ulteriore episodio. Di fronte ad una pratica sindacale concertativa, buona per gli apparati e che nei fatti non ha prodotto e non produce alcun risultato pratico per i lavoratori il bivio che si presenta è quello che vede due strade: la prima prosegue nella direzione di un costante declino con la realizzazione di un disegno che vuole la pratica sindacale fatta nella logica della rappresentanza istituzionale, quella che ti fa sedere al tavolo anche se non rappresenti molto della base per cui vai a contrattare. L'altra quella della radicalizzazione delle forme di lotte. la costruzione di un opposizione dura che non faccia sconti. Le pratiche e le esperienze di questi mesi insegnano che conviene oltrepassare la riva del fiume. Picchettare gli stabilimenti in crisi, occuparli, non fare uscire la merce e discutere "sine die" al tavolo e "dentro" i luoghi di lavoro con chi rappresenta le aziende.
I rappresentanti sindacali, quelli che una coscienza di classe ce l'hanno, al di là dell'incazzatura devono sapersi confrontare con il loro popolo. E' finita l'epoca astratta delle comparsate. Questa crisi produrrà costi sociali altissimi. Il compito, per chi fa politica oggi, è quello di fare in modo che non si laceri ulteriormente il tessuto sociale di riferimento. Che quelle persone le risposte non le cerchino da sole come è accaduto a Napoli o ieri qui a Torino.












venerdì 15 maggio 2009

Meglio radical chic che radical choc

Copio questo pezzo di Ilvo Diamanti da Repubblica perché lo condivido in pieno.
Meglio Radical chic che Radical choc

Ma basta! Difendere gli accattoni, i poveracci, i malandrini, gli stranieri, gli immigrati. Basta. E basta: aprire le porte al mondo. Fare entrare gli stranieri a casa nostra. Com'è avvenuto fino ad oggi per colpa - appunto - della sinistra. Come ha scandito il "Berlusconi radical choc", pochi giorni fa. Anche se - ma forse la memoria non ci aiuta - la legge in vigore fino ad oggi è denominata "Bossi-Fini". E si riferisce al Bossi di sempre e al Fini di qualche anno fa. Prima che cambiasse ruolo e identità. Lui sì: convertito. 

E' vero: la sinistra è impopolare, perché non la votano più neppure gli operai. Perché è lontana dal popolo. Radical chic. Non vincerà mai se non ascolterà il suo popolo. Come sa fare la Lega. Tallonata da Berlusconi, che magari non passa il tempo nei bar di paese, come i leghisti, ma ha un paio di sondaggi al giorno che ascoltano la gente per suo conto. Tutto ciò, semmai, suggerisce una domanda, relativa a un'altra epoca, finita e irripetibile. La prima Repubblica, quando i sondaggi non c'erano o comunque non si usavano con questa frequenza. Ma i partiti maggiori erano radicati e presenti sul territorio quanto e anzi più della Lega. La Dc e il Pci come avrebbero agito negli anni Cinquanta e Sessanta se avessero ascoltato e soprattutto assecondato la gente? Se avessero inseguito il sentimento popolare? Allora non c'erano gli immigrati provenienti da tutto il mondo. Allora. Erano gli italiani a emigrare in giro per il mondo. Allora. Oppure migravano all'interno. Si trasferivano dal Sud al Nord. Dal Nordest a Nordovest. A Torino oppure a Milano. Se avessero dato ascolto alla gente, il Pci e prima di tutto la Dc. Nel Nord: forse avrebbero promosso i respingimenti degli immigrati siciliani o napoletani. Magari, perché no? anche veneti. Gli immigrati nostrani. Minaccia per l'ordine, l'etica e l'estetica. Sporchi, ignoranti e disonesti. Non c'è bisogno di sondaggi. Vi sono molti documenti: letterari, storici, giornalistici. Basta averci vissuto, in quel tempo. Io, figlio di veneti, ho girato il Nordovest fino all'adolescenza. D'altronde, non ci vuole grande sforzo di memoria. Basta tornare agli anni Ottanta, ai tempi dell'insorgenza leghista. I "nemici" erano Roma, il Sud, i meridionali. Molto più degli africani, che d'altronde erano ancora pochi. Lo slogan "Meglio negri che terroni" risuonava spesso. E sulle superfici più singolari apparivano incitamenti alle forze naturali: "Forza Etna! Forza Vesuvio! Fate il vostro dovere". 

Se si fossero inseguiti i sentimenti del popolo, se si fosse ascoltata la "voce della gente", allora, il "decreto sulla sicurezza" avrebbe avuto altri bersagli. Non ci risulta sia mai avvenuto, nella prima Repubblica. Perché in democrazia, si dice, la maggioranza vince e governa, com'è giusto (anche se non è nel giusto). Il problema, semmai, è chi "rappresenta" il popolo. Come lo rappresenta. La sinistra, si dice, non lo sa ascoltare. E va bene. Siamo d'accordo. Però la destra, forse, lo ascolta anche troppo. E, anzi, fa del suo meglio perché esprima tutte le sue paure, tutta la sua insofferenza, tutta la sua intolleranza. Chissà cosa avverrebbe (e magari avverrà) se, in nome della sicurezza, qualcuno proponesse la pena di morte. Qualche punto percentuale, alle elezioni, potrebbe guadagnarlo. E qualche punto percentuale avrebbero potuto guadagnarlo i partiti di massa cavalcando l'intolleranza "interna". Magari in modo incrociato. Accentuando le tensioni territoriali. Il localismo in Italia ha radici profonde, anche se, per prudenza, non sono mai state "scoperte". Fino a ieri. La rappresentanza non è un'opera automatica, notarile. Non è uno specchio. Semmai è come una fotografia. Dipende dal fotografo scegliere come rappresentare la realtà. Su quale particolare puntare l'obiettivo. Quanto ingrandirlo. Quali emozioni cogliere, quanto e come amplificarle. Perché tutti siamo, in misura diversa, buoni e intolleranti. Xenofobi e generosi. Invidiosi e disponibili. Egoisti e altruisti. Impauriti e tranquilli. Poi, molto dipende dallo specchio che viene offerto. La sinistra, narcisa e irrealista, propone un'immagine radical chic. La destra è iperrealista. Offre un'immagine radical choc. 

Meglio evitare di guardarsi allo specchio.

giovedì 14 maggio 2009

La crisi morde ma noi balliamo in piazza.

La Graziano trasmissioni ha 1.200 lavoratori in esubero, la Dolmer ne ha licenziati 89. Trenta lavoratori, di un'azienda che lavora in subappalto per la SDA, sono senza stipendio da Marzo. La loro cooperativa è stata di fatto licenziata e loro perderanno il lavoro. Altri 75 operai ,appartenenti a due aziende di costruzioni, non vengono pagati da sei mesi e le loro aziende sono di fatto fallite. Nella lunga catena dei subappalti pubblici sono la parte  più debole, se il capocommessa contesta qualcosa nello svolgimento dei lavori  i primi che pagano sono loro. In attesa che il contenzioso si dirima rimangono senza soldi e senza lavoro. 
A cuneo la Saint Gobein ha dichiarato che licenzierà 650 lavoratori. L'Ilva di Novi Ligure riduce la produzione del 50%.
Queste sono solo alcune delle cifre della ricaduta della crisi qui a Torino ed in Piemonte. Una frazione di ciò che accade.
La cassa integrazione, mese su mese, ha avuto un incremento del 1.200%. 
L'aria è plumbea, piove e quello che ho descritto non compare sui media. Sono troppo impegnati, con rare eccezioni, a nascondere quello che accade.
Non è che si stia fermi. 
Quei lavoratori si portano dietro tensioni e disperazione. Ci sono state occupazioni di strade, picchetti e pugni sventolati sotto il muso di dirigenti, dirigenti sindacali e poliziotti.
Però nulla traspare.
In questa situazione non è casuale la nuova ondata xenofoba. le leggi che trattano gli uomini come criminali solo perché cercano di sfuggire al peggio, alla fame ed alle guerre.
Quello che si fa è offrirli come bersaglio e sfogo della rabbia e della disperazione che taglia come un coltello questa città.
Qualcuno sul giornale si esercita in retorica intrisa di pragmatismo, vuole insegnare alla sinistra come fare la sinistra. Come accettare la logica della divisione, degli interessi particolari, dell'identità e del territorio.
Noi andiamo avanti. Domani ci   sarà una manifestazione degli operai Fiat davanti a Mirafiori, poi toccherà agli studenti per quattro giorni (intanto hanno chiuso l'università per precauzione).
In tutto questo la s.ra Bresso ha pensato bene di organizzare una manifestazione con Mediaset (grande fratello ed amici), per lanciare il digitale terrestre, in piazza Castello.
"Proviamo a farli divertire e a rincoglionirli un po' di più. Cerchiamo di tenere per quanto più possibile lontano il risveglio."

martedì 12 maggio 2009

Stare in galera da sei anni nel mondo delle democrazie asimmetriche

C'è un uomo che da sei anni è in galera in Marocco. Il filmato che propongo racconta la sua storia.
In epoca di insicurezza, guerra al "terrorismo" su scala planetaria e contro le "insorgenze", come le ha definite ieri Massimo D'Alema,il suo caso non occupa spazi sui giornali.
Ne approfittiamo per concedergli il nostro. E' poca cosa. Basta per mantenere aperto un buco nel muro che hanno costruito. Sarà sufficiente per lavorarci con i picconi e buttarlo giù.





domenica 10 maggio 2009

E' solo un normale paese di merda, con gente normale

Fassino è uno che in tempi non sospetti, quando ancora doveva laurearsi e comunque faceva il ministro, disse che il subcomandante Marcos non lo interessava perché a lui non interessava uno zorro.
Non eravamo ancora immersi nella merda fino alle orecchie. Ci arrivava solo fino al collo e questo ci permetteva di ruminare tranquillamente e dare un occhiata al paesaggio in modo annoiato.
Oggi è lì che ci racconta che lui "è uno di quelli che gli accordi con Tripoli li ha firmati e quindi condivide la politica dei respingimenti, macheperò è contro Berlusconi perché non gli piace il clima."
Questo qui, estimatore dello stato sionista e suo fan, è parente stretto di quell'altro che cianciava della necessità di parlare al paese semplice. La storia lo ha cancellato e di lui ricordiamo solo le case in cui abita agiatamente, oltre allo scempio che ha contribuito ha creare con le sue campagne xenofobe per non perdere Roma e stare dietro al protofascista zen Alemanno.
Qualcuno aveva descritto egregiamente quello che stiamo vivendo, il clima culturale in cui ci stiamo (si stanno) avvitando. Ricordiamo.

Fonte: wu ming- Giap n.22


Gente sempliceMARCIRE AL PASSO DELL'OCA 
Appunti dal Paese Semplice 

Alla fine il Paese Semplice è arrivato.
Anzi, meglio, il Paese Semplificato. Chi si auspicava questo esito ha il diritto di festeggiare. Non importa quale schieramento si sia sostenuto, e infatti sono in tanti a rallegrarsi per la fine delle contrapposizioni frontali: si saluta una nuova stagione, non avrà più spazio la "demonizzazione" dell'avversario politico.
Con ritrovata serenità si marcia sui campi nomadi, semplici molotov vengono tirate in svariate regioni da nord a sud. Si annunciano sereni e pacati pogrom. La fiammella accesa mesi addietro con link l'appello "Il Triangolo Nero" non poteva che essere profetica, e non consola il constatarlo né l'avere intuito che etc.
Cazzotti sciolti, calcioni in libertà, rilassati pestaggi nazisti lasciano morto un ragazzo per strada a Verona. Codino di merda, chi cazzo sei? Ti ammazzo.
Semplici adolescenti dell'estremo sud si rompono i coglioni di una loro amichetta? Ti cancello e ti butto in un pozzo. 
Semplificare.
L'immondizia di Napoli deve scomparire. In che modo? Per finire dove? Non è il caso di complicare le cose, per favore badiamo al sodo. E i clandestini? Sono un problema e vanno eliminati. 
Si apre una nuova stagione. Stagione lunga, che ha davanti a sé il tempo di lustri e generazioni. La contingenza non può più essere la priorità.
L'emergenza è finita.

La zona dove abito verrà presto chiusa alle auto.
Un mese fa su vetrine, muri e parabrezza del quartiere sono comparsi i cartelli, "No alla pedonalizzazione". 
L'altra sera il comitato del No ha convocato un’assemblea per decidere che fare.
Ci sono andato. Ho alzato la mano e ho spiegato che a me la zona pedonale piace, anche se ho due bimbi piccoli e spesso girare in auto mi diventa necessario.
Mi hanno ascoltato per un minuto, incapaci di capire se fossi lì per sfotterli oppure per sbaglio. Poi un signore garbato mi ha interrotto e mi ha spiegato che quella non era una riunione per confrontarsi, ma per decidere come contestare il provvedimento.
Allora mi sono scusato e ho chiesto se la riunione di confronto l'avessero già fatta o messa in programma, perché ci tenevo davvero a spiegare le mie ragioni.
Mi ha risposto una signora, scandendo le parole come si fa con gli stranieri.
- Noi siamo già contrari. A che ci serve parlarne ancora?

 Prima Regola: eliminare il dubbio. Il Paese Semplice è un paese a priori.

Uscito dalla riunione, sulla strada di casa, passo davanti ai tavolini di un bar e inciampo in una frase, buttata in mezzo al portico da una ragazza giovane, segni particolari nessuno.
- Certo, - dice con il tono di chi fa una concessione - però gli zingari sono zingari.

 Seconda Regola: ridurre il mondo a verità necessarie. X è sempre uguale a X. Il Paese Semplice ammette solo identità.

reductio ad hitlerumAscolto spesso i discorsi del prossimo. In treno, se non ho un paio di cuffie da infilarmi nelle orecchie, sono incapace di leggere, troppo attento a quel che dicono i vicini. A volte mi faccio contagiare anch'io dalla voglia di semplicità. Immagino di essere un agente segreto, assoldato per schedare i responsabili di determinate frasi in stile Borghezio. A seconda del sogno, le persone che segnalo vengono poi deportate in Libia oppure private del diritto di voto. Lo so che non va bene, e infatti mi sveglio, mi schiaffeggio e poi rido della contraddizione: deportare i razzisti o convincerli con la forza.
Il problema è che altri fanno sogni peggiori e non si svegliano affatto.
Ti ammazzano di botte perché hai il codino e non offri una sigaretta.
Ti buttano in un pozzo perché forse sei incinta e gli incasini la vita.
Ti bruciano la casa perché sei rom, o romeno, insomma, quella roba lì.
Tutto pur di restare in pace, al sicuro, lontano dal conflitto.
Una ragazza mi supera a passo veloce. Discute con un amico, forse il fidanzato.
- Che poi i dati delle questure parlano chiaro:link non risulta che un bambino sia mai stato rapito dagli zingari. E' una leggenda metropolitana.
Mi metto a correre, la raggiungo, le stringo la mano e prima che il tipo mi metta le mani addosso, sono più o meno in ginocchio che la ringrazio e le chiedo se per caso non ha voglia di andare a parlare con un'altra ragazza, seduta al bar pochi metri più indietro.
Poi arrivo a casa e c’è la tivù accesa sul programma di Santoro.
Castelli, Lega Nord, messo alle strette sulla questione clandestini, si agita.
- La gente ci ha votato per questo - taglia corto - e noi andremo avanti.

 Terza Regola: eliminare le minoranze. Nel Paese Semplice democrazia fa rima con maggioranza.

A seguire parte un servizio, credo girato in Romagna, credo per dimostrare che anche i bonari comunisti d'antan non ne possono più degli stranieri. Forse vale la pena ricordare che in provincia di Bologna il giornale più venduto è sempre stato il Resto del Carlino, anche quando il direttore era un entusiasta della Repubblica di Salò. E l’espressione maruchèin (marocchino = meridionale) non è mai stata un complimento, da queste parti.
Intervistano un tizio che con l'aria dell'illuminista sostiene:
- Quelli che lavorano è giusto che restino. Ma i clandestini no, quelli fuori.
Milioni di italiani, di destra o di sinistra, sottoscriverebbero una frase del genere, sentendosi più o meno nipotini di Voltaire. 
Se capisco bene, l'uomo che la pronuncia è appena uscito da una fabbrica. Lavora lì insieme a molti stranieri, in gran parte senza permesso di soggiorno. Solo che nella sua cornice mentale clandestino significa "senza lavoro" e non è disposto a modificarla nemmeno davanti ai fatti. D’altra parte qualunque teoria può essere difesa dall’attacco della realtà. Copernico rigettò il sistema tolemaico non perché non riuscisse a spiegare nuovi fenomeni, ma perché per farlo aveva bisogno di calcoli troppo complessi. Il problema non è la scomparsa dei fatti, ma l'uso di un linguaggio allo stesso tempo troppo semplice e troppo oscuro per poterli descrivere.

 Quarta Regola: eliminare le informazioni. Il Paese Semplice ammette solo tautologie.

Ci sono leggi che si scrivono per sancire l'illegalità, l'arbitrio, l'assenza di diritto. 
L'attuale legislazione italiana in materia di immigrazione dai paesi extra-comunitari (promulgata da un governo di centrodestra e lasciata tale e quale dal governo di centrosinistra) è un caso paradigmatico. 
La legge Bossi-Fini stabilisce che per ottenere un permesso di soggiorno è necessario avere un contratto di lavoro. Ma per avere un contratto è inevitabile... venire in Italia. Ovvero entrare clandestinamente, trovare un datore di lavoro disponibile, il quale spedirà una formale richiesta di assunzione all'ambasciata italiana nel paese d'origine, fingendo di non avere già in organico il lavoratore (in nero). Il quale lavoratore dovrà poi tornare al suo paese a proprie spese, fingere a sua volta di non essere mai entrato clandestinamente in Italia, presentarsi all'ambasciata italiana per ottenere i documenti e quindi rientrare in Italia da regolare. 
Che l'iter sia questo lo sanno anche i sassi, ma tutti, dai legislatori alle autorità preposte al personale diplomatico, fino ai diretti interessati, fanno finta di niente. Nessuno affiderebbe la cura dei propri anziani o della propria casa a un estraneo, che in teoria dovrebbe vivere a Kiev, a Bucarest o a Manila. Vogliamo parlarci, vederla in faccia, la persona che cambierà il pannolone a nostra nonna, sapere qualcosa di lei, prima di assumerla, metterla in regola (ammesso che si sia disposti a farlo). E possiamo scommettere che anche l'impresa edile che ci ristruttura casa non ha assunto il muratore rumeno sulla parola, scegliendolo da una lista di collocamento internazionale.
Piccolo spazio pubblicitàCi sono leggi "contro la clandestinità" che si fanno per favorire la clandestinità.
Il dipendente perfetto è quello che deve al proprio datore di lavoro la garanzia di non essere sbattuto in un CPT, quello sottoposto al doppio ricatto di perdere il lavoro ed essere espulso oltre frontiera.
Ci sono leggi che sembrano paradossali, ma in realtà rispondono a una logica ferrea. Quella dell'esclusione per poter includere al minor costo possibile. Quella del profitto spacciato per sicurezza. La stessa logica che porta a gridare "padroni a casa nostra" mentre si appoggiano operazioni di guerra in casa d'altri. 
Quelli che per ultimi in Europa si sono sbarazzati di un regime fascista e ne hanno ancora fresca memoria se ne sono accorti che l'Italia sta marcendo al passo dell'oca (no, non è un refuso, marciare è troppa fatica) e ce lo dicono in faccia. Gli spagnoli non ci vanno certo teneri con gli immigrati, men che meno con i clandestini, ma in Spagna non si respira l'aria pesante che asfissia il Paese Semplice, togliendoci l'ossigeno necessario a riconoscere le cose e chiamarle con il loro nome. Colpa dei miasmi della spazzatura, dei gas di scarico, dell'odore di benzina bruciata.
Per onorare le promesse elettorali si è appena istituito un Commissario straordinario ai rom. Le istituzioni si occuperanno degli zingari. Non di cittadini italiani o stranieri, ma di un'etnia. E' un bel salto di qualità, un passo in avanti nella storia a ritroso di questo paese e di questo continente. E possiamo stare certi che ci sarà sempre qualcuno disposto a discuterne... pacatamente, serenamente.


Uccidere un anarchico non è reato, come la povertà.



Il 7 Maggio è il giorno della ricorrenza dell'uccisione per mano della polizia di Serantini. Era il 1972.
Nessun presidente della repubblica accoglierà mai un suo parente perché Franco era solo e di parenti ho idea non ne avesse più.
A Torino c'è una strada che si chiamava via Pisa; dal 7 di maggio si chiama via Franco Serantini. Non c'è stata nessuna commemorazione e non c'erano corone di fiori. Solo un gruppo di compagni che che ha cancellato un  nome e ne ha vergato un altro al suo posto. Il suo.
Nella stessa strada c'è una casa disabitata da anni. E' proprietà di un ente pubblico o del comune, non ricordo. Qualcuno un giorno pensò che forse era giusto occuparla e metterci delle famiglie rom. Ripulire le stanze, attrezzare una cucina e fare uno spazio per i giochi dei bambini.
Una mattina presto le stanze si illuminarono di luci blu, intermittenti. Uomini grandi e grossi con elmi e scudi
 di plastica rimisero sulla strada donne, uomini, vecchi e bambini. Perché non avevano diritti su quel luogo.
Piccoli uomini, con niente, si battono contro una macchina mostruosa che si alimenta di fobie, terrore ed odio. Provano a spargere un seme diverso. Lo fanno senza violenza. Fino a quando? 

sabato 9 maggio 2009

Parlare agli operai



















Da un po' di tempo c'è in giro l'abitudine di stare a lì a fare le pulci alla "sinistra" perché non è in grado di parlare ,e quindi rappresentare, agli operai ed al "popolo" in generale.

Si dice e si scrive che si è perso il contato con la gente.

La questione è, dal mio punto di vista: ma che cazzo gli dobbiamo raccontare al popolo, agli operai. Quali contenuti dovremmo sviluppare?

Capisco l'esigenza di dare lezioni sempre, però dentro la lezione mettiamoci anche un po' di contenuti.

Proviamo a fare l'elenco delle questioni. Solo alcune.

1- Precarietà ed accesso al mondo del lavoro
Senza stare lì a fare tanti ghirigori tanto per andare al sodo, modelli Treu, Brunetta, Ichino o cosa?
2- Diritti civili, immigrazione etc.
Anche lì, modello Binetti, clericale ed anti Englaro o cosa? Ed in materia di immigrazione, modello bolognese alla Cofferati, leghista alla Maroni, democratico come il sindaco che permette di chiedere l'elemosina solo per 1 ora, oppure pragmatico alla Borghezio?
3- distribuzione del reddito, ricchezza.
Modello attuale o cosa?

Come potete leggere manca il nostro. Su questo non scriviamo nulla perché è noto. E' quello che permette di dire che non sappiamo parlare al popolo. sarà mica perché al popolo parlano solo gli altri e le cose dette stanno dentro l'elenco senza tanta differenza, in fondo?

Intanto leggetevi cosa aspetta la Fiat, poi ritornate all'esercizio e dite, ma agli operai che cazzo gli raccontiamo?

I  dati del primo trimestre 2009 confermano le difficoltà Fiat: vediamo alcuni dati significativi.

Voce bilancio primo trim. 2009

Valore in Milioni di €

Variazione

Ricavi  totali

di cui    auto

             veicoli industriali

             powertrain   

11.268

6.111

1.523

1.107

- 25,3    %

- 17,7     %

- 48,7    %

- 44,3    % 

Vendite  totali auto

di cui    auto

            Veicoli comm. leggeri

464.600

398.800

65.800

- 17,6    %

- 13,6    %

- 37,5    %

Vendite Powertrain  motori

                                    cambi

491.000

469.000

- 28,7    %

- 18,4    %

Perdite totali

          411

    + 838  ( prima erano 427 di utili)

Indebitamento

 di cui  attività industriali

                     18.776

                       6.575

+  822 (rispetto a dicembre 2008)

+ 626 (rispetto a dicembre 2008)

 

Dai dati si capisce che la situazione è sempre critica
Sui ricavi il settore auto è quello che perde meno
 (questo per effetto degli incentivi) mentre la situazione è peggiore per i veicoli industriali (-48,7%) e per Powertrain (-44,3%); lo stesso vale per le vendite.
Le perdite di esercizio, considerando il dato in utile del 2008 hanno avuto un aumento vertiginoso. L’unica consolazione è la Ferrari che fa 54 Milioni di utili. L’indebitamento continua a salire (+822 Milioni € in tre mesi), questo significa che i fornitori continuano a non essere pagati. 

La Fiat si disimpegna dall’Italia
Le vendite confermano la crescita della Panda che in Europa a marzo con 33.593 vetture  cresce del 62,2 %. In Italia nei primi tre mesi del 2009 le vendite di Panda e 500 (41.043 e 25.504) sono pari al 38,2 % delle vendite di Fiat. 
Questo significa due cose:
la Fiat si concentra sempre più sulle macchine piccole e  la produzione  si sposta sempre più all’estero dato che Panda e 500 si fanno in Polonia.
Assieme a questo la produzione della Punto che attualmente si fa a Mirafiori (sono 300 vetture al giorno, ovvero quasi la metà delle vetture prodotte a Mirafiori) a fine anno sarà spostata in Serbia. 
La Fiat si conferma cioè una azienda sempre meno Italiana.  
L’accordo con Chrysler accentuerà poi il disimpegno dall’Italia.  
Invece di esaltare Marchionne sarebbe bene che il Governo e i vari pennivendoli si “accorgano” di questo fatto che si traduce in tanta Cigo e pretendano di riportare un po’ di produzione in Italia.
I lavoratori Fiat sono sul lastrico
Stanno infatti pagando duramente con tanta Cigo lo spostamento delle produzioni all’estero, il blocco dei progetti (che ha comportato l’espulsione di quasi 1.000 lavoratori degli enti centrali) e la concentrazione sui segmenti bassi con l’abbandono dell’Alfa (che dopo Arese ha messo sul lastrico 5.000 lavoratori di Pomigliano).  Diventa perciò prioritario un intervento per sostenere il reddito dei lavoratori.
Ad Arese continua la Melina
Il progetto del motor village al CD continua ad essere bloccato. Ci fa specie però che, mentre a Mirafiori a giugno e luglio la Cigo negli enti centrali si farà a giornate (tutti i venerdì) e sono state definite tre settimane di ferie, ad Arese a fronte di una richiesta analoga fatta dalla Cub l’azienda non ha dato risposte. 
La Fiat non “giochi” solo all’estero, dia risposte concrete ai lavoratori in Italia.

27-4-2009   
FLM UNITI CUB ARESE