giovedì 25 giugno 2009

La sindrome giapponese

Intervista a Krugman
Fonte: the guardian

Will Hutton. Lei sostiene che quel che è accaduto in Giappone potrebbe ripetersi in Usa e Regno Unito o, forse, per l’intera economia mondiale. Ricordiamo che il pil giapponese, quest’anno, sarà pari a quello del 1992: 17 anni perduti, insomma.

Paul Krugman. Sì, non credo che il pericolo si sia allontanato troppo. Certo si è ridotto il pericolo di una Grande depressione. Ma nel primo anno la crisi è stata assai peggiore che negli anni Novanta in Giappone.

W.H. Ma qual è la ragione di tanto pessimismo? Uno potrebbe risponderle: caro Krugman, il Giappone è un caso a parte. È un’economia votata all’export con una moneta molto sopravvalutata. Soprattutto, la risposta dei politici è sempre stata in ritardo, cosa che non è avvenuta a Londra o negli Usa.

P.K. La realtà è che in Giappone si è fatto quel che si è soliti fare di fronte a una recessione: tagliare i tassi fino a quota zero, ma non è stato sufficiente a far ripartire l’economia. E da noi, anche se siamo stati più tempestivi nel taglio, non è stato comunque sufficiente. Questa è l’essenza del problema. Tutto il resto è secondario. Ci sono situazioni in cui la politica monetaria tradizionale perde efficacia. E noi sappiamo che ne stiamo attraversando una.

W.H. Ma un ottimista potrebbe obiettare che ci sono quei segnali di ripresa che lei si rifiuta di vedere. Le Borse hanno recuperato un buon 25%. Il mercato immobiliare sembra aver toccato i fondo, la fiducia delle imprese è in risalita.

P.K. Ci sono segnali di assestamento, piuttosto che di ripresa. Le Borse, pochi mesi fa, ipotizzavano l’Apocalisse. Ora il rischio sembra superato, e i mercati azionari ne hanno preso atto. Ma non ci stanno segnalando che l’economia viaggia verso la ripresa. Non vanno confrontati i prezzi attuali con tre mesi fa. Se li paragoniamo a quelli di due anni fa, abbiamo la misura dello stato attuale di depressione.

W.H. Ci sono i problemi dell’indebitamento degli Stati, ma anche quelli connessi alle disponibilità economiche dei consumatori.

P.K. La crisi immobiliare e la caduta delle azioni hanno senz’altro impoverito le famiglie. Ed è probabile che i consumatori, carichi di debiti, incontrino difficoltà a spendere. La realtà è che la teoria economica ha studiato gli effetti del deficit nei Paesi del Terzo Mondo. Ma non abbiamo mai preso in considerazione l’ipotesi che questo si potesse verificare nei Paesi forti.

W.H. C’è un rischio Argentina o Malaysia fine anni Novanta...

P.K. Nel momento peggiore abbiamo attraversato una fase di «giapponesizzazione» con un un pizzico di «argentinizzazione». Ora abbiamo superato quel rischio. Ma la «giapponesizzazione» rimane.

W.H. Qual è il cuore del problema Giappone, 17 anni dopo lo scoppio della crisi?

P.K. È molto difficile creare abbastanza domanda interna, e così riequilibrare i flussi della bilancia commerciale, in un Paese con una realtà demografica negativa.

W.H. Dunque, il problema della «giapponesizzazione» è un mix di squilibri commerciali uniti all’invecchiamento.

P.K. Sì, ma non vale per gli Stati Uniti. Semmai è il caso di Germania e Italia.

W.H. Confesso che la tesi della «giapponesizzazione» a livello globale non mi convince granché. Ma credo che la tesi valga per la Germania e, per questa via, cominci a contagiare l’intera economia mondiale.

P.K. Il mercato interno tedesco è del tutto inadeguato. Il benessere della Germania, nei primi sette anni del secolo, è stato legata solo a un gigantesco surplus della bilancia commerciale. Com’è possibile che la Germania, che non ha subito la bolla immobiliare, abbia patito la peggior discesa del pil tra le grandi economie? La risposta è che loro esportavano in Paesi dove maturava la Bolla. Scoppiata questa, la Germania ha perso i clienti. È Berlino il problema vero su scala globale.

W.H. In cima al dossier c’è poi una possibile, devastante, crisi bancaria. Il Fondo Monetario teme che la Germania abbia almeno 500 miliardi di sofferenze non emerse. Le banche tedesche hanno mille miliardi di dollari, se non di più, investiti in cdo che possono essere assorbiti solo congelando le perdite. Noi inglesi abbiamo avuto Rbs, voi Americani Citigroup. La Germania ha perduto sei punti di pil senza che la crisi bancaria abbia toccato il fondo.

P.K. Questo è il versante finanziario della crisi. Certo, noi partiamo dall’ipotesi che la crisi sia essenzialmente finanziaria. Ma non è detto che sia vero. È vero che Lehman è stato il campanello d’allarme. Ma il crollo dell’immobiliare era precedente. La caduta del business è in buona parte dovuta all’eccesso di capacità produttiva, a sua volta provocato dal calo dei consumi e del crollo dell’immobiliare. Ristabilire la fiducia nella finanza è una condizione necessaria. Ma non sufficiente.

W.H. È un quadro desolante...

P.K. Sì, ed è anche per questo che sono così depresso.

W.H. Lei sostiene che siamo al 12esimo mese di una depressione destinata a durare 36 mesi, sebbene in forma meno grave. È una prospettiva scioccante.

P.K. Nella recessione del 2001 ci sono voluti 30 mesi prima che ripartisse il mercato del lavoro.

W.H. È ancora convinto che la strategia migliore passi dagli stimoli della politica fiscale?

P.K. Sì, è lo strumento migliore per frenare la recessione. È opinione comune che gli investimenti giapponesi in infrastrutture siano stati inefficaci. Io penso, al contrario, che hanno evitato il collasso. Obama ha messo in cantiere uno stimolo di poco inferiore al 5% del pil ma, in realtà, si tratta di un 4% spalmato in due anni e mezzo. Basta? Sono convinto che presto arriverà una seconda manovra di stimolo.

W.H. E poi?

P.K. Sotto con le regole della finanza. Bisogna imbrigliare il mostro. L’eccessiva crescita della leva nel settore privato è quel che ci ha resi così vulnerabili.

W.H. Più fisco, meno finanza. Così cambia la via americana al capitalismo.

P.K. Non sono così cosmico. Ma è vero che Gordon Gekko è arrivato tra noi grazie alla finanziarizzazione. Io penso che abbiamo bisogno di un po’ di welfare in più e anche di un po’ di socialdemocrazia. E di sindacato.

W.H. Chiudiamo con Obama. Lei lo ha molto criticato in passato.

P.K. Sono sempre più soddisfatto. Chiedevo uno stimolo fiscale più forte, penso che lo farà. Chiedevo più aggressività verso le banche: vedremo se si dovrà riprender la battaglia. Ma la riforma della sanità è buona, come la battaglia sul clima. Io, che ero scettico, comincio a sperare nel New Deal. Obama ha una grande personalità. Ed è un tale sollievo avere finalmente alla Casa Bianca uno che merita il tuo rispetto.

mercoledì 24 giugno 2009

Correva l'anno scolastico 1975/1976


Correva l'anno scolastico 1975/1976. Eravamo messi così alla Tesoriera; in posa sorridenti e belli in attesa degli eventi che ci avrebbero proiettati definitivamente nel mondo degli adulti.
La VaB dell'ottavo liceo scientifico di Torino si preparava all'esame di maturità. Io sono il quarto partendo da sinistra nella fila di quelli seduti per terra.
Sono vicino ad Enrico e ad Andrea. Claudio è un po' più in sù.

Non ricordo bene le date (sono passati 34 anni) ma qualche settimana dopo fui espulso da scuola per le botte date ad un paio di fascistelli durante le ore di lezione.
Ricordo che li andai a prendere in classe, davanti ai professori esterrefatti, ed insieme ad altri compagni li sbattemmo fuori dai cancelli.
Il giorno prima erano venuti a cercarci con un po' di camerati. Uno di loro estrasse una pistola e ci minaccio'.
Gente tosta i fasci, si chiamavano "cucciolo" (pesava 120 kg ed era grande e grosso), willy (il più bastardo) ed insieme ad altri provavano a farci paura.
Già la paura, era una roba che ti costringeva a guardare se sotto casa qualche macchina con gente strana fosse lì in attesa. Valeva per noi e per loro. C'erano codici di comportamento e zone proibite, cose da usare in funzione del livello dello scontro e cose da non usare.

Il mio professore di ginnastica era Franco Arese, provo' a calmarci quella volta e cerco' di convincerci con tutti i mezzi di lasciar perdere e di non alimentare le tensioni.E chi lo sentiva.
Era così allora. La scuola fu occupata a seguito della mia espulsione (ed a quella di Renato), si fece autogestione; ci si scontrò con il preside, con i crumiri, con i fasci e con quelli che non ci sopportavano.
Furono giorni magnifici.
Il parco in cui ci scattarono la foto l'anno successivo lo occupammo; fondammo un circolo che si chiamò Zapata ed iniziammo un lavoro politico nel quartiere e tra i ragazzi che alla fine costrinse il comune a restaurare la "villa", a creare una struttura per anziani e ad aprire il sito alla gente della città.
Altri tempi; si dialogava con gente come Novelli.
Il 1976 è stato l'ultimo anno di Carosello, in quell'anno arrestarono Curcio, uscì il primo numero della Repubblica, l'OLP fu ammessa all'ONU, Ultimo tango a Parigi fu censurato, Mario salvi fu ucciso da un poliziotto ed Ulrike Meinhof suicidata in un carcere di massima sicurezza.

Un anno pieno di cose.

p.s.
in culo alla balena ai maturandi

martedì 23 giugno 2009

Scodinzolini


Ma è sempre lo stesso uomo? Si, la differenza la fanno gli anni trascorsi (15) tra l'ultima dichiarazione e quella del 1994, le esperienze fatte, e la voglia di stare lì a leccare il culo del potente di turno.
Il problema è che ad uno così, nel mio piccolo, io pago un pezzo del suo ricco stipendio. Il casino è che questo entra nelle case della gente e plasma la percezione che costoro hanno della realtà.
Ora, uno può benissimo cambiare opinione. Quello che insospettisce è il modo, il contesto in cui tutto questo accade ed il potere che esercita con le sue funzioni "pubbliche".
Quando lo incontrate, se mai vi capiterà, chiamatelo "Scodinzolini" lui capirà perché.




"Accade -ha detto Minzolini- che semplici ipotesi investigative e chiacchericci si trasformino in notizie da prima pagina nella realtà virtuale dei media o per strumentalizzazioni politiche o per interessi economici. E' avvenuto in passato, come ricorderete, quando si tentò di colpire il presidente del consiglio di allora strumentalizzando la foto che ritraeva un suo collaboratore in una situazione definita scabrosa. E' accaduto più volte -ha continuato - in queste settimane in cui è stata messa sotto i riflettori la vita privata del premier in nome di un improvviso moralismo: abbiamo visto addirittura celebri mangiapreti vestire i panni di novelli Savonarola".
"Queste strumentalizzazioni, questi processi mediatici, non hanno nulla a che vedere con l'informazione del servizio pubblico -assicura Minzolini- Nella settimana in cui gli Stati Uniti hanno scelto le nuove regole per proteggere il risparmio nel mondo, mentre esplodeva il caso Iran, e alla vigilia del G8, sarebbe stato incomprensibile privilegiare polemiche sul gossip nazionale solo per scimmiottare qualche quotidiano o rotocalco. Questa è la linea editoriale del Tg1 che vi ho promesso, cari telespettatori, fin dal primo giorno. E che continuerò a garantirvi".
Minzolini 2009
“Le smentite a ripetizione rivelano solo che abbiamo una classe politica nuova che non ha ancora assimilato il fatto che un politico è un uomo pubblico in ogni momento della sua giornata e che deve comportarsi e parlare come tale. […] Quattro anni fa, e cioè in tempi non sospetti, scrissi che la nomina di Giampaolo Sodano alla Rai nasceva dai salotti di Gbr, la televisione di Anja Pieroni. Oggi penso che se noi avessimo raccontato di più la vita privata dei leader politici forse non saremmo arrivati a tangentopoli, forse li avremmo costretti a cambiare oppure ad andarsene. Non è stato un buon servizio per il paese il nostro fair play: abbiamo semplicemente peccato di ipocrisia. Di Anja Pieroni sapevamo tutto da sempre e non era solo un personaggio della vita intima di Craxi. La distinzione fra pubblico e privato è manichea: ripeto, un politico deve sapere che ogni aspetto della sua vita è pubblico. Se non accetta questa regola rinunci a fare il politico”
Minzolini 1994

lunedì 22 giugno 2009

E se fosse solo un coglione?


C'è un po' di gente, in rete, che si spende per cercare di capire quali siano i poteri occulti che stanno riducendo il Berlusca ad una specie di zimbello ambulante.
La stessa domanda, forse, se la dovevano fare per Sircana quando fu fotografato nell'atto di chiedere "informazioni" (perché si era perso?) ad un trans su una strada di Roma.
O a Lapo che sveniva strafatto di fronte ad una attempato e molto professionale, oltre che famosissimo qui a Torino, "prostituto".
E se, semplicemente, non fossero altro che la rappresentazione di coglioni? Solo normalissimi coglioni, con in più l'aggravante del fatto che prima o poi, data la notorietà, qualcuno/a con la voglia di raccontare come tromba il Berlusca, o come rende con le calze a rete il Sircana, lo si trova.
Io credo che l'uomo, da un pezzo, rappresenta un bel problemino per il "potere" in senso lato.
Lo rappresenta per le intemperanze e per la fase irreversibile di morte cerebrale a cui, mestamente, è avviato.
Non è una gran cosa vederlo così abbarbicato al potere mentre intorno tutto brucia. Distratto dal "complotto" dei poteri forti.
Adesso la questione che si pone è il dopo; perché questo a me fa tristemente ridere ma gli altri, al contrario, mi fanno paura.

lunedì 15 giugno 2009

Autorevoli cazzate sulla crisi e sui respingimenti


Credo sia illuminante (si fa per dire) leggere commenti di questo tipo sulla crisi finanziaria:

Ma è bene aver presente (e con questo arriviamo al secondo punto) che questo "voler troppo" che ha portato alla crisi finanziaria non è stato solo dei finanzieri. O quantomeno bisogna ammettere, per onestà intellettuale, che non ne hanno beneficiato solamente loro. Ha voluto troppo anche il neodiplomato che si era comprato la Golf e non aveva idea di come pagare la maxirata finale. Ha voluto troppo la coppietta che "prendiamo questa casa che è tanto carina, tanto i tassi del muto sono bassi". Ha beneficiato, indirettamente, del voler troppo anche l'operaio che ha trovato lavoro per soddisfare l'"eccesso di domanda". Permettetemi una banalizzazione: se dal "voler troppo" avessero beneficiato solo i finanzieri, dalla crisi adesso perderebbero solamente loro.

Questo non vuol dire chiaramente, è colpa di tutti, e quindi colpa di nessuno. Il punto che si continua a far finta di non vedere è che il problema di fondo è che parlare di sostenibilità dell'economia vuol dire innanzi tutto parlare della sostenibilità degli stili di vita. Ma questo richiede uno sforzo a ciascuno di noi.
Fonte:http://www.banknoise.com/

Non sai se incazzarti o tirare avanti e far finta di niente quando leggi cose così "leggere". E' mirabolante quel passaggio in cui si scrive di "operai che beneficiano dell'eccesso di domanda e che così trovano lavoro".
Minchia che culo!
Altra cosa surreale è l'intervista che ha concesso la moglie, extracomunitaria con passaporto italiano, di Tronchetti Provera alla Stampa.
Oltre che tessere gli elogi del Berlusca per le scuse fatte a Gheddafi, ha sostenuto che lei è d'accordo con la politica dei respingimenti.
In fondo se partono dalla Libia sono cazzi della Libia. Quindi i gabbioni ed i lager è meglio che se li costruiscano loro, anche perché da noi c'è la crisi e cosa cazzo vuoi venire qui e dormire su una panchina alla stazione di Milano? E' meglio se stai lì.

Nel giro di due giorni mi sono fatto una scorpacciata di reportage sul Congo e sulla Nigeria. Nel primo stato si parla di una guerra che va avanti da anni e che, sembra, abbia causato una roba come 5 milioni di morti.
Ci raccontano i giornalisti che quella gente si scanna, stranamente, ogni qualvolta gli interessi di qualche multinazionale vengono messi in crisi.
In Nigeria, in compenso, sembra che di tutti quegli investimenti fatti per estrarre petrolio l'unica cosa che rimane, oltre alla povertà ed allo sfruttamento, è la devastazione del territorio e dell'ambiente.

Ora, io capisco che una sia abituata a sparare cazzate solo di fronte ad un piatto di spaghetti allo scoglio da Punny a Portofino, o in qualche salotto pieno di azzimati rampanti abbronzati ed amministratori delegati di qualche azienda rapinata a noialtri, ma fare almeno un pò di ginnastica mentale per evitare di dire castronerie? E poi, se lo fosse tenuta solo per sè.
Senza voler scomodare i sacri testi, ma secondo la signora uno che vive in mutande in Congo dove gli sparano se prova ad alzare la testa o dimora nelle verdi valli della Nigeria, dove devi farti 30 km per trovare acqua sporca e qualche fiume con qualche pesce superstite che puzza di petrolio, uno così secondo lei ha problemi a dormire su una panchina alla stazione di Milano?
E se è così preoccupata perché non li convince lei i suoi amici, a partire dal dott. Scaroni e finire a qualche amico del marito, a pagarla di più quella gente. A costruirgli ospedali, infrastrutture, scuole e case? A smetterla di rapinarli e scappare via per ritrovarsi, di sera, di fronte ad un piatto di linguine allo scoglio da 40€ a sparare minchiate?

domenica 14 giugno 2009

I fascisti sono già qui?

















Da :http://www.autistici.org/macerie/ la cronaca di una normale gestione "democratica" del dissenso nelle aule dei tribunali.

Post 1-
10 giugno. «Pronto? Padalone! Come stai? E lo so, lo so che gli hanno dato l’obbligo di firma. Non ti preoccupare che questo ora lo aggiusto io». Con queste affettuose parole un giudice del Tribunale di Torino si rivolgeva, al telefono, a un arcinoto Pm. E chissà quante altre volte battute come queste sono state scambiate in quel palazzo. Ma questa volta la conversazione avviene sotto gli occhi, esterrefatti, di un giovane avvocato che si trovava nell’ufficio del giudice per cercare il faldone del processo sui fatti di piazza Rebaudengo che, caso strano, vede tra gli imputati proprio un compagno che era appena stato scarcerato con obbligo quotidiano di firma. Alla richiesta dell’avvocato se, per caso, stesse parlando del processo di piazza Rebaudengo, il giudice si accorge di aver detto una gravissima stronzata e balbetta qualcosa su un processo di molestie sessuali su minori. Quando non si sa più cosa dire, ci si aggrappa alla pedofilia. La difesa presenta immediatamente un’istanza di ricusazione del giudice, motivata dal sospetto che il magistrato abbia espresso quell’inimicizia che ogni giudice coltiva in fondo al cuore nei confronti di un imputato. Dopo una settimana, il giudice in questione annuncia di volersi ritirare dal processo, per evitare che anche solo l’ombra della non-imparzialità si proiettasse sul suo curriculum. E ora, che ne sarà di questo maledetto processo sui fatti di piazza Rebaudengo? Tutto da rifare, per la terza volta. La prossima udienza sarà venerdì 10 luglio 2009, a quasi un anno e mezzo di distanza dai fatti.E il nervosismo di Padalone aumenta. […]

Post 2-

Già da qualche settimana stiamo andando in giro a raccontare che il signor Questore di Torino ha chiesto al Tribunale di applicare nei confronti di due redattori di //Macerie e storie di Torino// la misura della “sorveglianza speciale”. Il braccio armato locale del ministero degli Interni vorrebbe, insomma, che per quattro anni i due non possano uscire dalla città, che rimangano tappati a casa la sera, che non partecipino a pubblici assembramenti e che diano conto, complessivamente, di una condotta trasparente e irreprensibile. Il tutto perché li si accusa di essere sfrenatamente sovversivi e soprattutto “privi di ogni scrupolo morale”. Il tribunale dovrà dire la sua in ottobre, e quindi avremo tutto il tempo per riparlarne: di questa misura, della sfrenatezza e pure degli scrupoli morali. Per ora vi basti sapere che i due non sono affatto intimiditi.

Qua sotto vi appiccichiamo, a questo proposito, una intervista ad un compagno di Milano che proprio lunedì prossimo, 15 giugno, avrà un appuntamento in Tribunale per identiche ragioni. Ascoltatela. Anche là non sono per nulla intimiditi, e sanno benissimo come bisogna saper reagire.

Ascolta l’intervista, copiata e incollata affettuosamente dal sito di Radiocane:

Leggi anche:

Sorvegliateci i Maroni

Colpitene uno noi ci scateniamo in cento

 

venerdì 12 giugno 2009

Non votate il referendum che sarebbe piaciuto a Benito Mussolini


Non la farò lunga sulla questione, mi limito solo ad osservare che se uno ha intenzione di rimettere mano ad una riforma, che è stata definita una porcata, non lo fa mettendo in piedi un referendum che sancisce definitivamente la morte della politica e spinge verso un sistema che di democratico non ha nulla. Che come unico obiettivo ha la negazione di quel minimo di rappresentanza a chi, in parlamento, rappresenta istanze che stanno fuori dal gioco degli schieramenti.
Ma voi che contestate il cesarismo di Berlusconi vi sentireste al sicuro in un sistema che consente di avere la maggioranza per poter fare quello che si vuole pur rappresentando, in realtà, 20 italiani su 100?
Se avete voglia di rinfrescarvi la memoria date un'occhiata a quello che combinò l'onorevole Acerbo. Correva l'anno 1923.

Fonte:MSN encarta
"Legge Acerbo Legge di riforma elettorale emanata il 18 novembre 1923. Elaborata da Giacomo Acerbo, deputato fascista e sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo presieduto da Benito Mussolini, la riforma era intesa a favorire il Partito nazionale fascista. In base a essa, infatti, alla lista che avesse ottenuto anche una lieve maggioranza (con almeno il 25% dei voti), sarebbero spettati i due terzi dei seggi alla Camera; i seggi rimanenti sarebbero stati ripartiti proporzionalmente fra le altre liste. La legge Acerbo trovò immediato riscontro nel 1924, quando il PNF, ricorrendo all’intimidazione e alla violenza, riuscì a vincere le elezioni."

"L'avvento del fascismo di ieri
La realizzazione del regime fascista avvenne, grazie alle suddette capitolazioni, gradualmente, attraverso una serie di tappe successive. Dal punto si vista elettorale, la tappa decisiva fu appunto la legge Acerbo che attraverso il controllo assoluto del parlamento, permise a Mussolini, in maniera formalmente "legale" e utilizzando, proprio come vuole fare il suo epigono Berlusconi, una procedura di revisione costituzionale, di assicurarsi tutto il potere esecutivo attraverso una serie di leggi. 
Tra queste vanno ricordate la legge del 1925 per la riforma dello Stato; quella del novembre del 1926 per la soppressione dei partiti politici e l'istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato; la trasformazione del Gran consiglio del fascismo in organo dello Stato nel 1928, per poi arrivare alla definitiva soppressione della camera dei deputati e l'istituzione in sua vece della camera dei Fasci e delle Corporazioni i cui componenti erano designati per legge tra i gerarchi del partito fascista e delle corporazioni.
Alle elezioni del 1921 i fascisti raccattarono 2 seggi, in proporzione lo 0,4%; alle elezioni successive, quelle del 1924, ottennero invece 374 seggi, il 69,9%. Questo sbalorditivo incremento fu l'amara conseguenza del clima di terrore e di intimidazione fasciste in cui si svolsero le elezioni del 1924, ma anche della legge elettorale che era stata approvata dal parlamento il 18 novembre 1923, n. 2444. Tale legge è conosciuta come legge Acerbo dal nome del sottosegretario alla presidenza del consiglio che la redasse su indicazione di Mussolini, cioè Giacomo Acerbo.
La legge Acerbo era imperniata su un meccanismo tanto semplice quanto antidemocratico e truffaldino, cioè l'assegnazione della maggioranza assoluta dei seggi al partito che otteneva la maggioranza relativa dei voti. In tal modo si stravolgeva e falsificava l'effettivo peso elettorale dei partiti, attribuendo a quello più forte elettoralmente la maggioranza assoluta dei seggi e quindi il predominio parlamentare e governativo. La legge Acerbo stabiliva che fossero assegnati ben due terzi del numero totale dei deputati al partito che avesse ottenuto il maggior numero di voti, comunque non meno del 25% dei voti validi. L'altro terzo dei deputati veniva ripartito tra le liste minoritarie in base alla percentuale dei voti ottenuti da ciascuna di esse. Era inoltre costituito un unico collegio nazionale, suddiviso in circoscrizioni elettorali regionali, che abbracciava l'intero territorio dello Stato. Era del tutto evidente che la legge Acerbo avrebbe permesso, come infatti avvenne, a Mussolini e ai fascisti di impadronirsi del parlamento e quindi di compiere un altro passo decisivo per la piena realizzazione del regime fascista.
Eppure vi fu un'infame capitolazione da parte degli altri partiti, in particolare dei popolari, i riformisti e i liberali. Del resto, allorché il re affidò a Mussolini la guida del governo - dopo le dimissioni del governo Fatta -, governo costituitosi il 31 ottobre 1922, accettarono di farne parte oltre ai fascisti e ai nazionalisti anche i liberali di destra e di sinistra, i democratici-sociali e i popolari, a dimostrazione che intorno al fascismo si erano già coagulate tutte le principali frazioni della borghesia. La capitolazione nei confronti della legge Acerbo non fu comunque immediata. Anzi, quando Mussolini la propose, non solo i socialisti e il PCI si opposero, ma anche i popolari. Mussolini allora, nel tentativo di aggirare l'ostacolo, propose che la legge Acerbo fosse discussa da una apposita commissione parlamentare composta da 18 rappresentanti di tutti i partiti. Accettare di far parte di quella commissione era già una capitolazione, significava accettare il terreno imposto da Mussolini, eppure nessuno si tirò indietro.

L'opposizione parlamentare capitolò
Ne fecero parte Giolitti, presidente; Orlando e Salandra, vicepresidenti; Falciani (democratico); Fera e Casertano (democratici sociali); Grassi (demoliberale); Paolucci e Terzaghi (fascisti); Orano (gruppo misto); Chiesa (repubblicano); Lanza di Scalea (partito agrario); De Gasperi e Micheli (popolari); le tre formazioni dei socialisti, con Turati (socialista unitario), Bonomi (riformista), Lazzari (massimalista) e persino il PCI con Graziadei.
I popolari proseguono la loro capitolazione con il loro leader De Gasperi, che prima afferma che il "no" dei popolari alla legge Acerbo non è pregiudiziale e poi, in commissione, avanza la proposta del suo partito: sì alla legge Acerbo purché il minimo di voti necessari per farla scattare sia portato da 25% a 40%.
Tale proposta sarà fatta propria anche dai socialisti e dal PCI, che insieme ai popolari l'avanzarono ufficiamente nella relazione di minoranza della commissione. Sarà ripetuta in parlamento dal popolare Gronchi nel dibattito sulla legge Acerbo che si apre alla Camera il 10 luglio 1923. Il 15 luglio interviene nel dibattito parlamentare Mussolini che, in un discorso nel quale alterna minacce a menzogne, irride la "proposta" di popolari, socialisti e PCI affermando: "I piccoli mercanti dei due quinti, dei tre quarti, o di qualche altra frazione di questa abbastanza complicata aritmetica elettorale, non mi interessano e non mi riguardano". Al termine dell'intervento di Mussolini i fascisti chiedono il voto. Iniziano nel frattempo le defezioni, con deputati che dal "no" alla legge Acerbo passano al sì, come Falciani (democratico), o come il socialista riformista Bonomi che dal "no" passa all'astensione. Mussolini pone allora il voto di fiducia al governo sia sulla decisione di passare alla discussione della legge che sulla legge stessa. I popolari, decidono di astenersi e con ciò danno il via libera a Mussolini. Alcuni deputati popolari, come Vassallo, dichiarano addirittura che voteranno a favore della legge. L'infausta marcia della legge Acerbo non incontrerà più ostacoli e verrà approvata definitivamente dalla Camera il 21 luglio 1923 con 223 voti contro 123, dal Senato il 13 novembre dello stesso anno con 165 voti contro 41 e trasformata in legge il 18 novembre, n. 2444.
I capitolazionisti tentarono di giustificare il loro infame comportamento sostenendo di aver voluto evitare la "guerra civile" che Mussolini avrebbe scatenato nel Paese se la legge Acerbo non fosse passata. Cosicché, anziché combattere, preferirono capitolare senza colpo ferire, macchiandosi di un indelebile crimine storico.
I nefasti effetti della legge Acerbo non mancarono di farsi sentire nelle elezioni del 6 aprile 1924. Mussolini presentò un "listone" governativo con dentro noti esponenti liberali come Orlando e Salandra, ex popolari e numerosi industriali fra cui lo stesso presidente della Confindustria, Benni. Questo blocco elettorale ricevette il sostegno di tutti i centri decisivi della vita italiana: dall'esercito ai giornali della borghesia, dal Vaticano alla Casa Savoia. Del "listone" furono eletti 356 membri, dei quali due terzi esponenti fascisti e un terzo fiancheggiatori. A questi vanno aggiunti gli eletti delle "liste bis" che i fascisti avevano creato per disturbare le opposizioni. In tutto il 56,54% dei voti. Scattò allora il "premio" previsto dalla legge Acerbo e i fascisti ottennero il 69,9% dei seggi, dunque il totale controllo del parlamento in attesa di sopprimerlo totalmente nel 1938."
Fonte: PCM

giovedì 11 giugno 2009

Se fai domande a quelli del PD ti menano



Possiamo discutere fino alla noia su quelle che dovrebbero essere delle "brillanti" strategie per impedire che la marea nera sommerga tutto.
Le anime belle della sinistra riformista (sinistra?), di quella che strilla alla Di Pietro o che cerca di spalare le macerie contribuendo a farne di più aprendo nuovi cantieri (tanto per essere ecologisti) ci fornisce ogni giorno la prova che la traversata nel deserto sarà lunga.

Solo quando le nostre e le loro ossa saranno calcinate dal sole e le minchiate scritte preda di insetti onnivori, solo allora cancellate le tracce residue che lasceremo altri riprenderanno la strada.

Se date un'occhiata al video che precede questo post avrete l'impressione di essere in uno di quei contesti in cui se fai una domanda che non piace non ti sparano solo perché dovrebbero poi giustificare il tuo cervello spiaccicato sul muro a qualche milite dell'arma.
La sensazione è quella di una cricca di camorristi che si parla addosso. Solo sensazione però.
Bene, siete nella civilissima Italia e siete dentro una sezione del PD.
Guardate e ditemi.

Veniamo ad altro, in questo paese il poco che c'è si regge solo perché c'è ancora qualcosa da scambiare. dove questo inizia a mancare sono cazzi acidi sia per chi governa che per chi lo vorrebbe.
Mio padre abita a Sulmona in provincia dell'Aquila. Zona sismica e toccata in alcuni quartieri dal terremoto che ha fatto danni. Prima delle elezioni qualcuno ha fatto trapelare l'idea che c'erano soldi per riparare le case. Il PDL, guardaunpòchesuccede, prende quasi il 49% dei voti alle Europee. 
Sennonché, giusto per non condizionare il libero voto, non avvisano quei cittadini, proprio nel periodo in cui si sarebbero dovuti esprimere, che di soldi non c'è neanche l'ombra. Il Berlusconi in persona con un tratto di penna ha cancellato promesse, lazzi e coriandoli.
Ci dicono che vogliono menare il sindaco che, per solidarietà con i fregati, ha abbandonato il suo partito. Intanto la gente incazzata manifesta.

In Sicilia penso proprio che il meccanismo che ha prodotto l'astensione sia più o meno lo stesso. Lì c'è uno (Lombardo) che ha dato un calcio nel culo ad un pò di gente del PDL perché i soldi per pagare gli stipendi (spacciati per investimenti) di una pletora di questuanti non arrivano.
Ora, io ho solidarietà umana per tutti i lavoratori meno che per quella gente che poltrisce nel proprio misero privilegio e gestisce gli spiccioli di una rendita, contenta di aver buttato la coscienza nella monnezza.

In tutto questo arriviamo al Nord e nella mia magnifica città, Torino.
La presidentessa Bresso (PD)si è cagata nelle mutandine perché ha visto che Saitta (PD) forse rischia di rimanere senza provincia a vantaggio dei nazifasci del PDLLEGA.
Che cosa si inventa la nostra? Rifacciamo le alleanze e coinvolgiamo l'UDC (si proprio quella di Cuffaro).
In questo i trinarirciuti rifondaroli e comunisti italiani mandano flebili segnali di opposizione al progetto, quelli di SeL dopo un discorso di tre ore e mezza, fumoso e senza sostanza che hanno capito solo loro,dicono nella sostanza di si ed il suo partito sbava dall'entusiasmo. Cazzo, vuoi mettere una giunta con Vietti dentro?
Se uno fa quattro conti sulla base degli ultimi risultati si chiede se la signora scoreggia con il cervello o se, al contrario, lo stress da prestazione le offusca le meningi.
I destri hanno beccato in regione il 48,1 % dei voti (arrivano dal 40,3%). 
Gli attuali alleati compresi i sinistri litiganti e separati il 39% (arrivano dal 50,9%).
L'UDC ha beccato il 6,1 (arriva dal 4,6%).
Ora, se imbarcano l'UDC e perdono rifondazione possono contare su circa il 42% dei consensi potenziali.
In tutto questo l'astensione è cresciuta del 6%, la disoccupazione aumentata e non si vede nulla di sereno all'orizzonte.
Ci si chiede: ma tu con questa brillante strategia pensi di vincere alle prossime regionali? E' solo una questione di addizione o di contenuti, comportamenti,programmi e fatti? 
Perché, ad esempio, hai messo alla sanità un assessore di Rifondazione mantenendo il controllo sulla gestione economica (che vuol dire gestione delle cooperative e del relativo business) dell'assessorato? Una specie di ministro senza portafoglio(idioti loro ad accettare). Credi che la gente sia cretina e non percepisca quali sono gli interessi che guardi con attenzione?
Ora, e l'alleanza con il partito di Cuffaro non ti pone nessun problema? Mah! 
  


mercoledì 10 giugno 2009

L'analisi del voto, il resto sono seghe mentali


Confesso che sono combattuto tra una esposizione seriosa ed analitica dei dati elettorali ed una modello TarroTamarro, una di quelle che fa poco fine e non impegna. Fatta grattandosi le palle sudate dopo una giornata faticosa alla ricerca di un lavoro,stravaccato ansimante ed incazzato nero sul divano di fronte al televisore, con la finestra aperta ed i rumori metallici di questa cazzo di città che ti perforano i timpani e non ti fanno dormire. Quest'ultima sintesi perfetta della lotta quotidiana tra la razionalità superstite e gli umori viscerali da macellaio e probabile Killer di impiegatucci inconsapevoli.Insomma da uomo del popolo come sono, uno di quelli che in tempi andati tanto faceva arrapare le compagne in trasferta dalla collina torinese qui nei bassifondi della periferia industriale, brutta e polverosa.

Iniziamo da una considerazione ovvia ma che in tanti fanno finta di non vedere o nascondono dietro a sofisticate ed ardite elaborazioni dialettiche.
I nazifascisti della Lega hanno vinto, il nano anche lui, il Pd è contento dell'agonia e sorride come un imbecille lobotomizzato e noi abbiamo preso una tranvata. Il fronte degli incazzati, per intenderci quelli che o non votano o la restituiscono con frizzi e lazzi, rappresenta il 40% degli elettori.
Ho ancora negli occhi l'immagine di Franceschini che, contento di aver perso QUATTROMILIONIDIVOTI in soli DODICI MESI DI DURA OPPOSIZIONE mostrava contento e con il ditino alzato l'articolo delle famose dichiarazioni del nano sull'asticella al 45%.
In sintesi, un coglione che rideva del fatto che l'avversario pensava di correre i 100 metri in sei secondi netti e si era fermato solo al record europeo, mentre lui viaggiava alla velocità di mia suocera quando è in forma.
Con l'altra perla sul fatto che i nazifasci sono in minoranza nel mitico paese del bengodi mentre L'OPPOSIZIONE (con dentro anche i fascisti ultrà di forza nuova suppongo) sono la maggioranza.
Detto così in modo sbrigativo toglie dal tavolo tutta una serie di questioni troppo sofisticate, per me, su cui non ho voglia di perdere del tempo.

Se poi vogliamo entrare nel "sociologico" e sul territorio non rimane che constatare amaramente che la sinistraradicaleistituzionale è ridotta alla Puglia ed alla Calabria (con tutto il rispetto) ed alla rappresentanza di professori, maestri elementari, impiegati e qualche operaio pensionato.
Del PD rimane qualche regione ROSA, anzi qualche provincia, un po' di classe dirigente "illuminata" e consapevole, mite e moderata e qualche avvocato amico mio.

Per il resto niente.
Qualche settimana fa sono stato davanti alla mitica porta 2 di Mirafiori. Ci siete mai stati? Vi consiglio un giro da quelle parti se avete intenzione di suicidarvi nei prossimi giorni. O se volete fare un bel bagno nell'umiltà.
Bene, ho visto gente incazzata e delusa. Rancorosa contro tutto ciò che aveva il simbolo della falce e martello o poteva ricordargli solo lontanamente l'esperienza dell'ultimo governo Prodi.
Quella stessa gente che, appena insediato quel governo, accolse con un applauso i sindacalisti della FIOM alla prima assemblea salvo buttargli i bulloni addosso alla seconda.
Provate a parlargli a quella gente. Io lo faccio e lo farò perché penso che adesso viene il bello della semina, ma lo farò mettendomi al loro livello, parlando in modo sguaiato e mandandoli a fanculo se è il caso su un po' di storie. Ma stando lì, vicino a loro.

Eviterò di sfasciargli la macchina quando manifesto o di buttare per terra la spazzatura o rovesciargli i cassonetti, sono già incazzati di loro e vivono nella merda. Perché aumentargli il disagio. Magari vale la pena trasferirsi in centro, alla Crocetta o in collina per quelle cose (chi ha orecchie per intendere intenda).

Veniamo a noi ed alle prospettive.
1- lasciate stare la storia delle alleanze. Quelli hanno un cantiere aperto che chiuderà a breve, appena il pugliese avrà sistemato qualche affaruccio suo e Sansonetti avrà trovato un nuovo lavoro.
2- ricordatevi di rappresentare quelli che non hanno voce e che non votano. Sono loro il "target" di lungo periodo e sono più di seimilioni in Italia. E non scordatevi quel bacino di VENTIMILIONI di persone incazzate. A chi le lasciamo? A Vendola, Di Pietro, Rutelli? Difficile, più probabile che vadano da Borghezio se qualcuno non si occupa di loro.
3- costruite luoghi che aggreghino e non separino. Fate parlare insieme questi e quelli. Dopo i primi 10 minuti di insulti la gente dialoga. Ma ha bisogno dello sfogatoio. Sono semplici tecniche di comunicazione che insegnano anche agli assicuratori alle prime armi.
4- non ponetevi il problema assillante della presenza istituzionale, limitatevi a circoscrizioni e comune. Sono i luoghi più visibili e più vicini alle persone.
5- abbiate il coraggio della radicalità, ricordate che le più importanti conquiste da noi si sono conquistate perché quello che era un partito di culidipietra (il PCI) aveva alle spalle un razzo acceso e potente che nasceva dai "movimenti".
6- ricordatevi che oggi un piccolo bottegaio, un venditore ambulante, un padroncino è una scheggia impazzita fuoriuscita da luoghi di lavoro come la fabbrica, con una incazzatura addosso non elaborata che lo spinge proprio contro quelli che volevano tutelare i suoi interessi. Sono nuovi proletari che hanno il problema di arrivare alla fine del mese e se fate l'impiegato del catasto con l'orario corto, parlate di massimi sistemi, della decrescita (mentre loro campano con 700€ o arrivano dalla cassa integrazione) e della necessità di alimentarvi vegano e con le carote biologiche a 4€ al kg vi guardano con il fumo negli occhi e vi menano.
7- lasciate stare la lucciola Di Pietro. E' un fascista, un ex sbirro diventato magistrato che fa di principi nobili (i valori e l'onestà) una cortina fumogena dietro alla quale nasconde il nulla della sua proposta politica. E ricordatevi che siederà tra i liberali al parlamnto europeo. E voi con i lberali, scusate, ma che ci AZZECCATE?

lunedì 8 giugno 2009

Lui si è astenuto perché troppo impegnato a fare altro


In attesa di fare le consuete considerazioni post elettorali e commentare i commenti (mitico Franceschini che dice che Berlusconi è in minoranza) vi lascio la traccia di uno che sicuramente non è andato a votare perché, in questa città, è impegnato a fare altro. Anche su questo rifletteremo e sapremo dire (?).

Fonte:http://www.autistici.org/macerie

Abbiamo letto qua e là su internet un testo bello, che parla chiaro, senza fronzoli ideologici, riguardo ad alcuni avvenimenti dell’ultima settimana di maggio. Ve lo riproponiamo con piacere

Razzismo. Martedi mattina ero indeciso su cosa fare durante la giornata. Ancora assonnato scendo al bar sotto casa per prendere il caffè e leggere il giornale, e tra me e me penso di dedicare un po’ di tempo all’università e un po’ all’allenamento, alla mia vita insomma. Ma fingere di non vedere il mondo che ci circonda è oramai sempre più difficile. “Dovete essere puliti per entrare qui! Ma perché non andate lontano, in un altro bar?”, dice un italiano a uno zingaro: “Il parco non è vostro, ve ne dovete andare! Uno di questi giorni vi brucio tutti col lanciafiamme!” Nella mia testa scorrono come un lampo i più drammatici fatti di cronaca degli ultimi tempi, rispondo al razzista per le rime, ed offro la mia amicizia ai nomadi che si sono accampati lì vicino. Dentro di me penso che di queste cose ne ho veramente le palle piene, che minacciare di dare fuoco a qualcuno non deve essere una normale chiacchiera da bar: anche oggi troverò il modo di manifestare contro i responsabili di questa situazione, i dispensatori di odio e paura che stanno al governo, che con le loro politiche xenofobe e securitarie stanno eliminando anche le ultime parvenze di libertà che questa civiltà morente sapeva ancora offrire.

Leghisti. Alcuni compagni decidono di restituire al ministro dell’interno Maroni una microspia che era stata nascosta in un luogo dove siamo soliti incontrarci. Scegliamo l’ufficio della Lega Nord in piazza Saluzzo, che tutti i giorni apre la sua saracinesca per dividere gli immigrati in regolari e clandestini, buoni e cattivi, nel cuore del quartiere multietnico di San Salvario. Alla consegna lanciamo anche diversi volantini: “Sorvegliateci i Maroni!” e ripetiamo i soliti slogan. Poi ce ne andiamo, con troppa calma, troppa tranquillità. Nessuno immagina che di questi tempi si possa finire in carcere per un volantinaggio. Ora dopo ora, un semplice controllo di polizia diventa un fermo, una perquisizione in caserma, foto segnaletiche in questura, e infine l’arresto per quattro di noi. Il potere d’altra parte non può accettare che si vada a sfidare i padroni a casa loro. Per fortuna, ci risolleva la reazione del primo prigioniero a cui raccontiamo i fatti per cui siamo stati arrestati: “Cercate volontari?”

Carcere. E’ la prima volta che finisco dentro, i racconti e le descrizioni mi fanno sentire preparato, ma esserci è un’altra cosa. C’è sovraffollamento e dentro l’aria è piena di tensione. In cella siamo in dodici, non ci sono coperte per tutti, molti non riescono a dormire e ci accasciamo dove si può usando il pane duro come cuscino. Quando vogliamo andare all’aria ci lasciano in cella, quando vogliamo tornare in cella ci lasciano all’aria. Il cibo fa schifo e molto viene buttato via, l’acqua è calda, solo grazie alle premure dei detenuti che servono il cibo riesco a mangiare vegano. Le guardie passano un sacco di tempo a non fare nulla in ufficio, a chiacchierare, a fumare sigarette, e convincerli anche solo a farci andare al bagno è un’impresa, perché si arrabbiano facilmente e se non parli italiano comprensibile è peggio. Alcuni secondini sono più disponibili di altri, e quando riusciamo a parlarci ci dicono che anche loro dentro vogliono fare casino, preparano uno sciopero, anche se non fanno che ripetere che non servirà a niente. Altri invece sono proprio bastardi, amano comandare, urlano sempre, si sentono come piccoli tiranni nel loro regno di sbarre e di cemento.

Documenti. La maggior parte dei reclusi nella nostra cella ai Nuovi Giunti è costituita da stranieri fermati per la strada senza i documenti in regola. Ci sono alcuni marocchini frequentatori di Porta Palazzo che ci riconoscono e solidarizzano con noi, ci hanno visti alla “grande manifestazione” di sabato tra le bancarelle del mercato e ci incoraggiano a continuare con le manifestazioni antirazziste appena saremo fuori. Un italiano è dentro per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, accusato di aver organizzato il matrimonio della figlia con un marocchino senza documenti. Un filippino faceva il badante in una casa italiana, aveva il passaporto, il contratto di lavoro, la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, ma non il permesso di soggiorno: è uscito di casa ed è stato fermato dalla polizia, che lo ha portato alle Vallette. Da quando il governo ha deciso per la linea dura contro i clandestini, siamo arrivati al punto che perfino le guardie si lamentano dei troppi arresti.

Solidarietà. La sola cosa che non ci manca dentro è la solidarietà, il mutuo appoggio tra reclusi. Fortunatamente siamo in tanti, ognuno ha la sua storia da raccontare, un paese d’origine diverso da descrivere, e parliamo di razzismo, di religione, di carcere e polizia. Qualcuno dentro ci aiuta facendoci avere una penna e della carta per scrivere, un po’ di tabacco, una pagina di giornale. Condividiamo tra noi le poche cose, ci ripromettiamo aiuto in caso di scarcerazione, gli abbracci fraterni e gli sguardi di complicità sono quelle piccole cose che ci danno forza e ci permettono di affrontare tutto a testa alta. Mercoledi incominciano ad arrivare i telegrammi di tutti i compagni, che ringrazio, e la sera ci addormentiamo con i fuochi d’artificio, che non vediamo ma sentiamo fortissimi, e le grida di libertà dei solidali accorsi sotto le mura. Le vibrazioni causate dai botti scuotono tutto il carcere, per un attimo abbiamo la sensazione che stia per crollare, forse un giorno questi luoghi crolleranno davvero.

Violenza. Ci accusano di “violenza privata” e vorrebbero farci passare come dei vigliacchi che si avventano in gruppo contro due poveri vecchietti intenti a prestare il loro lavoro per il quartiere. Se queste persone hanno avuto paura, bisogna proprio dirlo, è un problema loro, e ci dovevano pensare prima di schierarsi in prima fila in una guerra scatenata dall’alto delle loro sedi di partito. Loro hanno poliziotti armati ai loro ordini, le leggi dalla loro parte, giornali e televisioni ripetono all’infinito la loro propaganda di merda. Questa guerra fa paura tutti i giorni a un sacco di immigrati costretti a vivere con la testa bassa, questa guerra sequestra persone, divide famiglie, segrega minoranze, controlla e sorveglia, deporta ed uccide. Non ci vengano a raccontare che adesso i violenti siamo noi, perché assumendocene i rischi osiamo portare un messaggio diverso al ministero della paura. Non fermeranno le nostre idee e i nostri sentimenti, noi a differenza di loro non siamo padroni di nulla, siamo a casa ovunque, e non abbiamo niente da perdere. In un mondo violento come questo la resistenza è la violenza minore e senza dubbio quella più di tutte giustificabile.

Dialogo. Succede alle Vallette che quando chiamiamo la guardia per farci andare tutti al bagno la sera prima di dormire, questa lascia uscire me e Cesco e poi si mette di mezzo, bloccando l’uscita agli altri dieci nostri compagni di cella, e chiude bruscamente a chiave. Dopo averci fatto andare a pisciare la guardia ci prende in parte e ci dice: “E così voi siete gli anarchici, eh? Io sono leghista.” Dice che siamo violenti, che ce la prendiamo con gli indifesi, e anche che siamo degli ingenui perché ci lasciamo strumentalizzare. Ci racconta quindi la sua storia di rassegnato, anche lui un tempo frequentava i movimenti, ma alla fine ha capito che tutto è inutile e che bisogna pensare solo a se stessi. Così adesso fa il secondino, vota Lega Nord e lascia andare al bagno solo chi decide lui. Quando proviamo a protestare per convincerlo ad ascoltare anche tutti gli altri ci risponde così: “Ecco, è arrivato l’avvocato delle cause perse..” e chiude nuovamente la cella. Alla fine se ne va seccato, perché avrebbe voluto confrontarsi democraticamente con noi sulla Prima Guerra Mondiale, sugli anarchici e Pinelli, ma gli abbiamo risposto che non ci interessa il dialogo con quelli come lui.

Resistenza. Quando giovedì otteniamo la scarcerazione, abbiamo finalmente modo di capire cosa è successo in questi ultimi giorni, a Torino e nel resto della penisola. Un po’ preso dall’euforia della liberazione passo una bella serata con amici e compagni, e mi lancio in molte accese discussioni. Come al solito, quando le lotte crescono le tensioni si ripercuotono anche all’interno del movimento, sorgono polemiche e rancori reciproci, a volte anche molto spiacevoli, ma non è a questo genere di questioni che voglio rispondere. Chi va in cerca degli errori e delle colpe altrui oggi non fa che portare la guerra tra poveri anche tra noi che continuiamo disperatamente a resistere contro questo ordine sociale. La guerra purtroppo c’è davvero, e non l’abbiamo scelta noi. Non è in un lontano paese dell’Africa o del Medio Oriente, ma è nelle nostre strade, nei nostri quartieri, entra nelle nostre case, ci porta via gli amici. Che ci piaccia o no, ne saremo sempre più coinvolti. L’urgenza di fare uno sforzo in più, ciascuno con le forme che gli sono proprie, è per questo sempre più impellente: bisogna resistere, organizzarsi per difendersi, organizzarsi per costruire relazioni sociali diverse. Qualcuno penserà che è un suicidio inutile, che i tanti piccoli attacchi che si sono verificati in questi giorni contro questa classe dirigente di merda non servono a cambiare le cose. La pensava così anche un secondino leghista. Io, al contrario, sono molto felice di vedere che in maniera diversa e diffusa sempre più individui insorgono, rompono le palle, si mettono in mezzo, urlano la loro rabbia. Ci sono dei giusti sentimenti anche dietro alle azioni apparentemente più deboli e maldestre: facciamoli crescere, lasciamoli uscire.

domenica 7 giugno 2009

Vendere il pane ad 1€ al KG

Partiamo da qualcosa di simbolico. Distribuire e vendere il pane ad 1€ al Kg. Quello che vi propongo è l'esperienza fatta dai compagni di Rifondazione e del partito sociale (che è una loro diramazione) che su questo hanno iniziato un lavoro che inizia a dare i suoi frutti.
Non nego che ho qualche perplessità su qualche aspetto di natura "economica/gestionale", ma andiamo al sodo. Il punto è partire tessendo una tela che da un filo (il pane ed il suo prezzo di vendita) sia spunto di aggregazione delle persone e loro coinvolgimento su una questione da cui si parte, poi, per fare politica, militanza, consenso e conflitto.

Io ho iniziato a farmi coinvolgere in questa iniziativa ed ho l'obiettivo, qui a Torino, di allargarne un pò gli orizzonti. In soldoni creare una struttura di "botteghe popolari" stanziali ed accessibili in giorni specifici ed orari in linea con le esigenze di mobilità di chi lavora, in cui siano organizzati degli spazi di vendita con prodotti di base (pasta, pane,ortaggi) prodotti da produttori locali (piccole aziende) o cooperative. Il punto critico di questa esperienza, e di un progetto simile, è assicurare una rete di volontari che con il loro contributo permettano un circuito virtuoso produzione/distribuzione/vendita a costi bassi per gli associati.

Questo è quanto, più avanti parleremo di occupazioni di case.

Fonte:http://www.partitosociale.org/
Ecco come distribuire il pane ad un euro al Kg nel tuo territorio

Il prezzo del pane è cresciuto negli ultimi anni in maniera impressionante così come quello dei generi di prima necessità, questa dinamica è coincisa con la progressiva diminuzione del potere di acquisto dei salari e delle pensioni. Sull’impoverimento generalizzato che ha subito la nostra popolazione per opera della speculazione e dell’assenza di forme d’Indicizzazione dei salari e delle pensioni, la politica è stata incapace di intervenire se non con operazioni di facciata. Il mercato inoltre è riuscito anche su questo terreno a ritagliarsi una nicchia di profitto, creando una serie di strutture con prodotti sottocosto con un livello bassissimo di qualità.

L’iniziativa che è partita da Roma dei Gruppi di acquisto popolari dal PRC ed ACTION denominata "boni come er pane" cerca di rompere il ricatto, per il quale se non arrivi a fine mese devi mangiare prodotti di bassa qualità. Associandosi come consumatori infatti si è riusciti sensibilmente a ridurre il prezzo del pane arrivando al prezzo di un euro al kg, ma anche ad averlo di ottima qualità.

Questo obiettivo si è raggiunto sostanzialmente perché il gruppo di acquisto contratta il prezzo direttamente dal produttore saltando ogni tipo d’intermediazione.



Ecco come funziona

Innanzitutto occorre dire che Il gruppo di acquisto popolare nato sul pane a Roma si ispira al lavoro fatto dai GAS (Gruppo di Acquisto Solidale). In questi decenni, i GAS e la rete che li mette insieme www.retegas.org infatti hanno nel tempo svolto un lavoro molto importante in termini di innovazione sul versante dei consumi critici, tant’è che i GAS, pur essendo molto diversi fra loro sono stati riconosciuti dalla Finanziaria del 2008 – negli art. 266 –267 - 268. Il Gas può essere riconosciuto quindi come ente associativo o come gruppo di persone informale che si mettono d’accordo per ordinare direttamente il prodotto al distributore. Quello che lo contraddistingue è il fatto che esso è un soggetto associativo senza scopo di lucro costituito al fine disvolgere attività di acquisto collettivo di beni e distribuzione dei medesimi con finalità etiche, di solidarietà sociale e di sostenibilità ambientale. Non è necessario avere la partita Iva per la fatturazione, basta il codice fiscale della singola associazione o della persona fisica che acquista per conto del gruppo, è sufficiente anche lo scontrino. E’ chiaro che per partire con un lavoro di questo genere nel proprio Circolo il primo elemento su cui lavorare è la costituzione di un gruppo informale di consumatori che decidono di acquistare il pane o altri prodotti (se si sceglie di creare un gruppo di acquisto informale sarebbe bene sottoscrivere una carta d’intenti la cui bozza è inserita qui di seguito).

Per questo sarebbe opportuno che i gruppi informali partissero da un elenco iniziale di persone che ordinano il pane (basterebbe ad esempio "inscriverele famiglie degli iscritti", o fare il "porta a porta" per alcuni condomini o caseggiati vicini), ed è importante avere una lista delle persone che hanno ordinato il pane. Se esistono già dei gruppi di acquisto che già lavorano sul territorio occorre lavorare con loro sulla questione del pane ad un euro al kg, così come se esistono altre strutture nel territorio, la pratica sulla quale muoversi è quella dell’obiettivo

Le persone che acquistano il pane associandosi tramite il gruppo di acquisto infatti, possono in futuro ordinare altri prodotti (latte, pasta, uova, olio), e possono iniziare a lavorare sulla questione del consumo critico, oltre che della ricostruzione di legame sociale nel proprio quartiere, per questo la costruzione del GAP deve essere intesa come pratica di reinsediamento e di costruzione di una nuova forma di democrazia . La cosa importante che non dovrebbe essere fatta è quella di ricaricare il prezzo sul prodotto, esso deve essere lo stesso di quello che viene stabilito con il produttore. Per cui diventa importante tenere con se sempre la fattura o lo scontrino dell’acquisto in caso di controlli. In futuro si consiglia di associarsi formalmente anche perché in questa maniera è possibile ottenere finanziamenti da parte dei comuni e dalle altre istituzioni. La pratica di dare il pane gratis rappresenta per noi un metodo deleterio e controproducente, che non costruisce solidarietà fra pari ma mantiene inalterate le gerarchie tra padrone e servo, tra ricco e povero. La storia del movimento operaio ci ha insegnato che la dignità è uno dei terreni fondamentali che ci contraddistingue, queste pratiche non ci appartengono.



Come contrattare il prezzo e la qualità dal Produttore

Con il gruppo di acquisto popolare si ribalta la logica della coperta corta che mette i ceti popolari l’uno contro l’altro, non conta se sei clandestino o Italiano, più si è meglio è, perchè meglio si contratta il prezzo con il produttore, questo almeno è quanto è avvenuto per il GAP romano, che è riuscito ad abbassare il prezzo del pane da 1.10 ad 1 euro al kg in una settimana,passando da un’ordinativo da 800 a 1150 kg di pane. A Roma ad esempio il pane distribuito dai GAP è prodotto da un forno umbro, che utilizza grano proveniente esclusivamente dall’Umbria. Il prodotto viene consegnato a file di unkg confezionato in maniera tale da rendere possibile la tracciabilità del prodotto. Nella scelta del produttore però pensiamo sia giusto inserire anche la qualità del lavoro come criterio di scelta, in questo caso occorrerebbe determinare un criterio di tracciabilità che immette elementi di trasparenza non soltanto su come si forma il prezzo e la qualità del prodotto, ma che assicura ad esempio che non ci sia lavoro nero dal campo al molino.



Come parto nel mio quartiere

Il volantino messo vicino ai centri commerciali, distribuito nei mercati, inserito nella cassetta delle poste resta uno dei strumenti più efficaci di comunicazione. L’esperienza romana ci dice che l’argomento pane, ha con se un valore simbolico estremamente potente che qui non ricostruiamo. Questo elemento fa si che sul terreno del pane e del caro vita abbiamo una certa facilità a passare sui media, per cui occorre predisporre comunicati stampi che spieghino in cosa consiste l’iniziativa e la quantità di kg distribuiti ( di seguito troverete lo schema del comunicato stampa). Occorre ad esempio cercare di utilizzare la sigla del GAP con il nome della propria città e del proprio quartiere per passare sulla stampa locale. E’ importante creare una mail per le informazioni da inserire nel volantino, e se si ha una certa affinità con internet creare un blog specifico, oltre che una mailing list.

Ma la cosa davvero importante è il passaparola, se il GAP viene vissuto come uno strumento del popolo per il popolo la diffusione delle informazioni avviene quasi per naturalità, ed è questo quello che ad esempio è avvenuto in queste due settimane a Roma. La prima uscita del GAP per il pane ad un’euro al kg deve essere comunque un’uscita pubblica e visibile, se le sedi dei nostri circoli sono in punti di passaggio possiamo direttamente distribuire il pane da lì, altrimenti possiamo fare un banchetto dimostrativo facendo vedere che è possibile concretamente ridurre il prezzo dei generi alimentari, è importante inoltre lavorare perchè altre realtà (centri sociali, camere del lavoro, condomini di quartiere, GAS già esistenti) si aggreghino.

Queste uscite, devono essere intese come dimostrative del funzionamento dei GAP, e quindi possono anche essere episodiche. Quello che però richiede una continuità è tenere in vita il gruppo di acquisto in quanto tale. A Roma il GAP distribuisce il pane, una volta a settimana, una continuità che richiede un alto livello di militanza sociale, per i circoli più piccoli consigliamo di partire con questa scadenza per almeno alcuni mesi e poi di verificare la sperimentazione.



Chi fa che?

La forza dei gruppi di acquisto consiste nel fatto cheil lavoro viene distribuito fra i singoli associati, tenere aperta una sede anche una volta a settimana, andare a prendere il pane dal forno o al punto di raccolta è un onere che non deve ricadere sui soliti noti. Dobbiamo cercare di fare in modo che si sviluppi una rotazione degli incarichi, per certi aspetti possiamo dire che un GAP funziona come una banca del tempo, in cui ognuno dei singoli associati dedica una parte del suo tempo per un determinato obiettivo. Per quanto riguarda la scelta di quale fornitore prendere essa dovrà avvenire per decisioni prese collettivamente da tutti i singoli associati, per questo è opportuno che il gruppo di acquisto in via di formazione sviluppi un proprio regolamento con relativo statuto.

E’opportuno inoltre lavorare per moltiplicare i gruppi di acquisto, in maniera tale da rendere il nostro intervento ancora più capillare. Infine i GAP devono essere in grado di articolare nel proprio territorio una campagna contro il caro vita che chiede che le istituzioni intervengano per bloccare i prezzi.

Intrecciare democrazia, consenso, e mutualismo è la strada feconda per ricostruire la nostra utilità sociale, sperimentazioni come queste, servono anche a questo. Importante infine la formazione di militanti sociali pari in grado di formarne a loro volta altri in grado di poter creare altri GAP, occorre concepire la nostra organizzazione come un modello che si muove agilmente nella crisi della rappresentanza e dell’agire politico classico, per questo è importante concepire le nostre sezioni anche come luoghi formativi, e fare in modo che l’autorganizzazione popolare cresca.



Quale sbocco politico

Oltre ai Gap ed alla pratica di mutualismo che rappresentano, è importante sviluppare una vertenza politica su più livelli, riuscire a convocare in ogni città una riunione sull’emergenza carovita è fondamentale per generare massa critica e partecipazione attorno alla nostra iniziativa e agli ordini del giorno, occorre lavorare che questa nostra campagna possa in futuro costruire una mobilitazione generale su questo terreno con una giornata nazionale, per questo occorre essere pragmatici sul piano pratico e della messa in comune delle esperienze senza rinunciare alla nostra identità nello sviluppo della rete. Nei volantini deve essere esplicitato chiaramente che noi ci muoviamo perchè il nostro governo invece di aiutare chi non arriva a fine mese aiuta i banchieri e speculatori. Occorre chiedere alle istituzioni il prezzo politico dei prodotti di prima necessità, il controllo delle speculazioni sul prezzo, l’esposizione del prezzo sorgente del prodotto. Inoltre occorre inserire questa nostra battaglia in una campagna sulla crisi, noi la crisi non la paghiamo vuol dire anche reintroduzione di una nuova forma di tutela di salari e pensioni dall’inflazione e dalla perdita di potere di acquisto che ne segue.

Ancora una volta quindi muoversi sul versante di un investimento nelle forme di nuovo mutualismo intrecciate a percorsi di vertenzialità e generalizzazione della lotta ci sembra la risposta adeguata per creare una nuova opposizione di sinistra al neoliberismo.

Piobbichi Francesco - DIPARTIMENTO PARTITO SOCIALE PRC - info 334/6883166 piobbico@hotmail.com



Carta d’Intenti Gruppo d’acquisto popolare (GAP)

(specificare Comune oppure quartiere o via/piazza o altra denominazione)

Premessa

Il gesto di fare la spesa può assumere una forte e chiara valenza sociale, economica e politica. Prendere consapevolezza di questo potere permette di elaborare una strategia di condizionamento della politica di approvvigionamento, produzione e distribuzione delle imprese. Siamo cittadini che si pongono obiettivi sociali e che intendono appropriarsi della capacità - libera e non condizionata - di scelta dei prodotti, in un equilibrio di prezzi accessibili e qualità in senso lato. In questa fase di grave crisi economica-finanziaria assume una valenza prioritaria il prezzo al dettaglio dei beni di prima necessità, sottoposti ad ingiustificati aumenti anche a causa di speculazioni finanziarie senza scrupoli.

Accanto a questa finalità il GAP di _____________ ispira la sua azione anche a criteri legati alla qualità merceologica e alla valutazione delle politiche compiute dalle imprese produttrici in termini di:

Impatto sociale: rispetto delle norme di sicurezza e dei diritti dei lavoratori, tipo di rapporti adottati con i regimi oppressivi, forme di presenza nei Paesi del Sud del Mondo.
Impatto ambientale: rispetto della natura e dei suoi ritmi, rispetto delle norme e convenzioni internazionali, scelte in materia di imballaggi e di riciclaggio, test sugli animali. Essere un Gruppo d’acquisto popolare perciò vuole dire risparmiare, ma anche chiedersi che cosa c’è dietro a un determinato bene di consumo: se chi lo ha prodotto ha rispettato le risorse naturali e le persone che le hanno trasformate; quanto del costo finale serve a pagare il lavoro e quanto invece la pubblicità e la distribuzione; qual è l’impatto sull’ambiente in termini di inquinamento, imballaggio, trasporto fino a mettere in discussione il concetto stesso di consumo attuale ed il modello di sviluppo che lo sorregge.


Linee guida e intenti del GAP

Realizzare prezzi contenuti di distribuzione ai soci. Occorre realizzare condizioni di acquisto dai produttori che consentano di realizzare un prezzo dei prodotti che tenga conto della riduzione del potere di acquisto di salari e pensioni negli ultimi anni. Ciò si realizzerà utilizzando i criteri della filiera corta, della garanzia di acquisto di quantità importanti per il produttore, di riduzione al minimo di imballaggi e confezionamenti, di nessuna spesa per pubblicità, di trasporti ridotti al minimo attraverso la scelta di produttori locali.
Sviluppare e mettere in pratica il consumo critico. Inteso come atteggiamento critico dei consumatori, che non subiscono i messaggi pubblicitari ma valutano e scelgono i prodotti in base a criteri stabiliti da loro stessi e non imposti dal mercato. Il GAP praticherà formazione ed informazione, sviluppando nei componenti del gruppo la mentalità di consumatori consapevoli. In tal senso le riunioni e gli incontri del gruppo devono diventare un vero e proprio momento di scambio e formazione reciproca, di crescita di consapevolezza delle contraddizioni sociali indotte da questo modo di produzione.
Sviluppare e creare solidarietà e consapevolezza. É una solidarietà che si estende, a partire dai membri del gruppo stesso, ai piccoli produttori che forniscono i prodotti, fino a comprendere, nel rispetto dell’ambiente, i popoli del Sud del mondo, e tutti coloro che, a causa dello spreco e della ingiusta ripartizione delle ricchezze, subiscono le conseguenze inique di questo modello di sviluppo. Interessandoci alle problematiche dell’ambiente, del suo sfruttamento e delle condizioni di lavoro, acquisiamo una maggiore consapevolezza del mondo che ci circonda e delle sue contraddizioni.


I criteri di scelta dei produttori

L’occupazione

I produttori piccoli sono in generale ad elevata intensità di mano d’opera (ore di lavoro utilizzate per un prodotto), rispetto alle aziende grandi che sono per lo più ad elevata intensità di capitale (quota di finanziamenti utilizzata per un prodotto). La scelta dei primi rispetto ai secondi è quindi uno strumento importante per creare occupazione, ovvero per fare in modo che i soldi che spendiamo servano a pagare in misura maggiore chi ha lavorato rispetto alle banche o agli azionisti.



Le condizioni di lavoro

L’economia mondiale, nell’era della globalizzazione, sta portando ad una corsa verso il fondo nelle condizioni di lavoro: le multinazionali spostano la loro produzione dove i costi sono più bassi, ovvero dove la manodopera è pagata meno ed i diritti dei lavoratori sono meno rispettati. L’unico modo per uscire da questa corsa che danneggia tutti è richiedere un livello minimo accettabile nelle condizioni di lavoro, che venga rispettato in qualsiasi parte del mondo.



Cultura e coltura

I prodotti locali spesso si accompagnano a colture e culture tradizionali della propria zona; entrambe rischiano di scomparire sotto le spinte di uniformità del mercato globale. Mangiare prodotti tradizionali è un modo per allungare la loro vita e proteggere la biodiversità, oltre che conservare un mondo di sapori, ricette e tradizioni.



L’orizzonte del GAP

Il Gruppo d’acquisto popolare può costituire dunque uno degli aspetti di un nuovo stile di vita che, accanto al consumo critico e al risparmio etico, fornisce una possibilità di impegno concreto per chiunque desideri cominciare a lavorare nella vita quotidiana per un nuovo modello di sviluppo costruito dal basso. La forza apparentemente senza limiti delle imprese produttrici, in modo particolare delle società multinazionali, ha in realtà una debolezza intrinseca in quanto la capacità di sviluppare business e di creare profitto dipende principalmente dal comportamento dei consumatori nel momento in cui acquistano prodotti o servizi. Il consumatore, sviluppando una coscienza critica, acquisisce dunque un grande potere e proprio perché le imprese hanno timore di questo tentano di dominare la nostra volontà spendono miliardi in pubblicità.

Dobbiamo perciò riappropriarci della volontà decisionale e rivalutare il potere che abbiamo fra le mani. Un potere che preso singolarmente è certamente piccolo, ma che moltiplicato per milioni di persone può condizionare le imprese fino a coinvolgere l’intero sistema. Il Gruppo d’acquisto popolare si costituisce quindi per essere parte del movimento più generale che agisce e lotta nella realtà sociale e politica per migliorare le condizioni materiali e di vita, in difesa dei salari e delle pensioni, della natura e della dignità umana.

L’agire collettivo risponde all’esigenza di sottrarre alla prepotenza del mercato e alla sua logica consumistica il diritto alla salute e ad un ambiente sano. A ciò va aggiunta la dignità dei lavoratori a cui devono essere salvaguardati i diritti, affinché anche loro possano essere protagonisti di questa lotta. In questa ottica, parte specifica dell’attività del Gruppo d’acquisto popolare è una coscienza critica verso il consumo e i metodi produttivi che attivano il mercato. Da qui nasce l’impegno del Gruppo d’acquisto popolare a promuovere e sostenere tutte quelle pratiche che si propongono analoghi fini: il Commercio equo e solidale, le azioni di boicottaggio verso le multinazionali, la finanza etica. Inoltre il Gruppo d’acquisto popolare ricerca nel rapporto-coordinamento con le altre realtà di movimento la forza ed il significato del proprio costituirsi in itinere come risposta per un mondo diverso possibile e in costruzione. Consapevole che le scelte di stili di vita personali sono la base del proprio agire politico, il Gruppo d’acquisto Popolare promuove al proprio interno forme di collaborazione e di responsabilizzazione di tutti i propri aderenti.



Forma di adesione

Il GAP _____________ è un’associazione informale non riconosciuta. L’adesione al GAP è libera, volontaria e gratuita e può avvenire in ogni momento sottoscrivendo una richiesta di adesione contenente i dati anagrafici del richiedente. L’attività del GAP si realizza attraverso riunioni periodiche dei soci, atte a realizzare gli intenti e gli obiettivi della presente carta, che verrà consegnata a ciascun socio, il quale ne condivide i contenuti. Il recesso da socio del GAP si realizza a discrezione del socio stesso, salvo casi di pratiche di manifesta contraddizione con gli intenti del gruppo, per i quali decide l’assemblea plenaria.



Sede e modalità di distribuzione dei prodotti

La sede del GAP è in via/piazza __________________________. Presso tale sede è custodito l’elenco degli aderenti. I prodotti potranno essere distribuiti presso tale sede o anche in spazi pubblici specificatamente autorizzati. All’atto della distribuzione, nel rigoroso rispetto dello spirito del GAP, non verranno apposti ricarichi di nessun tipo rispetto al prezzo di acquisto al produttore. Eventuali necessità di copertura di spese verranno discussi e deliberati unicamente in sede di assemblea plenaria, con specifico ordine del giorno.



Bozza di comunicato stampa

Questa mattina presso _____________ si è svolta l’iniziativa contro il caro vita del PRC che consiste nella promozione dei Gruppi di Acquisto Popolare che consentono alle persone associate di acquistare collettivamente pane di qualità a un euro il Kg, poi distribuito tra i partecipanti al gruppo. In quest’ultimo anno il prezzo della pasta e del pane è salito senza che nessuno intervenisse per fermare le speculazioni, il Governo Berlusconi fa solo spot mentre le persone continuano a diventare sempre più povere. Per questo chiediamo il prezzo politico per i generi di prima necessità. La nosra iniziativa tende a fornire una risposta concreta sul versante sociale e verrà riprodotta nel tempo cercando di ampliare il paniere popolare ad altri prodotti come la pasta. Il PRC di ______________ presenterà sul tema un odg in consiglio comunale che chiede all’amministrazione di ________________ azioni concrete su questo terreno.