domenica 30 agosto 2009

Coglioneria bipartisan?

Una vignetta innescata nel 2004 da quel pazzo di Mauro Biani e' esplosa a scoppio ritardato sotto il culo dei leghisti, della sinistra al caviale e dei grrraandi quotidiaaani, coinvolti in una colossale presa per il culo su scala nazionale.
28 agosto 2009 - Redazione

Incredibile ma vero: nel 2004 Mauro Biani fa un manifesto taroccato su PeaceLink.it prendendo per il culo le politiche leghiste, un gruppo di leghisti (o di buontemponi) ci crede davvero e si autoprende per il culo costruendo attorno a quel poster un gruppo di interesse su Facebook, una "amica di Brescia" di Water Veltroni non meglio identificata fa pipi' fuori dal Water e segnala indignata l'accaduto per email, nel frattempo grandi nomi della Lega aderiscono al gruppo che prende sul serio il manifesto tarocco e propone la tortura degli immigrati per legittima difesa, Veltroni si indigna e denuncia pubblicamente l'episodio, i grandi media che non hanno di meglio da fare si gettano a pesce sulla notizia abboccando all'amo come trote salmonate, e solo alla fine di tutto questo megacasino Biani esce allo scoperto rivelando la vera tragedia del paese: quello che nel 2004 era una cazzata paradossale, oggi puo' essere considerato un plausibile progetto politico estremista.

Per riflettere piu' approfonditamente sul senso di questa vicenda, leggete l'approfondimento di Ulisse Acquaviva dove c'e' una buona parola per tutti, dal Water nazionale ai leader del carroccione.

fonte:http://www.mamma.am/mamma/


Occultare la verità sulla morte di Carlo Giuliani


Mai come per l'ultima sentenza sull'omicidio di Carlo Giuliani abbiamo potuto notare tanti titoli fotocopia. Se c'è una cosa che si impara osservando gran parte dell'informazione nazionale in occasioni come queste è che, oltre ad un decente senso etico del proprio mestiere, ai giornalisti nostrani (e soprattutto ai tanti riciclatissimi direttori) manca anche l'originalità.

I titoli riescono a spaziare al massimo tra "Per la Corte europea Carlo Giuliani fu ucciso per legittima difesa" a "Corte Europea: Giuliani al G8 ucciso per legittima difesa". Il record dell'originalità lo riserva "Il Tempo" con una sua personalissima visione della sentenza: "G8 2001: la Corte europea dà torto alla famiglia Giuliani".

Questo è ciò che i mezzi d'informazione nazionali hanno compreso della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo emessa il 25 agosto sul ricorso presentato dalla famiglia Giuliani contro le sentenze del Tribunale di Genova sull'omicidio di Carlo Giuliani.
Questo è ciò che i media hanno compreso e di rimando questo è ciò che è apparso e apparirà agli occhi degli ignari lettori e telespettatori di questo paese.

Eppure non è questa l'impressione che si ha leggendo con esattezza l'intera sentenza, il resoconto dell'esame giudiziario, i suoi 279 paragrafi.
La realtà descritta nel documento non nega certo la "legittima difesa" dell'agente Mario Placanica, il carabiniere che il 20 luglio 2001 uccise il ventitreenne Carlo Giuliani. Anzi, la afferma con chiarezza.
Ma aggiunge qualcos'altro. Qualcosa al cui confronto stabilire se da parte di Placanica ci sia stato o meno un eccesso di legittima difesa è come interessarsi del clima e della temperatura quando si parla del 25 aprile del 1945.

Qualcosa per cui sarebbe stato più utile titolare: "La verità sulla morte di Carlo Giuliani occultata dallo Stato italiano". Perché, in sintesi, è questa la bomba nascosta nelle righe della sentenza. Forse troppo nascosta per l'occhio stanco di direttori di tg cortigiani.

Ma non troppo per chi si è degnato di leggere con attenzione passi della sentenza come i seguenti:

"Il corteo raggiunse il tunnel della stazione all'incrocio con Corso Torino.
Improvvisamente, i Carabinieri sotto il comando del signor Mondelli lanciarono lacrimogini sui dimostranti.
Alle 14:29 il centro di comunicazioni ordinò a Mondelli di recarsi rapidamente in Piazza Giusti, nel mentre le Tute Bianche procedevano lungo il percorso del corteo attraverso Corso Gastaldi. Sebbene esistevano 3 differenti percorsi per raggiungere la destinazione, Mandelli scelse la strada che portò la compagnia al rischio di incrocio con il corteo delle Tute Bianche, trascinandoli lungo Via Invrea verso l'intersezione con Corso Torino.
Pochi minuti dopo le 3 i Carabinieri si trovarono nel percorso dei dimostranti, attaccarono le Tute Bianche, dapprima usando i lacrimogeni, quindi avanzando e usando i manganelli.
L'attacco durò per circa due minuti. Esso non fu ordinato né dalla sede di controllo dei Carabinieri né da altre persone autorizzate a farlo".

Questo fu l'evento che scatenò sin dal 20 luglio gli scontri di piazza tra i manifestanti e le forze dell'ordine. Fu quest'attacco violento ed ingiustificato a rendere i minuti, le ore ed i giorni a seguire gli istanti della peggior barbarie alla quale un paese presunto civile avesse mai assistito.
La responsabilità di azioni scellerate di "capitani coraggiosi" viene messa nero su bianco da una Corte Europea di giustizia. E non è poco.

Il legame tra questa carica e la morte di Giuliani? Nel paragrafo immediatamente successivo:

"I Carabinieri spinsero i manifestanti indietro verso l'incrocio con Via Invrea. Una volta lì, i dimostranti si divisero: alcuni proseguirono avanti verso il mare, altri trovarono rifugio in Via Invrea e successivamente nell'area attorno a Piazza Alimonda.
Alcuni dimostranti risposero alle cariche, procurandosi oggetti solidi come bottiglie di vetro o pattumiere e cominciarono a lanciarli verso le forze dell'ordine.
[...] Una volta che l'attacco fu terminato, i Carabinieri abbandonarono Via Casaregis e quindi via Invrea, verso nord, prima di proseguire ad ovest lungo Via Tolemaide.
Uno di loro, Mario Placanica, era un Carabiniere di vent'anni, addestrato all'uso delle granate. Sofferente per gli effetti dei gas lacrimogeni lanciati da egli stesso durante i precedenti scontri, ottenne il permesso dal Capitano Cappello (comandante del contingente ECHO all'interno del CCIR - Contingente di Contenzione e Intervento Risolutivo) di entrare nella jeep allo scopo di allontanarsi dalla scena degli scontri.
Si accovacciò nel retro della jeep, ferito e in preda al panico, protetto da un lato da uno scudo e gridando ai dimostranti di allontanarsi o altrimenti "li avrebbe uccisi tutti".
Mario Placanica impugnò la sua Beretta 9mm, la puntò nella direzione del vetro posteriore frantumato della heep e, dopo qualche decina di secondi, sparò due colpi".

E sugli attacchi ingiustificati:
"La Corte nota a questo proposito che la Corte Distrettuale di Genova [...] ha ritenuto in prima istanza che le azioni dei carabinieri relativamente all'attacco in questione sono state illegali e arbitrarie".

Sulla presenza di Placanica:
"Un numero di questioni certamente necessitano di essere poste: se Mario Placanica, che era in un particolare stato mentale scatenato da un alto livello di stress e panico, avesse dovuto prendere parte a tale azione, se avesse avuto il beneficio di un appropriato addestramento ed esperienza; se un migliore coordinamento tra le diverse forze dell'ordine presenti sulla scena avrebbe impedito l'attacco alla jeep così da evitare vittime; infine, e soprattutto, se la tragedia si sarebbe potuta prevenire se ci si fosse preoccupati di non abbandonare la jeep, priva di equipaggiamento protettivo, proprio nel mezzo degli scontri, in particolar modo considerando il fatto che a bordo erano presenti persone ferite che continuavano a portare dietro delle armi".

"Dal punto di vista degli eventi precedenti, e dato che non è stata condotta alcuna indagine interna a questo proposito, un fatto che viene deplorato, la Corte non è in grado di stabilire l'esistenza di un collegamento diretto ed immediato tra le mancanze che possono aver influenzato la preparazione e la condotta del pubblico ufficiale e la morte di Carlo Giuliani. [...] Considerate le mancanze nell'esame forense e l'incapacità di preservare il corpo, non è sorprendente che i procedimenti giudiziari siano culminati nella decisione di non approfondire la vicenda. La Corte conclude che le autorità non hanno condotto un'indagine adeguata sulle circostanze della morte di Carlo Giuliani".

[...]

"In nessun momento è stato tentato di esaminare il contesto generale e di considerare se le autorità avessero pianificato e gestito l'operazione di ordine pubblico in un modo tale da prevenire incidenti come quelli che causarono la morte di Carlo Giuliani. In particolare le indagini non hanno tentato di stabilire perché Mario Placanica - che il suo ufficiale superiore ha considerato inadatto a continuare il proprio dovere a causa del suo stato fisico e mentale - non è stato condotto direttamente in ospedale, è stato lasciato in possesso di una pistola carica ed è stato posto in una jeep che non aveva protezioni e che era stata tagliata fuori dal contingente che essa stava seguendo".

"Dal punto di vista della Corte, le indagini avrebbero dovuto esaminare questi aspetti almeno per quanto concerne l'organizzazione e la gestione dell'ordine pubblico, relativamente al colpo fatale essendo strettamente legato alla situazione in cui si sono trovati Filippo Cavataio e Mario Placanica.
In altre parole, le indagini non sono state adeguate giacché esse non hanno cercato di determinare chi fossero i responsabili di quella situazione".


Stando alle parole della sentenza, la vera mancanza da parte italiana (una mancanza gravissima senza ombra di dubbio e che anche la Corte Europea ha definito deplorevole) è consistita nell'assenza di una indagine accurata che indagasse sull'organizzazione e la pianificazione dell'ordine pubblico, sulle responsabilità delle autorità nella gestione delle diverse operazioni.
Quello che una Commissione Parlamentare d'inchiesta, per propria natura, avrebbe potuto determinare con facilità. Anche solo per la morte di Carlo Giuliani, lasciando stare per il momento le ben più oscure vicende come le torture a Bolzaneto o il massacro alla scuola Diaz.

Sarebbe bastata una Commissione d'inchiesta. Quella che 2 anni fa in tanti hanno fatto a gara per ammazzare. E che hanno ucciso. Assieme alla verità.

Alessandro Tauro
Fonte: http://alessandrotauro.blogspot.com/
Link: http://alessandrotauro.blogspot.com/2009/08/la-verita-sulla-morte-di-carlo-giuliani.html

sabato 29 agosto 2009

Tremonti, la lotta di classe ed i tribuni della plebe


Il caso Innse? La più bella notizia dell'estate. Meriterebbe un film. Lotta di classe non c'è più: "Lavoratori e imprenditori tutti sulla stessa barca" - Da Repubblica il tribuno della plebe Tremonti.

Dicono che i plebei erano un po' incazzati per i privilegi dei patrizi nella Roma Repubblicana del VI secolo a.c.. A quelli tutto e niente per il popolaccio. Erano tempi grami per i poveracci, quelli. Qualsiasi latitudine uno pensasse di frequentare, per trovare un minimo di giustizia sociale, si ritrovava sempre tra l'incudine ed il martello del censo e della ricchezza. Da una parte chi decideva ed aveva molto, dall'altra chi subiva le decisioni ed aveva il minimo per tirare avanti.

L'incazzatura si concretizzò in "istituzioni" parallele, ma senza riconoscimento da parte del senato, come i concili della plebe e forme di lotte radicali come la "secessione".
Dopo un po' di scazzi e di tira e molla qualche progresso fu fatto. In materia di diritti, con la promulgazione delle dodici tavole, i plebei riuscirono a far mettere per iscritto quelle che erano le leggi che governavano i rapporti tra loro e quelli a Roma. Passo' del tempo e ,da quelle leggi, riuscirono a far cancellare la norma che vietava il matrimonio tra un/a patrizio/a ed un/a plebeo/a. In questo modo i matrimoni misti furono possibili.

Nel 367 a.c. le leggi Linicie-Sestie riconobbero ai plebei il diritto di accedere al consolato.
Anche qui, come in molte questioni, questo diritto fu una roba a cui poterono aspirare coloro i quali (tra i plebei) avevano disponibilità di mezzi economici e tempo da dedicare alla politica piuttosto che alla propria sopravvivenza. La morale della favola è che ad una oligarchia patrizia si sostitui' una oligarchia patrizia-plebea.
Ci fu una progressiva integrazione, negli ordinamenti della Repubblica, dell'organizzazione che i plebei si erano dati autonomamente.
In questo modo cio' che aveva rappresentato una istituzione potenzialmente "sovversiva e rivoluzionaria" e rispondente agli interessi di una classe sociale, divenne un soggetto meno pericoloso e più malleabile.


E già, perché la storia della segmentazione in classi sociali dell'umanità non è roba che appartiene solo alla memoria della rivoluzione francese o di quella industriale. E' roba vecchia con una serie di coincidenze sospette ma esplicative di come vanno le cose nel mondo.
Tu puoi stare di qua o di là e questo dipende da quanto hai in termini di ricchezza;più sei ricco e più tempo puoi dedicare a te stesso, a consolidare il tuo potere ed a tessere relazioni che cementino ciò che è dato e dove stai.
Certo ci puoi anche arrivare (il sogno), ma è un imbuto rovesciato quello che regola i rapporti tra classi. Il beccuccio sta in alto ed è dura arrivare in cima se manca un aiutino, al contrario ti tocca sfidare le leggi della fisica.

Bene, questa è la storia dai tempi dei tempi. In questa storia ci ritroverete la storiella di quelli che dicono che stiamo tutti nella stessa barca. Anche quella non è molto originale. Ricordate la favola dello sciopero degli organi del corpo? Testa e pancia. Simbologia sospetta.
Ora arriva Tremonti e prova a strumentalizzare la lotta di un pugno di compagni. Vuole depotenziarla perché lui è un uomo intelligente e si porta avanti con il lavoro.
Per il resto, se avete voglia, sostituite in questa sommaria ricostruzione storica (chiedo venia) alcuni soggetti istituzionali nostri come i sindacati o qualche partito de sinistra, mettete gente come Ichino Calearo e Colannino tra i tribuni a rappresentare gli interessi della plebe ed il gioco è fatto.
Rimane una variabile indipendente, sono gli schiavi che si possono rompere il cazzo di queste schermaglie, capendone bene il senso. E con quelli la storiella della barchetta non funziona sempre.


venerdì 28 agosto 2009

Consigli 3

Se vi piace o' Jazz

giovedì 27 agosto 2009

Se uno dice che quelli del PD sono delle merde?

Ieri Fini Gianfranco (non quello dei tortellini, ma il politico) ha detto "A proposito di G8, come italiano sono soddisfatto che la corte europea abbia detto in maniera inequivocabile che Placanica ha agito per legittima difesa".
Si trovava alla festa di quelli in cerca d'identità e su questa cosa ha ricevuto applausi convinti.
Questo signore quel giorno si trovava nella sala operativa della questura. Ora, da un fascio convertito che si presento' in giacca e cravatta a vedere i cadaveri dei suoi ammazzati ad Acca Laurentia non ci potevamo che aspettare che questo. E non staremo lì a sottilizzare sulla sentenza o sulle omissioni nei ricordi di Fini e di quelli come lui per cosa accadde in quei giorni. Ma cosa dire degli abbronzati democratici che sedevano in platea e battevano le mani convinti? Che sono delle merde. Piccola consolazione ma grande verità. Questi si sperticano per l'Iran e tutto quanto fa esotico e dimenticano come le logiche della repressione sono uguali a qualsiasi latitudine. Trovate qualche poliziotto condannato tra quelli che hanno ammazzato i compagni, magari facendo la conta da Reggio Emilia in poi?
Dicono che non hanno più l'asprezza ideologica che divide e non unisce. Sarà, dimenticano che quell'asprezza è figlia di secoli di storia e di ruoli a cui gli uomini sono condannati dalla notte dei tempi in funzione di ciò che ricevono rispetto a ciò che danno.
Se ne accorsero persino dalle parti di Atene dove, nel cercare di sanare gli scazzi tra aristocratici e plebe con la riforma timocratica di Solone, divisero la società in quattro classi sulla base di censo e ricchezza.
Più eri nobile e ricco e più diritti ti venivano riconosciuti.
Solo che questi di oggi (i democrats) cianciano di una società in cui le classi non ci sono più. Cianciano, appunto.
Sempre la cronaca ci narra di un tipo che, dopo anni passati a friggere patatine nei vari festival aggratis, al Fini fa vedere la sua carta d'identità e gli dice " ora non mi imbarazza più portare questo cognome" e l'altro che gli risponde " Hai visto il numero? Inizia con AN, vuol dire che abbiamo qualcosa di altro in comune"
Appunto, la merda.

domenica 23 agosto 2009

Consigli 2



Consiglio del mese di Agosto, puoi scaricarlo gratis

domenica 16 agosto 2009

Considerazioni controcorrente sulla lotta alla INNSE

Autore: Francesco Ricci

Ci sono mille ragioni di essere soddisfatti per la vittoriosa lotta della Innse.
I lavoratori della Innse hanno dato l'esempio di una lotta ostinata e controcorrente, che durava da ben prima che si accendessero le telecamere mediatiche,sempre alla ricerca dello scoop,del gesto estremo(la scelta da parte degli operai è stata ottima: in un altro modo difficilmente sarebbero arrivate le Tv figlie del capitalismo spietato); una lotta a cui Orgoglio Operaio aveva già,nel limite delle sue capacità,dato spazio,mentre l'insieme dei tanti amici odierni degli operai della Innse ancora non si vedevano(o erano impegnati sotto altre telecamere).

Questa lotta non si ferma alle burocrazie sindacali; questa lotta ha sfidato la legalità, che la borghesia ci ha imposto e il sacro diritto di proprietà; con una unità completa tra tutti i lavoratori della fabbrica: questo sa creare attenzione, richiamando la solidarietà dei lavoratori e dei militanti di tutta Italia.

Una lotta,appunto,che indica la necessità di un protagonismo diretto dei lavoratori nel prossimo autunno, quando i licenziamenti raggiungeranno livelli altissimi.

La mie osservazioni potrebbero fermarsi,ma come posso far finta di notare quanti avvoltoi volteggiano attorno a questa battaglia e alla vittoria assai fragile che è stata conseguita?

Perché di vittoria parziale, dimezzata, dobbiamo parlare, per essere sinceri.La tanto agognata socializzazione dei mezzi di produzione gli operai della Innse la vogliono e la vorrebbero, ma nn è possibile dentro un sistema capitalistico come quello attuale; perchè ci troveremmo,come già in realtà avviene e nessuno lo dice, a veder cooperative "socialiste" assumere persone con contratti atipici, o peggio ancora cooperative che licenziano. Questo gli operai della Innse,che non sono stupidi,(quando parli con loro,capisci che il Capitale di Marx l'hanno letto e l'hanno anche capito)lo sanno eccome.

Io sono stato il primo a urlare di gioia quando ho saputo della loro vittoria, ma ora mi pongo fuori dal coro a rischio di sembrare un poco settario agli occhi magari proprio dei vari Cremaschi, Rinaldini, Ferrero, ecc. Proprio loro in questi giorni si sono intitolati questa vittoria solo perché all'ultimo minuto sono accorsi e hanno sgomitato per farsi riprendere dalle telecamere, mentre prima nemmeno sapevano di questa lotta, come giustamente è stato denunciato dai lavoratori della Innse quando hanno visto arrivare, insieme a tanti compagni operai e fratelli veramente solidali, militanti sindacali e politici, anche un numero eccessivo di burocrati e star da tv regionali che spesso,ancor prima di informarsi sui fatti,si precipitavano verso la prima telecamera accesa per farsi intervistare o perlomeno per essere ripresi sullo sfondo,per far vedere che loro c'erano..ma prima dov'erano?
Certo ognuno ha i suoi impegni ognuno fa quello che può ...ma non se hai la presunzione e il compito di fare il politico per mestiere.

Questa meritata vittoria incomincia ad avere troppi padri. Mentre gli unici padri sono e saranno sempre gli operai della Innse.
Quando gli operai della Innse hanno appeso uno striscione con la frase "Hic sunt leones" (qui ci sono i leoni) rendiamci conto del fatto, che purtroppo, attorno ai leoni hanno iniziato a girare parecchi avvoltoi.

A dirsi soddisfatti sono infatti davvero in troppi; sarà forse perché le vittorie,hanno spesso molti padri. Vada per i burocrati sindacali e i dirigenti della sinistra governista,giunti all'ultimo minuto,retroguardia di ogni lotta.

Ma anche i padroni? Infatti si leva un coro immenso.E' soddisfatto il nuovo padrone; sono soddisfatti i padroni in generale; è soddisfatta la stampa dei padroni.

Il cavalier Attilio Camozzi, il nuovo padrone, che è un amicone dell'intermediario dell'accordo siglato, Maurizio Zipponi (già dirigente Fiom, poi membro della segreteria di Rifondazione Comunista,poi passato con Vendola e infine, con abiura del comunismo recitata sul Corriere della Sera, diventato "inviato tra gli operai" di Di Pietro), dopo essersi felicitato per la conclusione della vicenda e per la sua acquisizione (per 4 milioni di euro) della Innse, ha spiegato che ora occorre rimboccarsi le maniche "bisognerà lavorare di più.(thò guarda te!!).Produrre quello che vuole il mercato. Ridurre l'assenteismo". Camozzi, modestamente, non vuole essere chiamato padrone: "Il padrone è il mercato" mentre "imprenditori" (ma che brav'uomo) considera essere non solo i suoi familiari miliardari ma anche gli operai,con i quali nella sua azienda ha un rapporto "da padre a figlio" tanto da organizzare con loro persino,"tornei di calcio".

Si prospetta un futuro da miliardari per i lavoratori Innse...cavolo che culo!!

La cosa più aberrante sono state le dichiarazioni di Paolo Ferrero che lo ha definito "un padrone serio",E' uno che "si è fatto da sé",ed ora ha un buon numero di aziende e 3500 dipendenti, di cui 1600 in Cina,un benefattore internazionale ecco perchè il segretario di rifondazione lo ama tanto!!!!
Il giornale della Confindustria precisa"ora occorre tirare tutti la cinghia, padrone e operai."Siccome sono anni che lavoro e faccio l'operaio,so benissimo cosa vuol dire tirar la cinghia per i padroni..e la cinghia la faranno tirare a noi.

A leggere i giornali in questi giorni pare che la stampa padronale si sia schierata con gli operai.Daltronde un certo Luciano Gallino su Repubblica scrive "c'è da augurarsi nell'interesse generale" (che in parole povere, significa l'interesse dei padroni che pagano Gallino per scrivere quello che vogliono loro) che le proteste in autunno adotteranno forme simili, cioè - nella sua lettura (che deforma la lotta dell'Innse, iniziata ben prima dell'episodio della gru) - invece di scioperi e occupazioni "azioni mediatiche" per richiamare l'attenzione di chi di dovere,che poi si preoccuperà di sistemare le cose in nome del famoso "interesse comune" di padroni e operai.

Per quanto riguarda i burocrati sindacali,le dichiarazioni sono concordi con quelle dei padroni. La lettura della dirigenza Cgil è riassunta in una intervista rilasciata da Epifani che ha rivendicato un sindacalismo che sa mettere insieme gli interessi di padroni e operai e ha fatto notare che alla Innse, a differenza di quanto accaduto in Francia dove gli operai hanno sequestrato i manager, "il rischio lo corrono solo i lavoratori". Infine ha richiamato i padroni ad "avere un senso alto del dovere dell'imprenditore e della sua responsabilità sociale".

Se poi si leggono le dichirazioni rilasciate da Rinaldini e Cremaschi e da tutti i vertici della sinistra governista, da Ferrero a Diliberto,non escludendo Bertinotti. Il ritornello è quello di far credere ai lavoratori che i borghesi sono borghesi nell'interesse della classe operaia.Ma Va da via al cù!!! si dice cosi dalle mie parti..

Gli elementi davvero importanti della battaglia operaia alla Innse sono allora altri e vanno appunto rintracciati sotto le decine di interpretazioni interessate fornite dai padroni, dai loro amici sindacalisti e dalla sinistra governista.

E' bene aver ben chiare alcune cose,per non falsificare la vicenda.

Se è stato raggiunto un risultato e 49 operai non vengono licenziati,soltanto 15 di loro ritorneranno ora in produzione, mentre gli altri saranno messi in cassa integrazione straordinaria. La conservazione del posto di lavoro c'è ma è assai precaria.

I burocrati riformisti danno una visione puttosto scolorita della lotta della Innse (come del resto sono scoloriti i sindacati di questi sindacalisti).Loro vorrebbero che in autunno i lavoratori dovrebbero limitarsi ad alzare un po' il tono, a fare qualche corteo di rito,al più arrivando a qualche "azione mediatica" (come loro vogliono far apparire quella della Innse),per poi ritirarsi in buoni buoni lasciando fare alle burocrazie.

Cosi non sarà belli miei:perché siamo nel pieno di una crisi capitalistica di sovrapproduzione e il problema non è in generale risolvibile sostituendo a un "padrone speculatore" un "padrone serio" (tutti i padroni seri sono speculatori,andrebbe spiegarlo a Ferrero); sia perché la lotta degli operai della Innse ,non si è limitata alla "azione mediatica" di cui si è parlato in questi giorni,cioè ai cinque compagni operai saliti su di un carro ponte, ma è durata quasi un anno e mezzo, con l'occupazione della fabbrica, blocchi stradali, mesi di autogestione e presidio dello stabilimento.

Innse: premessa dell'autunno operaio.
Insomma, se padroni e burocrati sindacali si illudono che in autunno gli operai faranno solo un po' di sceneggiata si sbagliano.

Anzi: è proprio la lotta della Insse, con la sua parziale vittoria,con il suo esempio che già sta provocando contagio,a indicare un metodo generale per settembre esattamente opposto a quello che vorrebbero i padroni:lotte radicali,ad oltranza,scioperi,occupazi
oni delle fabbriche (ampliando una pratica che già negli scorsi mesi ha interessato decine di realtà,
ignorate dalle bladracche dell'informazione),coordinamento nazionale delle lotte.Tanto per cominciare.
E poi, per raggiungere qualcosa in più di qualche sebben importante vittoria parziale, proseguendo con l'imposizione dell'esproprio senza indennizzo delle fabbriche sotto il controllo dei lavoratori come unica risposta realistica e immediata ai licenziamenti di massa, in una prospettiva di ascesa generale e unitaria delle lotte contro il padronato e il suo governo.
Questo sarà il nostro autunno. E non basteranno gli avvoltoi riformisti per preservare i padroni dai leoni operai.

sabato 15 agosto 2009

Club Dogo Cronache di Resistenza Video

Cattivo ferragosto

giovedì 13 agosto 2009

Sfoderate la Katana e riprendiamoci quello che è nostro

Questi due articoli di repubblica testimoniano la schizofrenia di come si fanno previsioni economiche e di come la realtà è subdola e costringe a contorcimenti di tutti i tipi, in attesa degli eventi.
Per una situazione che migliora, di qualche frazione di punto percentuale, in Europa (Germania e Francia) dall'altra parte dell'oceano disoccupazione e vendite al dettaglio mostrano segni di peggioramento.
E l'Autunno arriverà con il suo bagaglio di licenziamenti, aumento della precarietà e deterioramento della situazione sociale nel suo complesso.
In ogni caso, anche nell'ipotesi di ripresa economica, questa se ci sarà sarà fatta a costo di un maggior indebitamento complessivo del sistema.
Soldi che escono dalle tasche dei lavoratori e che. grazie alla mano pubblica, vanno a sanare i bilanci di banche che hanno giocato con la finanza fino a creare la situazione che stiamo vivendo.
In questo scenario come pensate che proveranno a rimettere a posto i conti, anche gli stati?
Su quali spese si rivarranno? la risposta si chiama welfare, siamo noi.
Bene, di fronte a queste prospettive molto concrete leggiamo che gli Agnelli litigano per un miliardo di euro di eredità che manca all'appello, che il fisco tiene sotto controllo 170.000 soggetti con conti all'estero.
Briciole. Immagine artefatta di una realtà che è stranota ai più; che non cambierà mai nella sostanza se non cambierà chi impugna il manico. Se quella classe di individui sfruttati che raccoglie quelli che per 1.000 euro al mese rischiano tutto su un carro ponte, per riprendersi un lavoro già perso, e quelli che lavorano nei call center o dovunque la merce assume valore grazie a loro non decidono di riprendersi ciò che è loro. Ad iniziare dalle fabbriche, dal sapere prodotto e da ciò che appartiene a noi e non a loro. Perché i samurai e gli invisibili sanno vincere.


Francia e Germania: su il Pil
Bce: la recessione sta finendo

Primi segnali positivi dopo un anno: il Prodotto interno dei due Paesi nel secondo trimestre sale dello 0,3. Sembrano funzionare i piani anticrisi. La Banca centrale europea: "Conti pubblici e disoccupazione le priorità"/Commenta

Disoccupati e vendite, i dati Usa peggiori del previsto




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lunedì 10 agosto 2009

E' il momento degli espropri a danno dei padroni


Mentre questi tre coglioni, dalle ferie, discettano di gabbie salariali e fanno filosofia del cazzo insieme a quel deficiente a capo di un partito fatto per tutelare gli interessi dei salumai, macellai e padroncini del Nord, qualcuno ha imparato la lezione della INNSE.

Dal corriere della sera di oggi 10 agosto
Sette operai sono saliti per protesta su una torre di lavorazione alta 50 metri a Marcellina, in località Cesalunga, vicino a Roma. I lavoratori appartengono alla «Calci idrate Marcellina» (Cim), una ditta che da circa 40 anni produce e distribuisce intonaci, collanti, vernici e calce idrata. I manifestanti hanno comunicato di non avere intenzione di abbandonare la protesta fino a quando non sarà fissato un appuntamento con i rappresentanti del comune di Marcellina che, stando ai lavoratori, non avrebbe rinnovato alla Cim il permesso per l'estrazione del calcare e il contratto d'affitto. Gli operai rischiano così di rimanere senza lavoro: il 24 agosto è prevista la chiusura della società. Da qui la decisione di protestare salendo sulla torre.



Rimane una questioncella sulla quale bisognerà iniziare a rompere i coglioni:
perché bisogna salvare banche e fabbriche insieme ai loro padroni senza che nulla rimanga nelle nostre tasche? Non è il caso che si riprenda possesso con le buone o con le cattive di ciò che è nostro?

domenica 9 agosto 2009

Concorso: cosa scriveresti sulla lapide di...


SULLA LORO LAPIDE NESSUNO SCRIVERA' MAI:
CADUTI SUL LAVORO, I COMPAGNI E GLI ITALIANI TUTTI NE PIANGONO L'IMPROVVISA (MA PROVVIDA)DIPARTITA

COME MAI?

Partecipa anche tu al concorso: "cosa scriveresti sulla lapide di"
Al momento abbiamo trattato I-n-chino
I prossimi:
Berlusconi
Bondi
Treu
partecipate numerosi.

1° premio: un corso accelerato da killer professionista
2° premio: un corso di sopravvivenza su carro ponte a cura degli operai della INNSE per difendere un posto di lavoro
3° premio: il testo "come si mina una fabbrica se provano a licenziarti" a cura degli operai francesi



sabato 8 agosto 2009

Travolti da un insolito destino di normalizzazione

Domandona: è tornata la cavalleria in Kilombo? Per inciso questo blog è d'accordo con la sostanza della vignetta di Precariopoli, condividendone la speranza e cioè che il professor Ichino non si occupi di operai e passi (naturalmente) a miglior vita. Staremo meglio in tanti.

Caro Antonio,
dopo la segnalazione di alcuni Kilombisti, e a seguito delle proteste ricevute per il post dedicato al Prof. Ichino, la redazione ha deciso di avvisarti formalmente.
Nessuno ti vieta di pubblicare sul tuo blog quello che ritieni più opportuno però in virtù dell'art.10 della carta di Kilombo ti chiediamo, per il futuro, di evitare di aggregare sul nostro aggregatore dei post di questo tenore.
Certi di una tua comprensione,
La Redazione di Kilombo


Che aveva il mio post di tanto sconvolgente?
Il logo di confindustria?
Che ichino è del PD?

venerdì 7 agosto 2009

Una Katana per gli operai



C'è una nota blogger piddina che, nelle sue frequentazioni ansiogene fatte per "capire" tra camerieri che votano Berlusconi e fascisti palestrati illuminati ed attenti ai diritti dei gay,si dimentica di frequentare quelli che dovrebbero far parte della sua storia e del suo bacino elettorale. Aspettiamo con ansia che vada a parlarci con qualcuno di quelli che resistono sul carro ponte, ad Agosto, per difendere il diritto ad un lavoro di "merda" in mezzo a grasso ed olio.
Farà parte di quella classe dirigente che ha l'ambizione di governarci tutti.
Solo nei giorni feriali, però.
Insopportabili, fighetti avvitati su un mondo fatto di estetica e vuoto;privo di quella consistenza materiale che è la vita della gente.
Rimaniamo alla nuda cronaca e lasciamo a futura memoria qualche flash di ciò che è solo l'anticipo di ciò che può riservarci l'Autunno. Lo facciamo dando uno sguardo anche a ciò che accade in Corea; anche lì i "samurai" (come li ha definiti qualcuno) lottano.Ed allora affiliamo la Katana, compagni.


Da La Stampa
"Per quanto riguarda le loro condizioni, il funzionario Fiom spiega che «siamo sporchi da far schifo perché è da tre giorni che non ci laviamo e siamo in uno spazio molto stretto pieno di olio e di grasso dei macchinari, a venti metri di altezza, come una zattera distaccata dalla concretezza». Anche il caldo soffocante e il sole impietoso di questi giorni che batte sul tetto e sulle pareti in lamiera del capannone ha messo a dura prova la riuscita del blitz dei quattro operai, che al momento è servito a bloccare il lavoro di smontaggio dei sette giganteschi macchinari, già venduti da Silvano Genta."

Da www.operaicontro.it
Gli operai dell’INNSE sono in lotta da 15 mesi per difendere la loro vita.
Il partito della Lega Lombarda per 14 mesi e’ stato zitto ed ha girato alla larga
dalle decine di fabbriche che venivano chiuse in Lombardia.
A Bossi non importa niente degli operai e dei lavoratori ne di quelli Lombardi ne di
quelli del resto d’Italia. Bossi resta il capo dei bottegai Lombardi.
Il partito del PDL, il puttaniere piu famoso d’Italia, e’ da mesi impegnato a
svuotare i forzieri dello Stato.
Il Partito del PD ora per bocca di Franceschini dichiara che la lotta degli operai
dell’INNSE e’ condivisibile. I cadaveri dov’erano nei 15 mesi precedenti?
I sindacati non hanno fatto niente ne per gli operai dell’INNSE ne per gli operai
delle centinaia di fabbriche che hanno chiuso.
Gli operai dell’INNSE fanno paura ai borghesi.
Gli operai dell’INNSE hanno dimostrato che e’ possibile lottare contro i padroni.

Gli operai della fabbrica Ssangyong di Pyeongtaek, circa 70 km a sud di Seoul,
continuano ad occupare gli impianti da più di due mesi. La fabbrica, la quinta nel
paese nel settore automobilistico, ha dichiarato bancarotta ed ha avviato il
licenziamento di più di 2.600 operai. Un migliaio di loro, sostenuti dalle famiglie,
si sono quindi asserragliati negli impianti, rifiutando licenziamenti, precarietà e
delocalizzazione. Attualmente sono chiusi nell’impianto di verniciatura e stanno
resistendo a tutti gli attacchi di polizia e squadracce paramilitari.
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Senza retorica, si tratta di una lotta davvero eroica. Gli operai hanno dapprima
cercato di bloccare gli accessi con pneumatici incendiati, poi hanno risposto alle
cariche con mazze di ferro, molotov e bulloni sparati con fionde. All’interno
dell’edificio assediato dalla polizia non viene fatto entrare più nessuno: sono
bloccati i familiari con cibo e beni di prima necessità assieme al personale medico
che dovrebbe soccorrere i lavoratori. Nel frattempo vengono lanciate dai blindati e
dagli elicotteri grosse quantità di gas lacrimogeni di natura tossica. Parecchi
operai riportano grosse vesciche, escoriazioni, pericolose ferite agli occhi. È stata
tagliata anche l’acqua degli impianti antincendio, per cui non c’è alcuna possibilità
di sciacquare la pelle.
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Purtroppo la solidarietà degli altri lavoratori si limita ad alcuni episodi
sporadici, senza superare le indicazioni dei sindacati, assai limitate e ritardate.
Il 16 luglio, seguendo il sindacato KMWU, altri lavoratori hanno finalmente
manifestato davanti al municipio della città di Pyeongtaek. Ma la manifestazione era
limitata a circa 3 mila persone. Quando poi i lavoratori, in una assemblea
organizzata sul posto, hanno deciso di marciare verso la fabbrica, sono stati
bloccati dalla polizia che ha subito arrestato una ottantina di persone.

L’appello alla solidarietà dei lavoratori coreani è quanto mai urgente. Solo
l’allargamento della lotta e la sua generalizzazione ad altri settori della classe
operaia può dare vigore all’iniziativa coraggiosa degli operai della Ssangyong.
Meritano tutto il nostro sostegno!

giovedì 6 agosto 2009

Fioravanti e quei fascisti che rinnegano se stessi

Non voglio entrare nella diatriba sull'innocenza o meno di questo signore per il ruolo avuto nella strage di Bologna.
Su questo mi limito a linkare (nelle note) un po' di materiale che spero utile per fornire un quadro d'insieme della vicenda; lì potete trovare gli argomenti pro e contro.

Quello che lascio alle vostre considerazioni è la coerenza tra l'intervista rilasciata a Stella, quando con sua moglie era ancora in galera, ed il suo curriculum vitae.
Questi ci vengono a raccontare che sarebbero stati antifascisti durante l'ultimo conflitto, che le leggi razziali erano aberranti etc;dopo di che tra omicidi a freddo di compagni seduti su di una panchina e furti di armi con addebito alle B.R. delle relative azioni si formano quell'esperienza tipica dei tanti fascisti che hanno ammorbato l'aria di questo paese. Gente che ha una certa passione per l'arte del mimetismo; persone che possono sempre tornare utili alla bisogna.
Come quei poliziotti che si mischiano tra la folla, o si travestono da balck block ,per fare un lavoro sporco utile per reprimere i movimenti nel momento in cui manifestano una certa forza e sono protagonisti della scena.
Da questo punto di vista la storia che ci hanno raccontato è tutta da scrivere e decifrare; ma non siamo così ingenui da non capire quali padroni servono questi personaggi. E forse è proprio per quello che oggi stanno fuori.


Gli episodi criminosi più eclatanti



28 febbraio 1978. In piazza Don Bosco, a Roma, Fioravanti ed altri notano due ragazzi seduti su una panchina che dall’aspetto (capelli lunghi e giornali) identificano come appartenenti alla sinistra. Fioravanti scende dall’auto, si dirige verso il gruppetto e fa fuoco: Roberto Scialabba, 24 anni, cade a terra ferito e Fioravanti lo finisce con un colpo alla testa. Poi, si gira verso una ragazza che sta fuggendo urlando e le spara senza colpirla.


9 gennaio 1979. Fioravanti ed altre tre persone assaltano la sede romana di Radio città futura dove è in corso una trasmissione gestita da un gruppo femminista. I terroristi, dal volto travisato, fanno stendere le donne presenti sul pavimento e danno fuoco ai locali. L’incendio divampa e le impiegate, terrorizzate, tentano di fuggire. Sono raggiunte da colpi di mitra e pistola. Quattro rimangono ferite, di cui due gravemente.


7 marzo 1979. Per «festeggiare» l’8 marzo, un gruppetto di neofasciste, tra cui Mambro, piazzano una rudimentale bomba davanti alle finestre del Circolo culturale femminista nel quartiere Prati, a Roma. A pochi metri di distanza, Fioravanti ed altri sono lì, armati, pronti ad intervenire.


16 giugno 1979. Fioravanti guida l’assalto alla sezione comunista dell’Esquilino, a Roma. All’interno si stanno svolgendo due assemblee congiunte: di quartiere e dei ferrovieri. Sono presenti più di 50 persone. La squadra terrorista lancia due bombe a mano Srcm, poi scarica alla cieca un caricatore di revolver. Si contano 25 feriti, per puro caso non ci sono morti. Dario Pedretti, componente del Commando, verrà redarguito da Fioravanti perché, nonostante il ricco armamentario «non c’era scappato il morto». Che Fioravanti fosse colui che ha guidato il commando è accertato dalle testimonianze dei feriti e degli altri partecipanti all’azione, e da una sentenza passata in giudicato. Ciononostante, Fioravanti ha sempre negato questo suo pesante precedente stragista.


17 dicembre 1979. Fioravanti assieme ad altri vuole uccidere l’avvocato Giorgio Arcangeli, ritenuto responsabile della cattura di Pierluigi Concutelli, leader carismatico dell’eversione neofascista. Fioravanti non ha mai visto la vittima designata, ne conosce solo una sommaria descrizione. L’agguato viene teso sotto lo studio dell’avvocato, ma a perdere la vita è un inconsapevole geometra di 24 anni, Antonio Leandri, vittima di uno scambio di persona e colpevole di essersi voltato al grido "avvocato!" lanciato da Fioravanti.


6 febbraio 1980. Fioravanti uccide il poliziotto Maurizio Arnesano che ha solo 19 anni. Scopo dell’omicidio, impadronirsi del suo mitra M.12. Al sostituto procuratore di Roma, il 13 aprile 1981, Cristiano Fioravanti -fratello di Valerio- dichiarerà: «La mattina dell’omicidio Arnesano, Valerio mi disse che un poliziotto gli avrebbe dato un mitra; io, incredulo, chiesi a che prezzo ed egli mi rispose: "gratuitamente"; fece un sorriso ed io capii».


30 marzo 1980. Un commando di terroristi assalta il distretto militare di via Cesarotti a Padova. Un sergente viene ferito e vengono rubati 4 mitragliatori M.C, 5 fucili a ripetizione, pistole e proiettili. Sul muro della caserma, prima di andarsene, Mambro firma la rapina con la sigla BR per depistare le indagini.


23 giugno 1980. Fioravanti, Mambro e Cavallini uccidono a Roma il sostituto procuratore Mario Amato. Il magistrato, 36 anni, è appena uscito di casa; da due anni conduce le principali inchiesta sui movimenti eversivi di destra. Ha ereditato i fascicoli d’indagine dal giudice Vittorio Occorsio. Poco prima di essere assassinato aveva chiesto l’uso di un auto blindata. Gli fu negato. All’indomani dell’omicidio, i Nar telefonano ad un quotidiano e fanno ritrovare un volantino di rivendicazione che dice: «Oggi 23 giugno 1980 alle ore 8:05, abbiamo eseguito la sentenza di morte emanata contro il sostituto procuratore Mario Amato, per le cui mani passavano tutti i processi a carico dei camerati. Oggi egli ha chiuso la sua squallida esistenza imbottito di piombo. Altri, ancora, pagheranno». Amato aveva annunciato che le sue indagini lo stavano portando «alla visione di una verità d’assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori degli atti criminosi».


9 settembre 1980. Mambro e Fioravanti con Soderini, Vale e Cristiano Fioravanti, uccidono Francesco Mangiameli, dirigente di Terza Posizione in Sicilia e testimone scomodo in merito alla strage di Bologna (link all'omicidio Mangiameli).


5 febbraio 1981. Mambro e Fioravanti tendono un agguato a due carabinieri: Enea Codotto, 25 anni e Luigi Maronese, 23 anni. Dagli atti del processo è emerso che durante l’imboscata Fioravanti ha fatto finta di arrendersi. Poi ha gridato alla Mambro, nascosta dietro un’auto, «Spara, spara!».


31 luglio 1981. Nell’ambito di un regolamento di conti all’interno della destra eversiva viene ucciso Giuseppe De Luca. All’omicidio partecipa Mambro.


30 settembre 1981. Viene ucciso il ventitreenne Marco Pizzari, estremista di destra e intimo amico di Luigi Ciavardini, poiché ritenuto un "infame delatore". Del commando omicida fa parte Mambro.


21 ottobre 1981. Alcuni Nar, tra cui Mambro, tendono un agguato, a Roma, al capitano della Digos Francesco Straullu e all’agente Ciriaco Di Roma. I due vengono massacrati. L’efferatezza del crimine è racchiusa nelle parole del medico legale: «La morte di Straullu è stata causata dallo sfracellamento del capo e del massiccio facciale con spappolamento dell’encefalo; quello di Di Roma per la ferita a carico del capo con frattura del cranio e lesioni al cervello». Il capitano Straullu, 26 anni, aveva lavorato con grande impegno per smascherare i soldati dell’eversione nera. Nel 1981 ne aveva fatti arrestare 56. La mattina dell’agguato non aveva la solita auto blindata, in riparazione da due giorni.


5 marzo1982. Durante una rapina a Roma, Mambro uccide Alessandro Caravillani, 17 anni. Il ragazzo stava recandosi a scuola e passava di lì per caso. La sua morte suscita scalpore anche perché il giovane viene colpito alla testa con un colpo di pistola sparatogli a bruciapelo.


Corriere della Sera - 12 giugno 1994

"Loro al governo, noi all'ergastolo"

di Stella Gian Antonio



ROMA - "Ma guarda Teodoro... E Gianfranco... E Francesco...". Ogni volta che comincia un telegiornale, in un paio di celle di Rebibbia due bocche si spalancano con divertito stupore. Perchè a loro, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, marito e moglie, condannati a diversi ergastoli per diversi omicidi politici commessi durante la loro forsennata avventura contro tutto e tutti tra le file dei Nuclei armati rivoluzionari, la novità fa ancora un certo effetto. Quelli che adesso sono lì, al governo, a trattare di presidenze bicamerali e consigli d'amministrazione, sono proprio i ragazzi con cui sono cresciuti, tra volantini, sprangate, manifestazioni, lutti, passioni, alla federazione roma na del Fronte della Gioventù di via Sommacampagna. "Vedere Storace andare a discutere alla Rai è fantastico - sorride Fioravanti. Capirà, lo conosciamo da una vita. Insomma: noi ci siamo sparati e lui è lì a trattare sui direttori dei tiggì. Fantastico. Ed è giusto che sia così. Lui ha fatto una scelta, noi un'altra. Lui è al governo, noi in galera". C'era Er Pecora: "Il segretario era lui, Teodoro Buontempo - ricorda la Mambro - Magari uno un pò rozzo, ma anche una persona che a differenza di altri al partito dava davvero tutto, senza chiedere niente. Più vicino agli emarginati che chiunque altro. Generoso. Sempre disponibile". C'era Maurizio Gasparri, futuro sottosegretario agli Interni, che non piaceva troppo alle teste più calde perchè era figlio di un ufficiale dei carabinieri. Destra istituzionale, destra d'ordine. Legatissimo a Gianfranco Fini: "Non è giusto dire che portava la borsa a Fini - scherza Fioravanti - Lui gli portava il cestino fin da quando andavano all'asilo" . C'era Giovanni Alemanno, destinato a diventare pure lui deputato e che nel ricordo di Francesca è "un ragazzo che già allora cercava di capire le ragioni degli altri, di quelli della sinistra che la pensavano in modo diverso da noi". C'era Francesco Storace, fisico da torello, bicipiti d'acciaio e risata torrenziale, sul quale nessuno avrebbe mai scommesso che sarebbe diventato l'ariete scagliato contro il cavallo di viale Mazzini. E poi c'era lui, Gianfranco Fini. Cosa avete pensato, a vederlo vicino a Clinton? Mambro: "Mi sono sentita vecchia. Sa, come quei vecchi che sanno come va a finire la storia. Per noi Fini era l'istituzione. Il sistema. Eravamo contro tutti e dunque anche contro di lui. Lui lì era una prova in più che abbiamo sbagliato tutto". Fioravanti: "Fini è sempre stato un uomo prudente. Allora, in realtà, noi dicevamo che era un vile. Altri tempi. Oggi occorre riconoscere che, forse perchè è sempre stato lento a prendere le decisioni, come ha raccontato in un'intervista, è uno che ha fatto meno errori degli altri". Come maturò la vostra rottura? Fioravanti: "Il problema del Msi è che ha sempre seguito una linea reducista, revanscista, vittimista. Per cui è vero che nessuno dei suoi ha mai fatto politica per il potere. Ma molti dei giovani che chiedevano di fare politica, non solo di sventolare le bandiere e fare il saluto romano e attaccarsi alle croci runiche, se ne sono andati. Tanto è vero che adesso è sprovvisto di una vera classe dirigente". Mambro: "Mi sono sentita alla radio i discorsi dei missini alla Camera e al Senato. Valensise... Maceratini... Fini... Da non credere. Adesso sì, fanno politica. E finalmente l'hanno piantata con l'anticomunismo viscerale. Allora erano attaccati al revanscismo, al nostalgismo, a Mussolini, a tutti quei simboli... Noi volevamo fare politica e loro erano preoccupati solo di non perdere quelle sacche di voti che consentivano al partito di vivacchiare col quattro per cento. Sembravano paralizzati: la sinistra riusciva a fare politica anche se le Brigate Rosse sparavano e noi no. Era pazzesco". E così ve ne andaste alla deriva... Fioravanti: "Ci fu una fase in cui ci offrirono tutte le poltrone possibili e immaginabili, per far rientrare il nostro dissenso. Arrivarono al punto di offrire a Francesca, che aveva 18 anni, di entrare nel comitato centrale. La rottura arrivò dopo Acca Larentia, quando un ufficiale dei carabinieri sparò e uccise un ragazzo amico di Francesca. Beh, c'erano tutti : Almirante, Fini, tutti... Eppure l'unica che voleva denunciare i carabinieri era mia moglie. Una ragazzina. Al partito interessava di più il voto dei carabinieri che quello di noi ragazzi. E infatti, quando uscimmo, nei primi tempi la nostra motivazione principale era di punire il partito". Mai ipotizzata una "spedizione" contro Almirante o Fini? Fioravanti: "No. Ci ho ripensato, anni dopo. E mi sono chiesto come mai non ci pensammo. Strano, no? Andavamo a sparare ai poliziotti per "difendere l'onore della destra", per dimostrare che la destra non era legata ai servizi e alle stragi, e non abbiamo mai pensato di scaricare il nostro odio su quelli che odiavamo. "Fatto sta che nessuno si alzò mai per proporre una cosa simile". Non avete più cercato un contatto con i vostri ex camerati? Fioravanti: "No. Per orgoglio, forse. Ma non l'abbiamo fatto. Anche se con qualcuno restano rapporti affettivi. A noi non interessa che il Msi riconosca noi come figli degeneri. Possiamo farne a meno. Ma sarebbe importante per il Msi, riconoscerci. Fare i conti con la nostra storia, cominciata con il dissenso "dentro" il Msi. Così come noi, i figli degeneri, dovremmo smetterla di odiare i nostri genitori". Come la vedete, questa destra vincente? Mambro: "Beh, è una cosa strana. Abituati come eravamo ad essere i reietti della terra, quelli delle chiavi inglesi, dei volantinaggi... Eppure quello che mi muoveva verso destra era anche il fascino del perdente. Lo stare "contro"". Sotto il fascismo avrebbe fatto la partigiana? Mambro: "Forse sì. Probabilmente sì. Io riconosco l'autorità, non l'autoritarismo. La storia non si fa con i se. Ma certo alcune cose non mi piacciono. Le leggi razziali per me sono una cosa allucinante". Fioravanti: "Lo stesso vale per me. Anche la mia era una scelta "contro". Io non sono mai stato fascista. Mai. Sono stato un anti antifascista. Perchè mio padre, mia madre, mio fratello, il vecchietto che incontravo mentre portava a spasso il cane erano fascisti. Era il mio mondo e non accettavo che venisse confuso coi servizi segreti, le stragi, l'antisemitismo". Ma questo sfondamento della destra vi piace o no? Mambro: "Moltissimi di quelli che conoscevo e che frequentavo sono stati eletti. So che sono persone perbene. Spero che non deludano chi li ha votati". Fioravanti: "La cosa che più mi ha incuriosito è stato il fenomeno Berlusconi. Che ha dimostrato la vacuità della politica. Noi ci siamo scannati su Evola e su Trotzkji, ci siamo sprangati, ci siamo sparati e alla fine ecco che vincono le massaie. E stata una grande lezione di democrazia". Beh, questa... Fioravanti: "No, guardi: lo dico senza ironia. Perchè se ci sono venti milioni di massaie è giusto che le massaie mandino lì Berlusconi. Questa in fondo è la politica: dare più pane a più gente possibile. La battuta più stupida di Almirante è stata: il mio voto vale più di quello di un alcolizzato. Falso. Dico di più: adesso a me sta benissimo che sia così. Perchè la democrazia è questa". Ma voi siete ancora di destra? Mambro: "Ho una storia di destra, questo sì. E finalmente vedo che qualcuno comincia a sforzarsi di capire cosa è successo. Ma non so cosa voglia dire oggi, essere di destra o di sinistra. Meno male. Stiamo uscendo dagli schemi. Ho scoperto l'importanza di altri valori. Più personali. E a farmi voler bene anche da chi era molto lontano da me. Anzi, anche se alla destra abbiamo fatto perdere un pò di voti, spero che anche lì ci vogliano ancora un pò di bene. E che riescano a riconoscere una cosa: che in fondo, paradossalmente, siamo stati noi ad aprire un dialogo a sinistra, superando la cultura dell'odio.

NOTE:

martedì 4 agosto 2009

Battute flash

Qualche battuta rubata a mia sorella che vive a Roma

Lui- ammazza quanto sei brutta
Lei- e tu quanto sei ubriaco
Lui- seeeeee, però a me domani me passa


Lei- Fai palestra?
Lui- No, me chiamo Bartolo

lunedì 3 agosto 2009

Gli squali ed i lavoratori della INNSE


Guardatelo in faccia e se lo incontrate spiegategli qual'è la differenza tra un lavoratore che difende il suo posto ed uno squalo che fa a pezzi la vita degli altri.

Questo signore, l'attuale titolare della Innse, ha dichiarato questo:
< Agli operai sono stati pagati stipendi e liquidazione e oggi ci sono serie aziende italiane che aspettano di potere entrare in possesso dei macchinari che hanno acquistato, rischiando altrimenti di non sopravvivere sul mercato. Questa è la verità».

Per questa gente le aziende sono corpi inanimati in cui le macchine sono l'elemento che ne rappresenta l'unico valore degno di nota e salvaguardia.
Gli uomini sono scarti, devono rassegnarsi e morire.Queste sono le leggi del mercato.
La merda che ci circonda e che ha leggi, istituzioni e tutori dell'ordine che ne curano gli interessi, dovrebbe essere trattata come tale. Lavata via od utilizzata come concime.
Eppure sono lì.
Se non ci riprendiamo nelle mani un minimo di rappresentanza degno di questo nome cosa volete che rimanga a chi ha poco o niente per difendersi?
E non venite a farci la morale, poi. Eravate in tempo e non avete mosso un dito.

domenica 2 agosto 2009

Rivoluzione o riformismo

Qui si afferma questo:
Robert Eikmeyer: In your essays on Lenin, you claim that between February and October of 1917 Russia was the most democratic country in Europe. Perhaps this is why Lenin insisted that revolution was necessary.

Slavoj Žižek: I think that Lenin was correct in thinking that it could not last. It was magical between February and October of that year. But it was clear that sooner or later it was going to come to an end. For me, this is what defines a truly revolutionary situation. In a reformist situation you have to be realist. You can’t have it all. You fight for what you can. But sometimes the situation is such that you have to aim at more even to save the little bit of what you have. And I think that was true for Russia in 1917. It was a truly revolutionary situation.


p.s.

grazie a Maria per gli interessanti spunti di dibattito

sabato 1 agosto 2009

Siamo di fronte alla fine del neoliberismo?

di David Harvey (geografo, sociologo urbano e storico sociale marxista di reputazione accademica internazionale. Attualmente è Distinguished Professor al CUNY Graduate Center di New York. Il suo ultimo libro è Una breve storia del neoliberismo. Ha un blog più che raccomandabile: Reading Marx’s Capital blog)



Questa crisi segna la fine del neoliberismo? Io credo che dipenda da ciò che si intende per neoliberismo. Secondo me, il neoliberismo è stato un progetto di classe camuffato da una retorica proteiforme sulla libertà individuale, l’arbitrio, la responsabilità personale, la privatizzazione e il libero mercato. Ma questa retorica era solo un mezzo per restaurare e consolidare il potere di classe, e in questo senso il progetto neoliberista è stato un grande successo.



Uno dei principi basilari affermatisi negli anni 70 è che il potere dello Stato doveva proteggere a tutti i costi le istituzioni finanziarie. Questo principio fu messo in atto durante la crisi di New York della metà degli anni 70, ed è stato definito per la prima volta a livello internazionale nel 1982, quando sul Messico si profilava lo spettro della bancarotta. Ciò avrebbe distrutto le banche d’investimento newyorchesi, cosicché il Tesoro statunitense e il FMI hanno agito di comune accordo per il salvataggio del Messico. Ma, nel farlo, hanno imposto un programma d’austerità alla popolazione messicana. In altre parole, hanno protetto le banche e hanno distrutto il popolo; da allora la pratica normale del FMI non è cambiata. L’attuale salvataggio è la solita vecchia storia, ma riprodotta su scala gigante.



Negli Usa è successo che 8 uomini ci hanno consegnato un documento di 3 pagine, a mo’ di pistola puntata contro noi tutti: “Dateci 700 mila milioni di dollari, e non se ne parli più”. Secondo me, si è trattato di una sorta di golpe finanziario contro lo Stato e contro la popolazione nordamericana. Ciò significa che non si uscirà da questa crisi con una crisi della classe capitalista: se ne uscirà con un consolidamento sempre maggiore di questa stessa classe. Andrà a finire che negli Usa ci saranno 4 o 5 grandi enti finanziari, e basta. Molti, a Wall Street, già adesso stanno prosperando. Lazard’s, per la sua specializzazione in fusioni e acquisizioni, sta guadagnando soldi a palate. Alcuni non sfuggiranno all’incendio, ma dovunque ci sarà un consolidamento del potere finanziario. Andrew Mellon – banchiere nordamericano, segretario del Tesoro nel 1921-32 – ha splendidamente affermato che, in una crisi, gli attivi finiscono sempre per ritornare ai loro legittimi proprietari. Una crisi finanziaria è un modo per razionalizzare l’irrazionale: ad esempio, l’immenso crac asiatico del 1997-8 è sfociato in un nuovo modello di sviluppo capitalista. I grandi mutamenti portano a una riconfigurazione, a una forma nuova di potere di classe. Politicamente parlando, potrebbe andare a finire male. Il salvataggio bancario ha suscitato resistenze al Senato e altrove, per cui è possibile che la classe politica non si allinei tanto facilmente: i politici possono porre ostacoli sul cammino, ma, finora, hanno ingoiato il rospo e non hanno nazionalizzato le banche.



Tuttavia, i fatti recenti potrebbero portare ad una lotta politica di maggior spessore: si percepisce una vigorosa resistenza a conferire maggior potere a quelli che ci hanno messo in questo pasticcio. La scelta del team economico di Obama viene messa in questione; ad esempio, Larry Summers, che era segretario del Tesoro nel momento cruciale in cui molte cose hanno cominciato ad andar male davvero, alla fine dell’amministrazione Clinton. Perché conferire incarichi a tanti personaggi favorevoli a Wall Street, al capitale finanziario, che hanno reintrodotto il predominio del capitale finanziario? Questo non vuol dire che essi non riprogetteranno l’architettura finanziaria, perché sanno che la modifica è inevitabile, ma la domanda è: a favore di chi la riprogetteranno? La gente è davvero scontenta del team economico di Obama; e anche il grosso della stampa.



Occorre una nuova forma di architettura finanziaria. Io non credo che vadano abolite tutte le istituzioni esistenti; certamente non la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), né il FMI. Credo che noi abbiamo bisogno di queste istituzioni, ma che esse debbano essere radicalmente trasformate. La questione capitale è: chi le controllerà e quale sarà la loro architettura. Avremo bisogno di persone, di esperti che capiscano il modo in cui tali istituzioni funzionano e possono funzionare. E questo è assai pericoloso, perché, come possiamo vedere proprio adesso, quando lo Stato cerca qualcuno che capisca quanto sta succedendo, di solito guarda a Wall Street.



Un movimento operaio inerme: siamo arrivati a questi punti.



Che si possa uscire da questa crisi percorrendo altre strade dipende, e molto, dai rapporti di forza tra le classi sociali. Dipende da fino a che punto l’insieme della popolazione dirà: “Ora basta, ora bisogna cambiare il sistema!”. Adesso, esaminando a posteriori che ne è stato dei lavoratori negli ultimi 50 anni, si può vedere che da questo sistema essi non hanno ottenuto praticamente niente. Ma non si sono ribellati. Negli Usa, negli ultimi 7 o 8 anni, la condizione delle classi lavoratrici in generale è peggiorata, ma non c’è stato un massiccio movimento di resistenza. Il capitalismo finanziario può sopravvivere alla crisi, ma questo dipende totalmente dal fatto che si verifichi una ribellione popolare contro quello che sta succedendo e che ci sia un attacco violento, mirato a riconfigurare le modalità di funzionamento dell’economia.



Uno dei maggiori ostacoli posti sul cammino dell’accumulo continuo di capitali, negli anni 60 e agli inizi degli anni 70, è stato il fattore lavoro. In Europa come negli Usa c’era scarsità di manodopera e il mondo del lavoro era ben organizzato, con una sua influenza politica. Cosicché, in quel periodo, uno dei grandi problemi era: come può il capitale riuscire ad accedere a forze lavoro più docili e a buon mercato? Esistevano varie risposte. Una passava attraverso l’incremento dell’immigrazione. Negli Usa, nel 1965, ci fu una radicale revisione delle leggi migratorie, col che si consentì l’accesso a tutta la popolazione mondiale eccedente (in precedenza, veniva favorita soltanto l’immigrazione di caucasici e europei). Alla fine degli anni 60, il governo francese dava sussidi per l’importazione di manodopera magrebina, i tedeschi attiravano i turchi, gli svedesi importavano yugoslavi e i britannici attingevano dal proprio impero. Così fece la sua comparsa una politica pro-immigrazione, il che era un modo di combattere il problema.



Un altro metodo è stata la rapida trasformazione tecnologica, che estromette la gente dal lavoro, e, in mancanza di essa, per schiacciare il movimento operaio organizzato c’erano pronti personaggi come Reagan, la Thatcher e Pinochet. Infine, tramite la dislocazione, il capitale si sposta dove c’è eccedenza di manodopera. Il che è stato facilitato da due fattori. In primo luogo, la riorganizzazione tecnica dei sistemi di trasporto: una delle maggiori rivoluzioni avvenute durante quel periodo è quella dei containers, che rendevano possibile fabbricare parti di automobili in Brasile e di imbarcarle a basso costo per Detroit, o per qualsiasi altra destinazione. In secondo luogo, i nuovi sistemi di comunicazione hanno consentito un’organizzazione ottimale del tempo della produzione a catena delle merci, a livello globale.



Tutti questi sistemi si indirizzavano a risolvere il problema della scarsità di manodopera a favore del capitale, con la conseguenza che verso il 1985 il capitale ormai non aveva più problemi al riguardo. Ci potevano essere problemi specifici in zone particolari, ma, globalmente, esso aveva a disposizione abbondante forza lavoro; l’improvviso crollo dell’Unione Sovietica e la trasformazione di gran parte della Cina, nel breve spazio di 20 anni, hanno aggiunto al proletariato globale circa 2 miliardi di persone. Dunque, la disponibilità di forza lavoro oggi non rappresenta più un problema, e il risultato è che negli ultimi 30 anni il mondo del lavoro è rimasto sempre più indifeso. Ma quando i lavoratori sono inermi, ricevono salari bassi e c’è impegno a contenere i salari, questo finisce per limitare i mercati. Di conseguenza, il capitale ha cominciato ad avere problemi con i propri mercati. E ci sono volute due cose.



Prima cosa necessaria: per porre rimedio alla crescente divaricazione tra i redditi e le spese dei lavoratori, è venuta di moda l’industria delle carte di credito, che ha portato a un indebitamento sempre maggiore delle famiglie. Così, negli Usa del 1980, vediamo che il debito medio delle famiglie si aggirava sui 40.000 dollari (costanti), mentre ora è di circa 130.000 dollari (costanti) a famiglia, ipoteche incluse. Il debito delle famiglie è esploso, e questo ci porta alla finanziarizzazione, la quale ha a che vedere con alcune istituzioni finanziarie lanciatesi a sostenere i debiti delle famiglie dei lavoratori, i cui introiti hanno smesso di crescere. E, partendo dalla rispettabile classe lavoratrice, più o meno verso il 2000 finisci col trovare già in circolazione ipoteche subprime. Cerchi di creare un mercato. Di modo che gli enti finanziari si azzardano a sostenere il finanziamento di debiti di persone praticamente senza introiti. Anzi, se non si agisse così, che ne sarebbe dei promotori immobiliari che hanno costruito abitazioni? Dunque si è agito così, e si è cercato di stabilizzare il mercato finanziando l’indebitamento.



La crisi dei valori degli attivi



La seconda cosa necessaria è che, dal 1980, i ricchi diventassero sempre più ricchi con il contenimento dei salari. La storia che ci hanno raccontato è che avrebbero investito in nuove attività, ma non l’hanno fatto; la maggior parte dei ricchi ha cominciato a investire in attivi, cioè, hanno investito denaro in Borsa. Così si sono prodotte le bolle sui mercati dei valori. Si tratta di un sistema analogo al sistema di Ponzi, ma senza il bisogno di un Madoff per organizzarlo. I ricchi rilanciano su valori di attivi, incluse azioni, proprietà immobiliari e beni voluttuari, e sul mercato dell’arte. Questi investimenti comportano finanziarizzazione. Ma, man mano che si investe su valori di attivi, ciò si ripercuote sull’insieme dell’economia, per cui vivere a Manhattan è diventato impossibile, a meno di non indebitarsi incredibilmente, e tutti si trovano impelagati in quest’inflazione dei valori degli attivi, comprese le classi lavoratrici, i cui introiti non aumentano. E allora, ci troviamo di fronte a un tracollo dei valori degli attivi; il mercato immobiliario crolla, il mercato dei valori crolla.



E’ sempre esistito il problema del rapporto tra rappresentazione e realtà. Il debito ha a che vedere con il valore futuro che si prevede per beni e servizi, cosicché presuppone che l’economia continui a crescere nei 20-30 anni successivi. Comporta sempre un elemento di rischio, una tacita alea, che va a riflettersi sui tassi d’interesse, che verranno scontati. Questa crescita dell’area finanziaria dopo gli anni 70 ha molto a che vedere con quello che io credo sia il problema chiave: quello che chiamerei il problema dell’assorbimento delle eccedenze di capitali. Come la teoria delle eccedenze ci insegna, i capitalisti producono un’eccedenza, che devono dominare, ricapitalizzare e reinvestire per espandersi. Questo significa che devono sempre trovare qualche campo per espandersi. In un articolo che ho scritto per la New Left Review, ‘Il diritto alla città’, segnalavo che negli ultimi 30 anni un immenso volume di eccedenze di capitale è stato assorbito dall’urbanizzazione: per la ristrutturazione, l’espansione e la speculazione urbane. Tutte ed ognuna delle città che ho visitato hanno realizzato costruzioni su enormi aree atte ad assorbire l’eccedenza di capitali. Adesso, neanche a dirlo, molti di questi progetti sono rimasti in sospeso.



Questo sistema di assorbire le eccedenze di capitali col tempo è diventato sempre più problematico. Nel 1950, il valore totale dei beni e dei servizi prodotti si aggirava sui 135 mila milioni di dollari (costanti). Fino al 1950, era di 4 milioni di milioni di dollari. Nel 2000, si avvicinava ai 40 milioni di milioni, ora è intorno ai 50 milioni di milioni. E, se Gordon Brown non erra, nei prossimi 20 anni raddoppierà fino a raggiungere i 100 milioni di milioni nel 2030.



Nel corso della storia del capitalismo, il tasso di crescita medio generale si è aggirato sul 2,5% annuo, su base composta. Questo significherebbe che nel 2030 si dovrebbero piazzare in maniera redditizia 2,5 milioni di milioni di dollari. E’ un ordine di grandezza molto elevato. Io credo che sia stato un grosso problema, soprattutto a partire dal 1970, trovare un modo per assorbire nella produzione reale volumi sempre maggiori di eccedenze. Solo una parte sempre più piccola va a finire alla produzione reale, e una parte sempre più grande viene destinata alla speculazione in valori di attivi, cosa che spiega la frequenza e la profondità crescenti delle crisi finanziarie a cui stiamo assistendo, più o meno, dal 1975. Si tratta sempre di crisi di valori di attivi.



Io direi che, se uscissimo adesso dalla crisi, e ci fosse un accumulo di capitale con un tasso di crescita annuale del 3%, verremmo a trovarci in un mare di terribili problemi. Il capitalismo si trova di fronte a serie limitazioni ambientali, come pure a limitazioni di mercato e di redditività. La svolta recente verso la finanziarizzazione è una svolta imposta dalla necessità di lottare contro un problema di assorbimento delle eccedenze; un problema, però, che non si può affrontare senza esporsi a svalutazioni periodiche. E’ proprio quello che sta succedendo adesso, con perdite di svariati miliardi di dollari di valori di attivi.



Il termine ‘salvataggio nazionale’ è, dunque, inappropriato, perché non si sta salvando l’insieme del sistema finanziario esistente, ma si stanno salvando le banche, la classe capitalista, col perdonare loro debiti e trasgressioni. E si stanno salvando solo quelle. Il denaro fluisce alle banche, ma non alle famiglie che, tramite le ipoteche, vengono ‘giustiziate’, cosa che sta cominciando a provocare malcontento. E le banche usano questo denaro non per prestarlo, ma per acquistare altre banche. Stanno consolidando il proprio potere di classe.



Il collasso del credito



Il collasso del credito alla classe lavoratrice mette fine alla finanziarizzazione come soluzione della crisi del mercato. Di conseguenza, assisteremo ad un’importante crisi di disoccupazione, al collasso di molte industrie, a meno che non venga intrapresa un’azione efficace per cambiare il corso delle cose. E a questo punto si sviluppa la discussione sul ritorno ad un modello economico keynesiano. Il programma economico di Obama consiste nell’investire massicciamente in grandi opere pubbliche e tecnologie verdi, tornando in un certo senso al tipo di soluzione del New Deal. Io sono scettico riguardo alla sua capacità di riuscita.



Per capire la situazione attuale, dobbiamo andare oltre quello che accade nel processo del lavoro e della produzione, dobbiamo entrare nel complesso di relazioni tra lo Stato e le finanze. Dobbiamo capire il modo in cui il debito nazionale e il sistema creditizio, fin dall’inizio, sono stati veicoli fondamentali per l’accumulazione primitiva, o per quello che io chiamo accumulazione attraverso esproprio (come può vedersi nel settore delle costruzioni). Ne ‘Il diritto alla città’ facevo osservare il modo in cui il capitalismo era stato rivitalizzato nella Parigi del Secondo Impero: lo Stato, d’intesa con i banchieri, mise in atto un nuovo legame Stato-capitale finanziario, con lo scopo di ricostruire Parigi. Ciò produsse pieno impiego, i boulevards, i sistemi di erogazione dell’acqua corrente e quelli di canalizzazione degli scarichi liquidi, e nuovi sistemi di trasporto; grazie allo stesso tipo di meccanismo venne anche costruito il Canale di Suez. Gran parte di tutto questo fu finanziato tramite debiti. Ora, dal 1970 questo legame Stato-finanze sta sperimentando un’enorme trasformazione: si è internazionalizzato, si è aperto ad ogni genere d’innovazione finanziaria, compresi i mercati di derivati e i mercati speculativi, ecc. Si è creata una nuova architettura finanziaria.



Io, personalmente, credo che adesso stiano cercando una nuova forma di sistema finanziario che possa risolvere il problema, non per il popolo dei lavoratori, ma per la classe capitalista. Secondo me, sono sulla buona strada per trovare una soluzione favorevole alla classe capitalista, e se tutti noialtri ne subiamo le conseguenze, beh, che ci si può fare? L’unica cosa che li preoccupa, riguardo a noi, è che non ci ribelliamo. E mentre aspettiamo a ribellarci, cercano di progettare un sistema in accordo con i propri interessi di classe. Non so come sarà questa nuova architettura finanziaria. Se si osserva attentamente quanto accaduto a New York durante la crisi fiscale, si vedrà che i banchieri e i finanzieri non avevano la minima idea del da farsi; quello che hanno fatto alla fine è stata una specie di patchwork a tentativi, un pezzo qui, un pezzo là; poi hanno messo insieme i frammenti in modo nuovo, e hanno finito per costruire una nuova struttura. Ma qualunque sia la soluzione a cui arriveranno, sarà a misura loro, a meno che noi non ci impuntiamo e non cominciamo a esigere qualcosa a misura nostra. Le persone come noi possono svolgere un ruolo cruciale nella fase di porre questioni e di sfidare la legittimità delle decisioni che proprio adesso si stanno prendendo. E anche – chiaramente - nella fase di realizzare analisi precise della vera natura del problema e delle possibili soluzioni da offrire rispetto ad esso.



Alternative



Abbiamo bisogno di cominciare ad esercitare di fatto il nostro diritto alla città. Dobbiamo chiederci cosa sia più importante, se il valore delle banche o il valore dell’umanità. Il sistema bancario dovrebbe servire la gente, non vivere a spese della gente. E l’unica maniera in cui saremo in grado di esercitare il diritto alla città è prendendo in mano le redini del problema dell’assorbimento delle eccedenze capitaliste. Dobbiamo socializzare le eccedenze dei capitale, e sfuggire per sempre al problema del 3% di accumulo. Ora ci troviamo ad un punto in cui continuare all’infinito con un tasso di crescita del 3% comporterà costi ambientali così terribili, e una pressione sulle condizioni sociali così tremenda, che finiremo con una crisi finanziaria dopo l’altra.



Il problema centrale è come possano assorbirsi in modo produttivo e redditizio le eccedenze capitalistiche. Secondo me, i movimenti sociali devono coalizzarsi intorno all’idea di ottenere un maggior controllo sul prodotto eccedente. E sebbene io non sostenga un ritorno al modello keynesiano del tipo che avevamo negli anni 60, mi sembra fuor di dubbio che a quei tempi esisteva un controllo sociale e politico molto maggiore sulla produzione, l’uso e la distribuzione delle eccedenze. Le eccedenze in circolazione venivano dirottate sulla costruzione di scuole, ospedali e infrastrutture. Questo ha fatto uscire dalla tana la classe dominante e ha causato un contromovimento alla fine degli anni 60: i capitalisti non avevano più il controllo delle eccedenze. Tuttavia, se si considerano i dati disponibili, si vede che la proporzione di eccedenze assorbite dallo Stato non è variata molto dal 1970; cioè, quello che ha fatto la classe capitalista è stato di frenare un’ulteriore socializzazione delle eccedenze. Sono anche riusciti a trasformare la parola ‘governo’ nella parola ‘governance’, rendendo vicendevolmente permeabili le attività di governo e quelle delle imprese, il che consente il prodursi di situazioni come quella dell’Iraq, dove mediatori privati hanno munto implacabilmente le mammelle del beneficio facile.



Credo che siamo approdati ad una crisi di legittimità. Negli scorsi 30 anni, si è ripetuta diverse volte la boutade (frase brillante) di Margaret Thatcher, secondo la quale ‘non c’è alternativa’ a un mercato libero neoliberista, a un mondo privatizzato, e se in questo tipo di mondo non abbiamo successo, è per colpa nostra. Io credo che sia molto difficile sostenere che, di fronte ad una crisi fatta di esecuzioni ipotecarie e di sfratti immobiliari, si debbano aiutare le banche e non le persone che perdono la casa. Si possono accusare gli sfrattati di essere degli irresponsabili, e negli Stati Uniti in quest’accusa non manca una componente fortemente razzista. Quando la prima onda di esecuzioni ipotecarie ha colpito zone come Cleveland e Ohio, è risultata devastante per le comunità nere, ma la reazione di alcuni è stata più o meno la seguente: ‘Beh, cosa vi aspettavate? I negri sono gente irresponsabile’. Le spiegazioni della crisi predilette dalla destra sono in termini di brama personale, tanto nel suo agire a Wall Street, quanto nel suo comportamento verso la gente che ha chiesto prestiti per comprarsi una casa. Quello che cercano, è di scaricare la colpa della crisi sulle sue vittime. Uno dei nostri compiti consiste nel dire: ‘No, questo non si può assolutamente fare’, e poi cercare di offrire una spiegazione convincente di questa crisi come un fenomeno di classe: una determinata struttura di sfruttamento è colata a picco e sta per essere rimpiazzata da una struttura di sfruttamento ancora più radicale. E’ molto importante che questa spiegazione alternativa della crisi venga presentata e discussa pubblicamente.



Una delle grandi configurazioni ideologiche in via di formazione riguarda il ruolo che in futuro dovrà avere la proprietà della casa; cominciamo una buona volta a dire che occorre socializzare gran parte del patrimonio abitativo, visto che fin dagli anni 30 abbiamo avuto enormi pressioni a favore della casa individualizzata per garantire i diritti e le condizioni della gente. Dobbiamo socializzare e ricapitalizzare l’educazione e l’assistenza sanitaria pubbliche, oltre a provvedere alle case. Questi settori dell’economia devono essere socializzati, in accordo con le banche.






C’è un altro punto che dobbiamo riconsiderare: il lavoro, e soprattutto il lavoro organizzato, è solo un piccolo frammento di questo insieme di problemi, e riveste soltanto un ruolo parziale in quello che sta accadendo. E questo per una ragione molto semplice, che risale alle limitazioni delineate da Marx al momento di definire il problema. Se affermiamo che la formazione del complesso Stato-finanze è assolutamente cruciale per la dinamica del capitalismo (e, ovviamente, lo è), e se ci chiediamo che cosa le forze sociali facciano al fine di arginare o di promuovere queste formazioni istituzionali, bisogna riconoscere che i lavoratori non sono mai stati in prima linea in questa lotta. I lavoratori sono stati in prima linea nel mercato del lavoro e nel processo di lavoro, entrambi momenti vitali del processo di circolazione, ma il grosso delle lotte che si sono svolte attorno al legame Stato-finanze sono state lotte populiste, in cui i lavoratori sono stati presenti solo in parte.



Ad esempio, negli Usa degli anni 30 c’erano un sacco di populisti che sostenevano gli assaltatori di banche Bonnie e Clyde. E, attualmente, molte delle lotte in corso in America Latina hanno una direzione più populista che operaia. I lavoratori hanno sempre avuto un ruolo molto importante, ma non credo che ora ci troviamo in una situazione in cui la visione convenzionale del proletariato come avanguardia della lotta sia di grande aiuto, quando il punto principale è l’architettura del legame Stato-finanze (il sistema nervoso centrale dell’accumulazione di capitale). Ci possono essere epoche e luoghi in cui i movimenti proletari risultano di grande importanza, ad esempio in Cina, dove mi auguro possano avere, criticamente, un ruolo decisivo che invece non vedo nel nostro Paese. La cosa interessante è che i lavoratori dell’automobile e le compagnie automobilistiche sono attualmente alleati di fronte al legame Stato-finanze, cosicché ora a Detroit non c’è, o perlomeno non nella stessa maniera, la forte divisione di classe che c’è sempre stata. Ora assistiamo a un tipo completamente diverso di politica di classe, e alcune delle forme marxiste convenzionali di considerare i problemi contrastano con la realizzazione di una politica veramente radicale.



Un grande problema della sinistra è anche il seguente: molti pensano che la conquista del potere statale non abbia nessun ruolo nelle trasformazioni politiche. Credo che siano dei folli. Nello Stato è radicato un potere incredibile, e non si può prescindere dallo Stato come se esso non avesse importanza. Sono profondamente scettico rispetto alla convinzione secondo cui le ONG e le organizzazioni della società civile stanno trasformando il mondo; non perché le ONG non possano fare nulla, ma perché, se vogliamo fare qualcosa di fronte alla crisi di enorme portata attualmente in corso, si richiede un altro tipo di concezione e un altro tipo di movimento politico. Negli Usa, l’istinto politico è molto anarchico, e quantunque io abbia simpatia per diversi punti di vista anarchici, le inveterate proteste contro lo Stato e il rifiuto di servirsene costituiscono un altro ostacolo sul cammino.



Non credo che, nell’attuale congiuntura, ci troviamo in una posizione che ci consenta di determinare quali saranno i fattori di cambiamento, ed è evidente che questi fattori saranno diversi nelle diverse parti del mondo. Ora, negli Usa, ci sono segnali che la classe degli executives e dei gestori d’impresa, che per tutti questi anni hanno vissuto degli introiti provenienti dal capitale finanziario, si sono stufati e quindi potrebbero radicalizzarsi abbastanza. Molta gente è stata licenziata dai servizi finanziari, e in certi casi sono arrivati ad assistere all’esecuzione delle loro ipoteche. I produttori culturali stanno prendendo coscienza della natura dei problemi a cui ci troviamo di fronte, e, così come negli anni 60 le scuole d’arte si erano trasformate in centri di radicalismo politico, non bisogna escludere che qualcosa d’analogo si ripresenti ora. Si potrebbe assistere allo sviluppo di organizzazioni transnazionali, man mano che le riduzioni nelle rimesse di denaro arriveranno ad estendere la crisi a posti come il Messico rurale o il Kerala.



I movimenti sociali devono definire che tipo di strategie e di politiche vogliono sviluppare. Noi accademici non dovremmo mai vedere noi stessi nel ruolo di missionari dei movimenti sociali; quello che dovremmo fare è aprire un dialogo e discutere insieme sulla visione della natura del problema.



Detto questo, mi piacerebbe proporre qualche idea. Un’idea interessante ora negli Usa è che i governi municipali approvino delle ordinanze anti-sfratto. Credo che ci siano molti posti in Francia dove la cosa è già stata fatta. Allora potremmo mettere su un’impresa municipale delle abitazioni che si assumesse le ipoteche e restituisse alle banche la maggior parte del debito, rinegoziando gli interessi, perché le banche hanno ricevuto un mare di soldi, questo è certo, per utilizzarli, sebbene in realtà non lo facciano.



Un altro problema chiave è quello della cittadinanza e dei diritti. Credo che i diritti alla città dovrebbero essere garantiti da una residenza, indipendentemente da che cittadinanza o da che nazionalità si abbia. Attualmente, si sta negando alla gente qualsiasi diritto politico alla città, a meno che non abbiano la cittadinanza. Se sei immigrante, non hai diritti. Credo che si debbano fare lotte sui diritti alla città. Nella Costituzione brasiliana c’è una clausola di ‘diritti alla città’ che riguarda i diritti di consultazione, di partecipazione e quanto si riferisce alle prospettive. Credo che tutto questo potrebbe essere una politica.



Riconfigurazione dell’urbanizzazione



Negli Usa ci sono possibilità di lavorare su scala locale, dove esiste una larga tradizione a proposito di questioni ambientali, e negli ultimi 15-20 anni i governi municipali spesso sono stati più progressisti del governo federale. Ora le finanze municipali sono in crisi, e verosimilmente a Obama verranno rivolte proteste e pressioni affinché aiuti a ricapitalizzare i governi municipali (cosa che compare nel pacchetto di aiuti). Obama ha affermato che questa è una delle cose che lo preoccupano maggiormente, soprattutto perché molto di quanto sta accadendo si svolge a livello locale; per esempio, la crisi ipotecaria subprime. Come sostenevo, le esecuzioni ipotecarie e gli sfratti vanno intesi come crisi urbana, non come crisi finanziaria: è una crisi finanziaria dell’urbanizzazione.



Un altro punto importante è pensare politicamente al modo di trasformare in componente strategica un qualche tipo di alleanza tra l’economia sociale e il mondo del lavoro e i movimenti municipali come il diritto alla città. Questo ha a che vedere con la questione dello sviluppo tecnologico. Per esempio: non vedo nessuna ragione per non avere un sistema municipale di appoggio allo sviluppo di sistemi produttivi come l’energia solare, al fine di creare apparati e possibilità più decentrate d’impiego.



Se dovessi io sviluppare ora un sistema ideale, direi che negli Usa dovremmo creare una banca nazionale per il ri-sviluppo e, dei 700 mila milioni che sono stati approvati, destinarne 500 mila affinché questa banca lavorasse con le strutture municipali per aiutare i vicini colpiti dall’ondata di sfratti. Perché gli sfratti sono stati una specie di Katrina finanziario sotto molti punti di vista: hanno spazzato via intere comunità, di solito comunità povere nere o ispaniche. Ebbene, dovremmo andare in questi quartieri e restituirli alla gente che ci viveva, ma ricollocandoli su altra base, con diritti di residenza, e con un diverso tipo di finanziamento. E bisogna rendere verdi questi quartieri, creandovi opportunità locali d’impiego.



Poi posso immaginare una riconfigurazione dell’urbanizzazione. Per fare qualcosa in materia di riscaldamento globale, dobbiamo riconfigurare completamente il funzionamento delle città nordamericane; pensare a modelli del tutto nuovi di urbanizzazione, a nuove forme di vita e di lavoro. C’è un mucchio di possibilità a cui la sinistra dovrebbe prestare attenzione; abbiamo delle opportunità reali. E qui io ho un vero problema con alcuni marxisti che sembrano pensare: ‘Sì sì, è una crisi, e le contraddizioni del capitalismo finiranno per risolversi, in un modo o nell’altro!’. Questo non è un momento per i trionfalismi, è il momento di farsi delle domande e di porsi dei problemi. Per ora, credo che il modo in cui Marx ha delineato le cose non sia esente da difficoltà. I marxisti non capiscono bene il complesso Stato-finanze dell’urbanizzazione, sono terribilmente duri a capirlo. Ma ora dobbiamo ripensare la nostra posizione teorica e le nostre possibilità politiche.



E cioè, oltre all’azione pratica, bisogna ricominciare a riflettere teoricamente su molte cose.



www.counterpunch.org Kate Ferguson e Mary Livingstone hanno trascritto e pubblicat

o questa conferenza dello stesso.