lunedì 30 novembre 2009

venerdì 27 novembre 2009

Il nuovo sciopero della fame di Kassim Britel

Kassim Britel: Nuovo sciopero della fame nel carcere di Oukasha a pochi giorni dalla Festa del Sacrificio

Ieri mattina presto nel reparto dei detenuti islamici si è svolta una perquisizione umiliante e del tutto immotivata, che ha portato alla confisca di oggetti utili, soprattutto per cucinare, e di proprietà dei detenuti stessi. I fratelli provvedono da soli alla preparazione di un pasto in comune al giorno, condividendo quanto portato dalle famiglie nella visita settimanale, per questo si sono dotati del minimo indispensabile dato che nulla viene fornito dal carcere.
Le celle ed il reparto che i fratelli mantengono puliti e in ordine erano in condizioni pietose.
Mentre gli agenti se ne andavano con il loro ricco bottino di tajine, i fratelli decidevano di entrare immediatamente in sciopero della fame e diffondevano il comunicato che segue in una traduzione casalinga.

Le sofferenze dei detenuti islamici non sono sufficienti? O meglio non guariscono i cuori di alcune persone che si sono spogliate di ogni umanità con precedenti vergognosi.
Pochi giorni prima della festa di 'Aid il Direttore del carcere di Oukasha ha predisposto un'ispezione provocatoria ed umiliante per i detenuti islamici che sono stati privati di oggetti di loro proprietà con insulti e minacce. Uno è stato portato nella segreta.
Abbiamo chiesto spiegazioni sull'accaduto. Ci è stato risposto che il motivo sono i contatti con le Associazioni dei Diritti Umani e la presentazione di reclami e denunce ufficiali.
Per l'azione di questo Direttore siamo costretti ad uno sciopero della fame aperto da oggi martedì 24 novembre.
Rinnoviamo la nostra lamentela per coloro che sono interessati a muoversi per riportare il Direttore nei limiti della sua funzione e far cessare l'ingiustizia che spesso ci colpisce da parte sua.
Fra le provocazioni nel carcere di Oukasha:
- chiudere celle vuote per creare sovraffollamento nel reparto,
- nessuna provvista alimentare
- impedire ai detenuti di usufruire della formazione professionale
- impedire agli studenti universitari di usufruire di strumenti informatici
- vietare l'ingresso di libri e riviste
- vietare l'ingresso di alcuni cibi essenziali,
- ....
Al momento i detenuti islamici in sciopero della fame sono 27.
Oukasha, 24 novembre 2009

fonte: la moglie di Kassim

martedì 24 novembre 2009

Quando la precarietà dipende dai santi in paradiso

Copio una mail ticevuta da una compagna nella quale si descrive la situazione che ha come oggetto la stabilizzazione di alcune insegnanti precarie. Come potete leggere sembra che in Italia la questione vale solo se sei un insegnante di religione. Ma come mai?
L'altra domanda è: come si comporteranno i laici del PD? Ed i fustigatori della morale dell'IDV?



Insegnanti di religione assunte nelle scuole materne comunali: un pateracchio all'italiana

Nonostante le voci di dissenso delle settimane scorse da parte di diversi soggetti sociali e politici (Coordinamento Nidi e Materne, COOGEN, Consulta Torinese per la laicità delle Istituzioni, Rete Deportatimaipiu, Cobas, consiglieri comunali di Prc e Sinistra Democratica), la Giunta e i
sindacati hanno siglato un accordo per fare un concorso che stabilizzerà 31 insegnanti di religione delle scuole materne di Torino nella figura di insegnanti di Attività Integrative o di sostegno.
Le pressioni della Curia, della Cisl e dei consiglieri teodem sono dunque state più forti e si è trovato "l'inghippo" per consentire le assunzioni.

L'assessore Borgogno e i sindacalisti Cgil affermano di aver almeno ottenuto l'assicurazione di un altro concorso da farsi nel 2010 per stabilizzare un numero ancora imprecisato di insegnanti
precarie di nidi e materne. Sembra anche che nel concorso "dedicato" possano forse rientrare 4 o 5 persone che non sono insegnanti di religione.
Ma ciò non toglie che sia stato fatto un gran pateracchio all'italiana, all'insegna dell'integralismo cattolico.
Quanto questo possa costituire un precedente a livello italiano non so valutarlo, ma il fatto è che a Milano, patria della Moratti, si sono scandalizzati tutti perchè in 175 materne comunali sono salite da 20 a 46 le insegnanti di religione a tempo determinato indicate dalla Curia (e pagate dall'Assessorato ai servizi sociali). Torino è molto più avanti: non solo da anni ha 31 insegnanti di religione, ma adesso le assume anche a tempo indeterminato.

Il provvedimento sarà ratificato dalla Giunta di martedì mattina.

Di seguito il comunicato che abbiamo inviato oggi ai giornali.
Abbiamo presentato una interpellanza con Sinistra Democratica, che sarà discussa il prossimo lunedì.


Saluti cari
Terry Silvestrini







Pateracchio all'italiana:
la Curia diventa l'Ufficio di Collocamento del Comune e l'insegnamento della religione diventa una Attività Integrativa


L'Intesa tra Repubblica Italiana e Vaticano del 1985 e la successiva legge del 2003 prevedono che nelle scuole materne l'insegnamento della religione possa essere affidato a insegnanti di classe o di sezione disposte/i a svolgerlo e riconosciute/i idonee/i dalla autorità ecclesiastica. In subordine questo insegnamento può essere affidato a docenti esterne/i indicate/i dall'ordinario diocesano e dotate/i della qualificazione prevista.

Ma al Comune di Torino l'insegnamento della religione nelle materne risulta affidato da anni a docenti esterne, sulla sola base dell'indicazione della Curia. Non c'erano insegnanti di ruolo disposte/i a svolgere questo insegnamento?
E' stata fatta la "ricerca di professionalità interna" prevista dalla legge? Quali sono le necessità di docenti di religione nelle materne comunali? Non si sa: forse lo scopriremo a seguito dell'interpellanza che abbiamo presentato. Quello che si sa è che negli anni si è creato un gruppo di 31 precarie che hanno insegnato religione nelle materne maturando un'"anzianità" di oltre 36 mesi che ora viene fatta valere dalla Cisl e dai politici teodem del Pd come un "diritto" per l'inserimento in ruolo con un concorso ad hoc, nonostante una sentenza contraria del TAR del 2008.

Siamo in Italia: non vengono rispettate neppure le Intese fra Stato e Chiesa, pur di accontentare quella o quell'altra lobby che fanno capo a cordate politiche in vista delle campagne elettorali.

Le 31 docenti precarie diventeranno dunque insegnanti di ruolo di Attività Integrative, dato che non hanno i titoli per entrare di ruolo nei profili di Istruttore pedagogico previsto per le scuole materne, ma soprattutto non dispongono dell'abilitazione all'insegnamento. Se risultassero in soprannumero andranno a coprire i posti di insegnante di sostegno all'handicap, che, come noto, sono carenti, ma per i quali non hanno la qualifica.

In sostanza un pateracchio all'italiana: fatta la legge trovato l'inganno, furbizia e arbitrio alla faccia della "governance", dell'efficienza, dell'efficacia e dell'economicità con cui la Giunta comunale di centro sinistra scimmiotta Brunetta quando le conviene e lo smentisce quando le pare.

Per condire il tutto di italianità verace, se ne fa una strumentalizzazione politico-confessionale: il catechismo viene brandito come un trofeo politico "di parte", l'insegnamento della religione diventa legittimazione ad aggirare le regole e la Curia diventa l'Ufficio di Collocamento del Comune. "Una parte", quella "cattolica", "canta vittoria" per essere riuscita a far fessi gli altri: complimenti!

Tutto ciò, mentre i "tagli" di bilancio e il patto di stabilità "obbligano" il Comune a ridurre il personale di oltre 1300 unità, a gestire i nidi e le materne attraverso folte schiere di precari/e che non hanno santi in Paradiso, a stipulare fantasiosi contratti atipici nelle Fondazioni culturali, a introdurre cooperative che "costano meno" nelle partecipate comunali mettendo in mobilità i lavoratori dipendenti, a ridurre all'osso i cantieri di lavoro, a distribuire come elemosine le borse lavoro, a respingere le richieste di sussidio economico delle/i cittadine/i disoccupate/i che si
rivolgono ai Servizi sociali, a ridurre i soggiorni estivi dei disabili, ecc., ecc.



Nella crisi globale, la Torino "always on the move" è tornata al Medioevo, alla lotta tra guelfi e ghibellini: si negano diritti, si creano privilegi e si salvi chi può.

E' questo il Governo della Città? Rifondazione non ci sta!



Maria Teresa
Silvestrini e Luca Cassano

Gruppo Comunale di Rifondazione




Giulia Bertelli
Responsabile Provinciale Scuola Rifondazione Comunista

lunedì 23 novembre 2009

W la democrazia (?)



Questa roba che chiamano democrazia è uno strano animale. Ti fornisce tutto ed il contrario di tutto. Ti permette di fare del male a te stesso grazie al fumo o all'alcool e nello stesso tempo non ti permette, vietandolo, che tu ti possa drogare con un po' di erba o facendoti di eroina.
E' talmente attento alla tua salute questo sistema democratico che è capace di imbastire campagne forcaiole perché qualcuno sbronzo, di nazionalità romena ed al volante fa una strage ed in cui la questione è il romeno e non l'uso degli alcolici o la produzione di vetture troppo veloci; lo stesso sistema ci mette anni a non vedere riconosciuti i diritti al risarcimento di migliaia di persone avvelenate e morte per produrre in una fabbrica piena di amianto a Casale Monferrato.

Questo sistema celebra la libertà in tutte le sue espressioni; libertà di pensare e dire, libertà di lavorare, libertà di fare impresa ed infine libertà di mercato.
Per fare questo celebra l'abbattimento di muri scordandosi di quelli che costruisce e pontifica auto-incensandosi sulla sua maestosità e bellezza.
E' un sistema che celebra gli oggetti anche se inutili e si dimentica degli uomini,che inventa e produce mestieri per affabulatori per puntellare con l'arte della ragionevolezza la sua impalcatura.

Ha talmente fiducia di sé ,questo sistema, che costruisce marchingegni giuridici per evitare che tutti i cittadini vengano rappresentati con le loro idee, o che possano esprimere la loro preferenza per tizio o caio.
E' un sistema che ti accoglie per sfruttarti bene e nello stesso tempo ti esclude con campagne xenofobe anche se a questi signori tu paghi le tasse.
Una gabbia che ha bisogno di tanti spioni e di moltissimo sospetto per costringerti a chinare la testa.
E' questa pietanza, il sistema, condito con questi ingredienti e con questa quantità industriale di sale, la democrazia, che ce lo fa giudicare come un sistema ipocrita, buono per chi ha potere e può esercitarlo e farlocco per la maggioranza degli abitanti di questo pianeta.
E' un sistema in cui la lotta è impari perché il gioco è truccato fin dall'inizio. Ed in tutti i giochi truccati finisce che quello che si sente fregato rovescia il tavolino e spara all'altro.




domenica 22 novembre 2009

Appuntamento da non perdere

Bussoleno (TO)
Mercoledì 25novembre
ore 21
Osteria La Credenza
Via W. Fontan, 16
Renato Curcio presenta: Respinti sulla strada. La migrazione ipermoderna di minorenni e ragazzi stranierili

venerdì 20 novembre 2009

La cultura della destra in Italia (e la sua mutazione)

Il pensiero unico delle oligarchie finanziarie transnazionali che dominano l’economia globalizzata del mercato mondiale non è né di destra né di sinistra, ma è di destra in economia (potere del denaro), di centro in politica (potere del consenso) e di sinistra in cultura (potere dell’innovazione nel costume, che flessibilizza e ‘scioglie’ le vecchie incrostazioni conservatrici delle tradizioni precedenti). È questa allora la ragione per cui la cultura di destra va affannosamente in cerca di un compratore, ma nessuno la vuole comprare, perché il vecchio comunismo storico novecentesco è vergognosamente imploso da solo, ed il vecchio armamentario del tradizionalismo culturale appare del tutto ‘fuori fase’ nell’epoca di Internet e del clero giornalistico internazionale di lingua inglese. Non è dunque un caso che i più intelligenti intellettuali europei provenienti da una tradizione culturale di destra (come l’italiano Marco Tarchi ed il francese Alain De Benoist) propongano lucidamente non tanto un "rilancio selezionato ed aggiornato" della cultura tradizionalista, ma un vero e proprio superamento della dicotomia culturale sinistra/destra in vista di una nuova sintesi. A mio avviso essi hanno perfettamente ragione, anche se questo aperto riconoscimento non implica affatto che io sia d’accordo con loro nel merito concreto delle proposte avanzate, per il semplice fatto che a mio avviso la tradizione marxista, convenientemente criticata e filtrata, continua ad avere un potenziale emancipativo che pensatori come Tarchi e De Benoist non sono affatto disposti a concedere. Più in generale la deriva produttiva dalla cultura di destra, pur essendo mille volte migliore del mantenimento dell’identità di destra, resta carente sul piano dell’universalismo e della critica al capitalismo, ed il suo eclettismo non è scevro di ambiguità culturale e di opportunismo teorico.
La crisi della cultura di destra è dunque anche un episodio del mutamento di campo del suo committente culturale tradizionale, che si trova più a suo agio con la flessibilità nichilistica post-moderna della sinistra ex-populista ed ex-marxista. Essa era già da tempo carente proprio su di uno dei suoi piani preferiti, quello "nazionale". Da un lato la destra, che avrebbe in teoria dovuto difendere le identità nazionali, produceva una serie di grotteschi e ridicoli anti-italiani professionali, come l’impenitente fascistoide Indro Montanelli, l’osceno negazionista dell’uso dei gas asfissianti della campagna colonialista e razzista in Etiopia nel 1936. Il copione teatrale dell’anti-italiano consiste nell’attribuire all’intera collettività nazionale i difetti specifici ed irripetibili della propria canagliesca personalità individuale, con in più l’ipocrisia del tirarsene fuori e del fingersi un sofisticato lord anglo-scandinavo capitato per caso in un mondo di trogloditi mediterranei. Dall’altro la destra, che si avvolge spesso nella bandiera come in un accappatoio, è poi di fatto la bandiera di una sorta di americanizzazione sfrenata e servile del costume, e si pensi solo al familismo consumistico della cultura di un Silvio Berlusconi, in cui la famiglia abbiente identificata con una unità affluente di consumo è esplicitamente collocata come fondamento filosofico, economico e sociale del rapporto fra l’individuo ed il mondo circostante. Il carattere del tutto post-borghese, ed appunto perché post-borghese integralmente capitalistico (nel senso del capitalismo della terza rivoluzione industriale), è in Silvio Berlusconi ingenuamente manifesto, e dovrebbe indurre alla riflessione coloro che si attardano ad identificare la borghesia con il capitalismo.
I tentativi di Gianfranco Fini (Fiuggi I e Fiuggi II) di dare alla destra italiana un profilo culturale moderno sono interessanti perché mostrano il completo nichilismo dei politici professionali nei confronti della propria tradizione culturale (ed in proposito il parallelismo fra Fini e D’Alema è impressionante e rivelatore). Da un lato non si vuole ‘buttare via niente’, perché vi sono nicchie di mercato di destra ancora interessate ad Evola ed a Spengler. Dall’altro bisogna farsi accettare spiritualmente dalle oligarchie ultracapitaliste e sioniste che dominano il pianeta, ed allora via con Popper, Hayek, Isaiah Berlin, eccetera. Ma questo ciarpame colto non può che toccare alcune centinaia di laureati pretenziosi. Per la ‘base elettorale’ resta purtroppo soltanto l’evocazione paranoica della minaccia dell’emigrazione di colore, l’enfatizzazione dell’insicurezza del cittadino minacciato dalla delinquenza comune, l’illusione di guarire i mali sociali con il pugno di ferro dell’inasprimento delle pene, eccetera.

Costanzo Preve

La questione dei centri sociali

La questione dello sgombero dei centri sociali unisce come un sol uomo amministratori di destra ed amministratori di sinistra (ma ha senso questa distinzione?).
Così a Roma si presentano blindati e poliziotti, con tutto l'armamentario da robocop, per sgombrare l'Horus da presenze come quelle di quei giovani che sono un segno tangibile di disobbedienza e di non allineamento.
Qualche settimana fa era toccato ad un centro sociale di Catania e della stessa cosa si parla a Torino.
Di solito dietro la richiesta di sgombero c'è l'interesse di qualche palazzinaro che, non avendo altro da cui spremere rendita parassitaria, pensa di sostituire quanto si è costruito dentro quegli spazi con un pò di vetrine piene di merci griffate.
Qualche giorno fa sono passato davanti al parco della Tesoriera a Torino. Dentro c'è una villa che occupammo tra il 1976 ed il 1977. Quello spazio grazie a quell'azione fu restituito alla città e restaurato.
Nello spazio attiguo, all'ingresso del parco, ci installammo con il nostro "circolo del proletariato giovanile Zapata", quella casetta rappresentò per molti di noi un'alternativa al nulla dei casermoni anonimi della periferia. Da lì partivamo per le nostre manifestazioni ed in quello spazio producemmo inchieste sulla situazione sociale del quartiere. Furono individuate centrali di spaccio della droga ed un pò di gente fu buttata fuori dal quartiere con le ossa rotte ed a calci nel culo.
In seguito lì si collocò un centro per anziani e le Domeniche furono occupate dai suoni languidi delle fisarmoniche.
Adesso la villa è di proprietà di una banca e non ho idea se il centro per anziani esista ancora;
in compenso rimangono i casermoni e la droga ha ammazzato un pò di gente in più.
In questi momenti , mentre un popolo anonimo si organizza per celebrare il suo No Berlusconi day, centinaia di persone vengono spinte ai margini e con loro si dialoga soltanto con poliziotti e carabinieri. E' il destino di chi lotta veramente e non si preoccupa di farlo solo al Sabato mattina per non disturbare l'ordinato andamento delle cose.
Ci sarà un motivo se questi non occupano le colonne dei giornali?




horus sgombero



Si sono presentati alle 9 di mattina con una ventina di blindati tra polizia e carabinieri. In prima fila, il capo della Digos Giannini, seguito dai massimi vertici della questura e dell'Arma. Centinaia di agenti proteggevano l'ingresso nello spazio sociale del signor Gemini, proprietario dell'immobile, che vanta una serie di denunce per abuso edilizio, violazione della destinazione d'uso dei locali e tanto altro ancora. In questo modo, Gemini ha potuto guidare personalmente gli interventi di demolizione delle strutture interne tramite una ruspa meccanica. Prima gli ingressi, poi le scale e così via, blindando e distruggendo definitivamente gli spazi dell'ex teatro Aniene, uno dei gioielli della cultura e della architettura romana.
Questa è la fotografia della governance
al tempo della rendita e della precarietà come forme di controllo sociale. Lo stato che occupa militarmente il territorio per garantire la violazione sistematica di quel che rimane dei diritti e della democrazia. La banda di Alemanno e del fido Lucarelli reagisce in questo modo allo smacco di ieri sera quando migliaia di persone hanno invaso il Campidoglio per dire che il Piano casa del Comune è la stessa bufala di Veltroni, costringendo il sindaco a incontrare i movimenti mercoledì 26 novembre.
Propio come una banda, ieri notte,
hanno deciso la vendetta: sgomberare l'Horus di piazza Sempione, nonostante il prefetto continuasse a chiedere una trattativa politica che facesse riferimento alla delibera 26 del Comune di Roma. Uno scontro di poteri che spiega bene i rischi di restringimento delle libertà prodotti dalla crisi della rappresentanza al tempo della crisi globale.
Verso le 11 abbiamo deciso di occupare il Municipio IV
, la stessa filiera politica e di potere di Alemanno, bloccando le attività e costringendo il presidente Bonelli a improvvisare una trattativa con rappresentanti della regione e della provincia. Un solerte agente di polizia ha pensato bene di impugnare una pistola e puntarla addosso agli attivisti. Dopo 4 ore di presidio e dopo aver minacciato l'occupazione permanente dei tetti, come per miracolo, arriva la decisione: domani, venerdì 20, alle 14, è convocato il tavolo di trattativa diretta tra Municipio, Regione, Provincia. La lettera protocollata ha come oggetto la "destinazione culturale e sociale di parte della struttura ex Gil, di piazzale Adriatico (Montesacro) per garantire la continuità delle attività dell'Horus di piazza Sempione".
Questo è un primo risultato concreto della resistenza
messa in campo oggi, che risponde alle necessità di conquistare un nuovo spazio liberato nella città. Ma non ci basta, ovviamente. Oggi alle 18, assemblea cittadina per promuovere una campagna di resistenza e di rilancio, ma anche per capire insieme se è giunto il momento di una iniziativa nazionale, a Roma, che parli la lingua dell'indipendenza, dei diritti e della libertà.Horus Resiste
Blocchi Precari Metropolitani

Galleria Fotografica EidonPress


fonte:

http://www.globalproject.info/



mercoledì 18 novembre 2009

Come e con chi preparare il cambiamento, 2

Io:

Molto interessanti le tue considerazioni. In questo tuo ragionare manca il tuo punto di vista sullo strumento.
Una volta era un partito di avanguardie, ma oggi?

Giuseppe:

Tutto sembra cosi semplice ma credo sia molto piu` complesso. E quei soldati (molti poco piu` che ragazzini cresciuti tra i videogiochi) e i lavoratori che caricano le armi e le loro famiglie come faranno a vivere? Invece, quali cambiamenti di stile di vita dovrebbero adottare le persone-noi (soprattutto dei paesi piu` ricchi) per rendere meno ... Visualizza altroappetibile andare a fare le guerre per il petrolio. Negli ultimi anni almeno nella mia citta` si e` fatto moltissimo per abituare le persone ad andare in bici o prendere i mezzi di trasporto pubblci elettrici o ibridi. Le istituzione pubbliche e le associazioni hanno investito moltissimo in piste ciclabili, segnaletiche e informazioni per i cittadini e vari incentivi. Si e` anche investito nelle metropolitane leggere. Io credo che queste siano azioni concrete. Anche qui si potrebbe comunque obiettare dicendo. Si e` vero, ma si aumentano gli utili delle societa` che producono biciclette o macchine ibride magari delocalizzando e impiegando manodopera a basso costo ... Il circolo e` vizioso ma credo che in questo sistema quello che sia importante e` nel nostro piccolo fare delle scelte quotidiane che promuovano aziende fondate su commercio equo, agricoltura organica, aziende che non usino capitali delle mafie, aziende che non siano solo controllate dagli azionisti ma anche (o solo) dallo stato soprattutto in determinati settori come la sanita`... bisogna inoltre dare supporto alle scuole e alle universita e garantire l'accesso e soprattutto il successo a tutti, bisogna smetterla di tramandare le professioni piu` prestigiose e di potere di padri in figlio (come succede soprattutto in Italia- da quello che ne so) e creare realmente pari opportunita`per tutti (obama e molti altri come lui negli usa non sono figli di papa`) e permettere ad ogni individuo di avere una vita dignitosa e non doversi arruolare negli eserciti o nelle polizie per avere un pezzo di pane... A proposito di profitti dalle guerre, Avete letto questo articolo? http://www.eni.it/en_IT/media/press-releases/2009/10/2009-10-13-zubair-field.shtml

Maria:

È triste quando al posto dell'implementazione della politica della cosiddetta "pari opportunità" si assiste all'insorgere di situazioni di discriminazione o persecutorie.

Negli Stati Uniti c'è il sistema bipartitico che, secondo Ralph Nader per esempio, limita la capacità degli americani di rappresentare l'interesse di molti, specialmente quando quel sistema bipartitico ammette solo una leadership di centro (o centro-destra) come quella di Obama o di destra come quella precedente (e lì non conta essere figlio del papà, per prima cosa bisogna fare gli interessi del sistema imperiale). Nader ne parla come se il sistema bipartitico fosse una sorta di prigione. Incollo questo pezzo di un'intervista esemplificativa:

JAY: Well, the one argument you can make is that Obama got elected and Ralph Nader didn't—you could say you need to speak this way. And then it comes down to, I think, a lot of what you were saying. Even if one wants to read all these things into his candidacy—and I don't know that you can—then it doesn't come down to, as far as advisers, they're all the same-old-same-old advisers. We haven't seen anything fresh and new here....
NADER: That's the first tip that you get: you see who he surrounds himself with. And, look, the problem is he has no competition from the left. I mean, I went into this campaign knowing that I was going to be kept off the debates even though every national poll from 2000 wanted my by name. Okay. So that means you don't reach tens of millions of people. If you're not scheduled on the debates, the national media won't cover you—The New York Times, the networks, Washington Post in April, May, June, July, August—because, they say, "You don't have a chance. You're not a mega-billionaire like Perot who can put ads on." And then the third thing that happens is that we're drained during the summer just trying to get on the ballot, because no country in the western world obstructs voters and obstructs candidates the way our country does with these draconian state laws enacted by the two parties. We have a two-party dictatorship in this country. Let's face it. And it is a dictatorship in thralldom to these giant corporations who control every department agency in the federal government, including the Department of Labor. I mean, this is how far it's gone. We have a corporate state. Franklin Delano Roosevelt put it very well in 1938 in a message to Congress. He said when government is controlled by private economic power, he said, quote, "that's fascism," end quote. That's the definition of fascism. And look at every big industry now screwing the average guys, going for bailouts.

http://therealnews.com/t/index.php?option=com_content&task=view&id=31&Itemid=74&jumival=2718

Giuseppe
su nader non ci troviamo d'accordo. Capisco le sue posizioni ma non mi rappresenta. Meglio 10, 100, 1000 obama. Leggi piu` sull'attivismo di obama presente e passato e rifletti che forse sono persone come nader che impediscono cambiamenti reali. Il sistema si cambia dal di dentro attraverso, per esempio, cose concrete come quelle che scrivevo ... Visualizza altrosopra di cui mi piacerebbe sentire il tuo commento e permettendo a chi non proviene dal mondo elitista e salottiero di stampo europeo ad entrare nel sistema. Sono sicuro che la sola esperienza personale/familiare (anche se apparentemente parte del sistema) possa portare cambiamenti piu` concreti di mille parole gettate al vento o della resistenza armata. Ci sono giovani registi (alcuni di essi immigrati che hanno avuto la possibilita` di formarsi in America) che anche se parte del sistema producono delle cose molto interessanti che servono a scuotere le coscienze e forse a cambiare un po' le cose.
Maria

Sono a favore del commercio equo, dell’agricoltura organica... Che poi la strategia imperiale non possa cambiare così, e non possa diventare più gentile, sarebbe un altro problema. Nel sistema attuale non sarà possibile rintracciare nessuna traccia di un’universalizzazione alternativa, cioè anticapitalistica e postcapitalistica, per via di un'economicizzazione del conflitto. O di una globalizzazione virtuosa o alternativa (sarebbe assurdo immaginare che possa esistere). Penso che lo stato di cose esistenti possa essere cambiato un po’ attraverso pratiche di convivivialità e solidarietà nelle relazioni umane solo a livello locale, in alcune regioni... E per alcuni sarebbe ideale riuscire a mantenere sfere vitali non mercificabili, o almeno non completamente mercificate...

Il commercio equo e solidale, anche quello animato dalle migliori intenzioni, non può e non potrà influire che in misura minima sui rapporti di forza internazionali e sugli equilibri geopolitici e militari controllati dagli Stati Uniti, ai quali tante oligarchie devono la loro fortuna. Impossibile da ignorare poi il fatto che i consumatori occidentali sono viziatissimi e gli interessi degli importatori internazionali sono venali e mutevoli. L’economia si regge su preventivi rapporti di forza. Il dolce commercio equo e solidale non basta. E neanche la disobbedienza.

Obama non mi era mai sembrato tutto cuore e ragione... In Afghanistan per esempio, lo è?... Non mi sentirei di dare interpretazioni neoromantiche dei nostri tempi, e del futuro, se penso all’operato di Obama finora...... Visualizza altro

Ecco tra l’altro cosa dicevano di lui due americani qualche settimana fa:

"Climate change- mass extinction, drought, death...Is that motivating enough? Wall Street billion dollar bonuses while tax payer money is still in their coffers? Corporate health care- no public option- no cost control- major loop holes? Congressional resolutions that are outright lies? Gross militarism? Deliberate catering to the fascist right (who don't even know their fascists) to justify watered down policies that cater to corporations.
What exactly is the left waiting for? Give Obama a chance? Nader is right on. Fire in the belly.
Push Congress? Lobby harder than the opposition? Civil disobedience? Yes- but more the ability to face the truth, speak the truth and pay the price for doing so..."

"Ralph's insight - that Obama will not challenge power - really seems to resonate in these post-100 days era of the Obama Presidency. It may be an explanation for Obama's ability to say one thing, but do the opposite. I'm still not sure if it's a gross character flaw or whether Obama just shamelessly manipulates his political base."

http://www.commondreams.org/video/2009/11/04-1

E si chiedeva Nader: “How much has he campaigned in Latino and African-American areas? He was up there all over the country with all the cameras. He could have brought such attention to poor areas in this country and he didn't do it.”

http://therealnews.com/t/index.php?option=com_content&task=view&id=31&Itemid=74&jumival=2718

Come impedisce Nader i cambiamenti reali?... Nader esortiva tra l’altro al ritiro completo delle truppe dall’Afghanistan e dall’Iraq...

Io:

Il sogno di cambiare le cose senza porsi il problema del potere che assume il punto di vista delle classi subalterne è un "sogno " e basta.
E' una roba che appartiene alla notte dei tempi e che ha visto nel "capitale" (inteso come classi dominanti) un interlocutore molto interessato ed attento.
I sistemi economici (precapitalismo, capitalismo, comunitarismo) hanno un comune denominatore :
Cosa produrre, come produrre, in che modo produrre. Questa struttura governa direttamente ed indirettamente sovrastrutture e rapporti sociali determinati dal come si risponde a quei problemi.
Se manca in termini di rappresentanza, nel dare le risposte, l'interlocutore principale, che è colui il quale è strumento subordinato oggi nei processi di produzione (di ogni tipo) come si pensa di operare dei cambiamenti?... Visualizza altro
Andando in bicicletta tutti? Ci andiamo già (anche in bus) per una ragione semplice, non abbiamo i soldi per mantenere una macchina.
La concretezza della politica subordinata alla logica del capitale produce la svendita del patrimonio pubblico, la flessibilità al ribasso delle condizioni di lavoro, la subordinazione ed il silenzio rispetto ai processi in atto. A questo hanno portato i ragionamenti "verdi". Le fabbriche magari saranno un po' più ecologiche ma la sostanza per me e per mio figlio non cambia.
Questa roba bisogna spezzarla agitando e producendo conflitto contro le istituzioni.Non c'è bisogno di "armi" per questo. C'è bisogno di agire rompendo lo schema della non rappresentanza istituzionale. Io milito in un partito e sempre di più mi rendo conto che non rappresenta nulla in termini di prospettiva e di cambiamento. fagocitati in un sistema di relazioni in cui vieni sbattuto ai margini se vai sopra le righe di ciò che è consentito. E allora il mio tempo preferisco spenderlo concretamente sviluppando il conflitto in ogni occasione possibile. Formando una nuova generazione che abbia il coraggio di stare fuori dal palazzo e che per il palazzo diventi un incubo.

Qui la prima parte:
http://pensareinprofondo.blogspot.com/2009/11/come-e-con-chi-preparare-il-cambiamento.html

Come e con chi preparare il cambiamento

Lo scambio di opinioni con Maria ha preso come spunto questo articolo di Preve:

"Costanzo Preve, nel 2001: A mio avviso non possiamo ancora fare una valutazione storica complessiva degli attuali movimenti no-global, perché essi sono una realtà solo all’inizio di un processo di sviluppo i cui esiti non sono ancora per nulla prevedibili. Essi possono essere l’embrione iniziale di un futuro movimento rivoluzionario, oppure possono evolvere verso l’"opposizione di Sua Maestà" di cui il moderno capitalismo ha bisogno, un’opposizione detta "propositiva" e "responsabile", in realtà di tipo petizionistico (si fanno petizioni ai potenti perché essi ascoltino i sudditi) e solidaristico. Dal momento che gli esiti non sono ancora prevedibili, è chiaro che in questi movimenti bisogna starci dentro senza troppi pregiudizi o sospetti. Personalmente, mi considero un rivoluzionario "classico", nel senso che tutti i progetti rivoluzionari storicamente strategici devono sempre essere radicati in interessi collettivi di classi subalterne, e non possono mai assumere la forma di movimenti caritativi e moralistici, se non in forma del tutto marginale. Io solidarizzo pienamente con la Palestina in lotta, ma se la Palestina non lottasse in prima persona, la mia solidarietà resterebbe una semplice testimonianza astratta. Il giudizio sui movimenti no-global non deve neppure essere ricavato dallo spettacolo virtuale del circo giornalistico e mediatico. Il circo mediatico conosce tre soli spettacoli fondamentali, lo spettacolo porno, lo spettacolo sportivo e lo spettacolo sanguinoso, per cui il suo unico vero modo di relazionarsi con i movimenti no-global è la distruzione urbana dei "Black Blocs", che lungi dall’essere stupidi e primitivi, hanno capito perfettamente come funziona il circo mediatico e vi si adeguano in modo brillante e performativo. Infine, il giudizio sui movimenti no-global non deve neppure essere ricavato dalla autorappresentazione ideologica e narcisistica dei suoi attuali dirigenti, un ceto professionale sottilissimo di politici di professione, scrittori di "Best Sellers" e permanenti di associazioni non governative all’autofinanziamento pubblico e privato. Un giudizio serio dovrà essere dato sulla base esclusiva della funzione strutturale anticapitalistica di cui questi movimenti saranno capaci. Per questo siamo solo all’inizio."

Maria:


Per Preve il sistema ideale pare sia quello che farebbe prevalere il polo dell'uguaglianza, gli interessi dei più poveri, un sistema che si soffermerebbe sulle classi subalterne e che diffonderebbe la cultura del lavoro sicuro e garantito e del vicinato solidale, attuando politiche di redistribuzione della ricchezza che favorirebbero i ceti disagiati. Solidarizza con questi ultimi. Con le vittime dei padroni che si servono degli immigrati per svalutare il potere contrattuale conquistato in decenni di defatiganti lotte sindacali. E con gli immigrati che anche loro subiscono l’aggressione economicista del capitalismo reale - i muratori rumeni, senegalesi, marocchini, le battone nigeriane, albanesi e moldave eccetera... Con "gli immigrati musulmani ma anche i rumeni ortodossi ed i filippini cattolici che vengono da identità culturali in cui c’è ancora un fortissimo senso del lavoro e della solidarietà familiare", e per i quali "il regno di Pannella e della Bonino" sarebbe "estraneo", secondo lui...
Solidarizza con le vittime della distruzione della stabilità e della sicurezza del posto di lavoro, condannate ad una perenne "mobilità orizzontale", oscillante tra disoccupazione, sottoccupazione ed occupazione precaria... Perché vittime dei principi dell'economia liberista globalizzata, del decentramento produttivo determinato da vantaggi competitivi di natura salariale e fiscale che hanno portato al regresso sociale, alla proletarizzazione del lavoro, alla diseguaglianza...

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=21923

Penso sia possibile farsi un'idea su quelli con cui solidarizza(va) Preve anche leggendo una conversazione tra lui ed Eugenio Renzi pubblicata due anni fa su Cahiers du cinéma. Il collegamento diretto pare non esista più sul sito della rivista, ma io avevo copiato quella conversazione e se volete la potete leggere nella mia ultima nota.

I movimenti caritativi e le associazioni non governative, "di cui il moderno capitalismo ha bisogno", come dice Preve, spesso si "rifanno" la buona coscienza aiutando qua e là alcuni di quelli che appartengono alle classi subalterne nel contesto storico attuale, mentre i dettami del turbocapitalismo continueranno ad essere messi in pratica altrove, disseminando malcontento, ingiustizia, disgrazie. (all’espressione "turbocapitalismo" Preve, in un volume in cui si confrontava con le posizioni di Giuseppe Giaccio e Alain de Benoist, dichiarò di preferire l’espressione "capitalismo puro" che si richiama sia al concetto di Karl Marx di "modo di produzione capitalistico" - un semplice modello e non una società concretamente esistente - sia al concetto di Max Weber di "idealtipo")

A differenza di molti di quelli che credono di sorvolare la società dicendosi solidali con le classi subalterne - quelle che sono spesso le vittime di una situazione caratterizzata dal dominio della produzione capitalistica - Preve pare abbia fatto anche quel passo che consiste nello "smarcarsi" dall'ossessivo pensiero unico che si maschera da apparente pluralismo multicolore: personalmente io per questo tipo di sensibilità a volte impazzisco...

Sul movimento no global Preve ha scritto anche qui:
http://www.kelebekler.com/occ/bertinotti7.htm

E Pino, riguardo ad un tuo commento di ieri in cui hai scritto "credo che non si possa generalizzare dicendo che il sistema e` inumano, arrogante. Esiste per fortuna un altra etica e un altro modo di fare affari. Certo negli ultimi decenni le societa` di capitale (complice la finanza globale e chi nei vari paesi europei (imprenditori, governanti di turno...) trae grosso profitto nel vendersi i propri beni) hanno avuto sempre piu` potere. Ma per fortuna il sistema non e` solo quello", secondo me ripetevi alcuni dei luoghi comuni del pensiero unico...

Io:

La questione del capitalismo caritatevole è solo, per me, un modo per cercare di rendere gestibili delle tensioni sociali che potrebbero avere sbocchi non facilmente controllabili.
Ed è un approccio che è figlio della storia dei tempi, che si è sviluppato in coincidenza dello sviluppo della teologia cristiana e che viene sfruttato in termini di controllo sociale.
Rimane, però, fuori da questo la questione legata al rapporto con le classi subalterne.
Un comunista pensa di dovere avere come punto di riferimento coloro i quali producono valore, per motivi legati (se vuoi) anche ad una questione di spazi fisici e di comunità. Elementi che rendono più facile il proselitismo e l'azione politica.
Quando invece si pensa in termini generali agli sfruttati ,senza dare modo di capire attraverso quali elementi si puo' pensare di organizzare quel fronte ,si corre il rischio di generare una serie di fronti ai quali manca un filo che li tenga insieme.
Io penso che bisogna intervenire su tutti i soggetti, avendo chiaro un orizzonte ed una proposta che sia la più unificante possibile e che non parcellizzi nelle comunità il fronte della lotta.

Maria:

Capisco il tuo discorso sulla carità. Nel merito penso siano interessanti anche alcune delle considerazioni di Žižek. Al sistema la carità serve spesso per occultare lo sfruttamento economico. A volte il ricatto messo in scena dal sistema rivela un Superego di proporzioni gigantesche. I cosiddetti Paesi sviluppati "aiutano" i cosiddetti Paesi sottosviluppati con sussidi, crediti e così via, e con ciò evitano il problema chiave, vale a dire affrontare la loro complicità e corresponsabilità per la situazione misera di quei Paesi. Nel capitalismo contemporaneo la carità in generale (non solo quella di Bill Gates) esiste, in parte, come un modo per mascherare lo sfruttamento di base, fondamentale nel sistema economico. Fornisce la copertura ideologica per i processi non-caritatevoli sistematici che conducono all'impoverimento dei deboli. L’integrazione della carità nel sistema - ordinare un caffè da Starbucks che invia i soldi ad un bambino deforme, eccetera - è un esempio di progresso morale, parzialmente dovuto ai movimenti sociali della fine degli anni Sessanta.
La carità non distrugge le relazioni di potere disuguali per contrastare la violenza che fa parte del vivere nella povertà. La filantropia generosa sottoscrive la normalizzazione della violenza e dell'ineguaglianza strutturali. Il sistema investe perversamente nel paternalismo inefficiente come quello della Starbucks, che presenta alla gente un’emergenza da risolvere, che è falsa e piace a quelli che vorrebbero "fare qualcosa!" ma riflettono poco sul senso del loro gesto fatto all'interno dei confini inefficienti del riformismo controrivoluzionario. La carità accade anche così... sotto forma di gesti vuoti che pretendono di distruggere le sbarre della gabbia che tiene tutte le persone povere nello squallore e nell'oscurità.

Scrivi inoltre "Quando si pensa, in termini generali, agli sfruttati senza dare modo di capire attraverso quali elementi si puo' pensare di organizzare quel fronte si corre il rischio di generare una serie di fronti ai quali manca un filo che li tenga insieme". Hai ragione, bisogna evitare di disperdere le proprie forze su di un fronte troppo vasto, bisogna creare invece una saldissima resistenza per affrontare le forze sistemiche.
Sarebbe di certo interessante una discussione su quali mosse strategiche intraprendere che impongano ai potenti di assumere condotte anti-capitalistiche. Ma sarebbe una discussione enorme.
Preve non si inserisce forse tra quelli che ipotizzano una via concreta che faccia crollare il sistema - ma io per esempio non ho letto tutti i suoi libri - ma penso lasci capire alcune cose interessanti.
Sappiamo per esempio che non contempla l'approccio proposto da Max Weber di fronte alla soffocante routine quotidiana della razionalizzazione del mondo nei suoi vari aspetti, una volta perduto ogni conforto religioso, senza l'ottimismo trainante di personalità carismatiche capaci di stimolare il cambiamento. Per Marx Weber opporre resistenza alla "gabbia d'acciaio" popolata da specialisti senza spirito e gaudenti senza cuore significa prestare testimonianza, rassegnarsi al fatto che la "gabbia d'acciaio" non consente altro che qualche margine di anticipazione e di prevedibilità sull'incerto futuro, e quindi offrirebbe solo qualche chance di intervento responsabile su di una realtà avviata lungo i binari prestabiliti della razionalizzazione burocratica. Max Weber suggerisce la rassegnazione al processo irreversibile di disincantamento del mondo che prende corpo via via, nell'ambito delle società e ricorre alla metafora "gabbia d'acciaio", che implica l’idea dell’impossibilità di riuscire a sfuggire alle sbarre della gabbia. Preve non condivide quel disincanto. Il capitalismo non è una serie di sbarre create dall’esterno all’essere umano... La logica sistemica che opera nel capitalismo e che sovra determina i rapporti sociali, come forma interna delle dinamiche ambientali e personali dell'uomo, non è assolutamente necessaria, comporta una soggettività, e perciò non potrebbe mai arrivare a sottrarre definitivamente la gente alla resistenza.
Penso che si possa unire un fronte anticapitalista a questo livello, che si opponga anche alla logica sistemica del modo di produzione, senza rimanere sul terreno politico. Si potrebbe attivare una resistenza contro ciò che consente l'autoriproduzione del capitalismo: contro la politica economica delle sue imprese, la divisione sociale e tecnica del lavoro che innesca, ma anche l'operare a prima vista autonomo di elementi antropologici e di forze ambientali segnati col sigillo dinamico e necessitante del capitalismo. Si possono attaccare i punti vulnerabili degli avamposti economici del sistema.

Tutto questo senza illudersi però sulle capacità rivoluzionarie della classe operaia, salariata, e neanche sulla capacità della socializzazione capitalistica delle forze produttive di produrre un soggetto rivoluzionario (e si potrebbero adoperare per esempio gli argomenti di Preve per controbattere la tesi della “generazione spontanea” di un soggetto rivoluzionario). Non regge più il mito di un soggetto rivoluzionario demiurgico refrattario all’integrazione nel sistema e di un crollo risolutivo, servono solo processi di costruzione comunitaria cosciente basati su una concezione del mondo condivisa razionale e dialogica. Interessante la profezia integrazionista di Marcuse si è realizzata. Anche Weber parlava di una pietrificazione meccanizzata adornata da un convulso desiderio di sentirsi importante, di integrarsi nel sistema… Dalle banlieues parigine, passando per le rive del Mississipi e giungendo a sconosciute cittadine cinesi un proletariato universale chiede l'abolizione dello stato di cose esistenti. Le insurrezioni dell'autunno 2005 avvenute nelle periferie francesi non hanno avuto l'obiettivo di fare richieste specifiche, erano soltanto incentrate sul riconoscimento, in base ad un vago, inarticolato “ressentiment”. Questo scoppio muto di violenza riflette profondamente sulla natura della nostra società moderna. A cosa serve la nostra celebrata libertà di scelta quando la sola scelta è tra il giocare secondo le regole ed il fare violenza distruttiva su se stessi? (un’altra cosa sarebbe una violenza mirata in modo da non rendere inefficace e controproducente l’agire)

Quindi un fronte si potrebbe organizzare attraverso il rifiuto di giocare secondo le regole... I rumeni che emigrano per necessità economiche per lavorare in Italia, per esempio, accettano di giocare secondo le regole. Nonostante siano tante le famiglie smembrate – che avevano dei figli - perché uno dei coniugi aveva deciso di emigrare per mandare soldi a casa. Nonostante nel paese in cui emigrano facciano spesso lavori degradanti. Avrei pensato che potessero fare delle domande al governo rumeno o tentare di obbligare il governo rumeno di attuare politiche che non li costringano ad emigrare... E oltre a questi, l’Italia attrae anche i piccoli e i medi imprenditori rumeni. La loro immigrazione è nel vantaggio dell’Italia. In un certo senso loro, emigrando, partecipano attivamente alla violenza sistemica contro i più deboli (tra cui anche i loro connazionali). La Romania pare li spinga a favorire un ambiente straniero in cui collocare le loro aziende e partecipare attivamente e concretamente alla crescita e allo sviluppo dell’economia. Ci si dovrebbe invece rivolgere alla Romania per consentire loro una maggiore possibilità d'espansione del proprio business, per riuscire ad accontentarli perché poi essi possano dare un contributo alla crescita dell’economia rumena. Ci sono ancora molti altri rumeni che emigrano e che possiedono esperienze che potrebbero essere valorizzate dalla Romania... La compiacenza nel lasciarsi assoggettato alle esigenze del capitale e nel far favorire l’emigrazione dei cittadini dalla parte di un paese che non accoglie le domande di lavoro rende quel paese subalterno ai paesi forti.

Poi ci sono gli imprenditori italiani che, spinti anche loro dalla necessità, abbandonano le loro aziende ed emigrano in altri paesi. Lo fanno perché la globalizzazione ha determinato una concorrenza sui prezzi in molti settori importanti dell’economia. Questo, su un paese come la Romania, ha un impatto più negativo che positivo.
Il mio non è un giudizio morale – anche se penso che la gente abbia spesso più interesse a NON giocare secondo le regole ed a reagire perché venga superata la politica di subalternità alle logiche e agli interessi del capitale - ma è un dato di fatto che può additare ai cercatori una strada nuova.
Gli eventuali mancati accoglimenti delle domande da parte dei potenti e l’insistenza dalla parte della gente di attuare una resistenza come quella a cui accenavo prima potrebbero essere accompagnati da un bella dichiarazione di lotta armata dalla parte dei potenti: il sistema sarà impietoso con chi rifiuta di giocare secondo le regole e rifiuta l’adozione di mezze misure e compromessi e vorrebbe abbattere il sistema. Organizzare un fronte anti-sistemico comporta anche questo "rischio"..
Preve fa notare inoltre, nel suo libro "Il Marxismo e la tradizione culturale europea", che "a differenza di come affermava erroneamente il marxismo, la classe operaia manifestava fisiologicamente una natura ribellistica (scambiata spesso per rivoluzionaria) soltanto nel primo periodo della sua recente uscita dalla precedente cultura comunitaria di tipo artigianale, bracciantile e contadina, mentre mano a mano che si ‘integrava’ nella società industriale capitalistica si adattava massicciamente sia all’economicizzazione puramente sindacalistica del conflitto sia all’incorporazione nazionalistica. Detto altrimenti, la classe operaia e salariata europea realmente esistente, e non il suo raddoppiamento ideale sognato dal comunismo, era spontaneamente socialdemocratica e non certo ‘comunista’ "...
Il capitalismo è fatto in prima istanza di imprese, e solo in seconda istanza di fabbriche: in questo modo pare non si possa formare il lavoratore collettivo associato previsto da Marx...
Quando scrivi di un fronte anti-sistemico, mi viene di pensare anche ad una possibile resistenza globale all'occupazione dell'Iraq e dell'Afghanistan (oltre alle resistenze armate che penso siano indispensabili). La nostra resistenza potrebbe cominciare con il rifiuto di ammettere la legittimità dell'occupazione dell'Iraq e dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti. Questo significa un tipo di agire che renda impossibile che l'impero raggiunga i suoi scopi. Significa che i soldati dovranno rifiutare di combattere, i riservisti dovranno rifiutare di servire, i lavoratori dovranno rifiutare di caricare le armi sulle navi e sugli aerei. Significa certamente che paesi come la Romania dovranno rifiutare di mandare i suoi soldati a combattere e che anche in paesi come l'India e il Pakistan la gente dovrà bloccare i piani del governo degli Stati Uniti di far inviare soldati indiani e pakistani nelle zone occupate...
Si potrebbe pensare anche a scegliere alcune delle corporation principali che stanno traendo profitto dalla distruzione dei paesi occupati, per elencare poi ogni progetto in cui esse sono coinvolte. Poi si possono localizzare i loro uffici in ogni città ed in ogni paese nel mondo. Per poi perseguire quelle corporation. Far chiudere i loro uffici. In questo caso sarebbe necessario unire tutte le forze disponibili in un fronte collettivo transnazionale che concordi su strategie come quelle di cui scrissi sopra per lavorare assieme in vista di un singolo obiettivo comune... Cioè essere preparati ad attivare tutti gli strumenti possibili per sostenere le resistenze popolari.

La discussione continua.....


martedì 17 novembre 2009

Quelli del 77 ed il loro rapporto con il lavoro

... 'il lavoro è un male necessario per sopravvivere, poi trovo gratificazione in altre cose'. Però dipende da quali altre cose uno può trovare: negli anni 80 non erano molte

... Io non avevo questa cosa del faticare di meno. Perché ho iniziato e lavoravo seriamente e mi sono abituato subito per poter sopravvivere lì, in fabbrica. Per me era importante fare delle cose che avessero un senso, che servissero. Quando io ho tanto tempo libero e non ho fatto cose che sono utili mi sento in colpa...per me è importante sentirsi parte di un mondo e non si tratta di tempo del lavoro, tempo libero, ma di parte della tua vita, faccio qualcosa che mi serve. Fare niente perché non so cosa fare, non lo chiamo tempo libero perché me lo sento costretto in qualche cosa.

... Sull'idea di lavorare poco: siamo al mondo con tanti altri esseri umani, tante altre forme viventi che ci sono e facciamo delle cose che servono per tutto il resto, allora l'idea di lavorare il meno possibile mi stona in qualche modo. Mi andava bene 20 anni fa, perché quando si è ragazzini è giusto essere ribelli, essere contro tutti e cercare di cambiare tutto senza neppure pensare bene a cosa si fa. ... Però sono al mondo, cosa ci sto a fare? Faccio quello che è nelle mie potenzialità, nel mio destino, che sono in grado di fare, che posso fare meglio. Certo, secondo certe coordinate: non andrei mai a lavorare in una macelleria o in una fabbrica di armi nucleari. Ma con certi principi e cercando di utilizzare le mie energie nella maniera più decente, simpatica che mi viene in mente. Mi suona male l'idea: "lavorare il meno possibile, voglio il tempo per fare le altre cose", perché è l'alienazione di questo mondo, del tempo libero, la televisione... "consumate, andate al mare, prendete la villa", sono le balle che si contano. In realtà si cerca di essere sempre più veloci, cercare di fare le cose sempre più in fretta... . Una parte è il tempo del sacrificio, una parte il tempo del cosiddetto divertimento: ma sei cosi alienato e stressato e quindi ti stressi e ti alieni ancora di più. Allora ci vuole un minimo per quanto possibile di unità, amalgama nella vita, omogeneità. Quando c'è bisogno ci si riposa, ma si è attivi, si fanno delle cose.

Non sono miliardario, non ho eredità alle spalle, quindi devo tenere presente la realtà: il dato di fondo prevalente è cercare di fare cose che mi interessano e mi piacciono... ogni giorno utilizzato per cose che non mi piacciono, che non mi divertono è un bel peccato, un vero spreco, perché ne ho sempre meno di tempo. Non credo nel paradiso e palle varie quindi o mi diverto e sto bene qui o sbaglio proprio tanto. Allora, sentir dire 'questo lavoro non mi va, però qui, là, su, giù ' mi suona strano. Se una cosa non ti va sbattiti, prova, prendi cantonate, sbagli, perché sbagliare fa parte della nostra natura, però cerca qualcosa di diverso. Io in alcuni momenti della mia vita ho fatto cose solo per soldi e sono arrivato all'impazzimento, all'alienazione proprio. Mi sono capitate cose che di soldi ne facevo un mucchio, ma non me ne fotteva un cazzo. Odiavo quello che facevo, era contro i miei principi. Ho retto un po' per i soldi ma poi via! se no mi portavano alla neurodeliri.

... Un'idea che anche io ho avuto per molto tempo era: 'il lavoro è un male necessario per sopravvivere, poi trovo gratificazione in altre cose'. Però dipende da quali altre cose uno può trovare: negli anni 80 non erano molte. Allora c'è uno sforzo, davvero molto individuale in certi periodi, in altri lo è meno, per fare un lavoro più gratificante. Lo sforzo era collettivo quando ci sono stati movimenti che hanno permesso di lavorare in modi migliori, perchè uno conquistava dei diritti. In altri periodi uno si trova a sfangarsela da solo. Io, individualmente, ho cercato un lavoro che mi gratificasse anche dal punto di vista delle scelte politiche e questo è legato a certe idee che c'erano nel 1977. Mi sono buttata nella ricerca all'Università: per me ha voluto dire fare ricerca in modo da mettere in evidenza nodi, conflitti, contraddizioni della società in cui viviamo, del mercato capitalistico. La mia idea è di fare cultura, di leggere la realtà, mettendo in crisi il pensiero dominante che dice: è il mercato l'unico parametro vincente. Analizzando la città saltano fuori un sacco di cose che che sono in conflitto col mercato. Allora: poco guadagno, ma un lavoro che mi piace, con un senso politico... Ma, anche se così ti senti in parte realizzata, il tempo non è tuo. Vendi il tuo lavoro a qualcuno: può essere lo stato se vai nell'università, e anche lì ci sono delle regole da seguire, ma, sempre di più, è il committente privato che è interessato a farti dire delle cose piuttosto che delle altre. Neppure questo è un lavoro utopico: ha degli aspetti molto belli, e mi ritengo fortunata a farlo, però ha grossi limiti: ti devi confrontare con chi paga. Per quanto il lavoro ti sembri utile, lo fai secondo delle condizioni che non sono poste da te e su cui difficilmente riesci a manovrare individualmente.

La mia scelta è stata di cercare di mantenere coerenza nel modo di pormi rispetto a me stesso, alla vita, e quindi di cercare anche all'interno del lavoro di non farmi fregare dalla divisione dei tempi. Sul lavoro mantengo una mia posizione che è trasversale alle varie realtà di vita, per cui non sono sul lavoro molto diverso da come mi vedete qui. E questo è quello che in parte ci ha contraddistinto rispetto ad altri. Per cui forse il mio benessere non è tanto cercare il lavoro che mi piace di più oppure lavorare meno, ma è, all'interno delle varie situazioni che vivo, mantenere o affermare il mio punto di vista.... Cerco anche di adattare il lavoro alle mie aspettative; per cui che io faccia lavoro sociale corrisponde molto alla mia idea. Faccio un lavoro in cui c'è una grossa idealità, mi occupo di handicappati, ma mi piace molto ragionare il termini di idealità. La mia attività è cercare di fare dialogare fra di loro delle diversità, e questo credo che sia una delle questioni centrali di una società complessa come la nostra.

Siccome non sono in grado di fare una serie di lavori, cantante, attore, cose che mi permetterebbero di fare delle cose carine in poco tempo, il mio rapporto con il lavoro è semplicemente: ho bisogno di soldi, quindi lavoro, poi tento di fare il meno possibile e la mia vita è all'esterno dal lavoro. Io non sono mai riuscito a distinguere il termine lavoro dal termine fatica e obbligo, sono stati sempre sinonimi: lavoro, fatica, obbligo. Nel senso che anche a me piace studiare, mi piacerebbe fare delle ricerche, però in realtà se ci penso bene a me piace leggere più che studiare, perché è il passaggio faticoso del dopo aver letto devi dare un prodotto, hai delle scadenze, hai degli obblighi. Già lì diventa un lavoro e mi diventa una cosa particolarmente insopportabile.

Una cosa che ci arriva dal '77 è quella della coerenza e della ricerca di un lavoro, quando si riesce a trovarlo, in cui ci sia dentro anche una idealità, cioè il fatto di lavorare per una prospettiva di cambiamento o comunque di costruire qualcosa che ha un valore anche se è fatto nella società di adesso, con tutti i condizionamenti eccetera. Questa è una cosa che ci arriva dal '77: la questione della coerenza.

Comunismo, populismo, socialdemocrazia, fascismo e nazismo

"Il tentativo di imporre il primato della politica (organizzata in forme diversissime, dal pluralismo partitico socialdemocratico al partito monocratico di tipo comunista, fascista o populista) sulla logica autonomizzata dell’economia capitalistica pura, è stato l'elemento comune di di alcuni giganteschi fenomeni novecenteschi. Se poi vogliamo fare giochi estivi di nessuna importanza, e mi si chiede soggettivamente in che ordine “morale” e politico metto questi fenomeni, allora risponderò subito così: al primo posto metto il comunismo storico novecentesco nel suo insieme (nonostante bestialità, crimini, ecc.), poi metto il populismo terzomondista (Peròn, Nasser, ecc.), poi al terzo posto metto l’onesta socialdemocrazia (Palme, ecc., con esclusione della socialdemocrazia imperialista, interventista e bombardatrice alla D’Alema), ed al quarto ed ultimo posto metto il nazifascismo (di cui considero particolarmente imperdonabili il colonialismo razzista ed il razzismo di sterminio e quindi l’Etiopia di Mussolini del 1935 e lo Auschwitz di Hitler del 1942). Naturalmente questo non è affatto un gioco, ma è una cosa serissima. Il fatto che faccia questa classifica, e non un’altra, ha ovviamente dietro nel mio caso mezzo secolo di riflessioni di tipo storico, filosofico, storiografico e soprattutto morale. Quello che però voglio dire è che non basta accanirci interminabilmente in questi esercizi di storia passata. Perché il fatto è che questa storia è fondamentalmente storia passata. So bene che esiste il passato che non passa mai e la cosiddetta “lunga durata”. Ma il punto essenziale sta nel fatto che tutti e quattro questi fenomeni storici, diseguali e moralmente distinti, fanno ormai parte essenzialmente del passato."

Costanzo Preve

Commento di Maria
"Per Preve il comunismo novecentesco sarebbe stato un fenomeno storico "maestoso" e la cui comprensione richiede sempre una chiave di lettura marxista. La complessità di quel fenomeno è stata a volte, secondo Preve, una sfida per quelli che avrebbero provato a spiegarlo. Per alcuni "il comunismo sarebbe stato un'incresciosa parentesi utopicototalitaria ed ideologico-dispotica della grande storia universale della libertà, libertà a sua volta identificata con un grande centro commerciale globalizzato (Badiale-Bontempelli). A questo trionfo della Pantautologia (come direbbe Ignazio Silone) concorre la sinergia dei vecchi critici (la tradizione dell'anticomunismo liberale borghese da Hayek a Popper) e dei nuovi critici (i rinnegati sessantottini che devono avvelenare il pozzo in cui avevano bevuto nella loro stralunata gioventù in modo che nessuno più possa berci per l'eternità, eternità scambiata da loro per il restante della loro miserabile e fallita vita terrena). L'addizione di vecchi critici e di nuovi critici non caratterizza così la conoscenza del fenomeno globale del comunismo storico novecentesco, ma la sua esorcizzazione e demonizzazione «parentetica». Credo che tutto questo (scrivo nel 2007) dovrebbe durare ancora alcuni decenni, vista la forte integrazione ideologica sinergica fra le tre componenti del ceto politico specializzato della governance post-democratica, del circo mediatico televisivo e giornalistico integralmente americano-sionista e della classe universitario-accademica globalizzata in base a codici ispirati alla variante politicamente-corretta del pensiero unico neoliberale."

http://www.facebook.com/l/;files.meetup.com/508445/C.Preve-autopresentazione.pdf

Ciao!"

venerdì 13 novembre 2009

Ilio Barontini e l'Africa

Per dignità non per odio- GAP

Un eroe livornese: Ilio Barontini in Africa

Qualcuno penserà, ma cosa c’entra tutto questo con Livorno e il quartiere Pontino? C’entra perché la Costituzione non l’hanno guadagnata e scritta i Folgorini morti accanto ai tedeschi, ma gente come Ilio Barontini, livornese e abitante di questo quartiere. In questo articolo vogliamo ricordare la sua difficile missione in Somalia, nazione martoriata da una storia difficile fatta di invasioni, dominazioni sanguinarie e stragi civili. Somali, Etiopi ed Eritrei, purtroppo, a causa di queste vessazioni, ad oggi non trovano ancora pace. La loro patria è molto più a sud di El Alamein, ma oggi è gente molto vicina a noi, se consideriamo, ad esempio, la numerosa comunità somala ed eritrea livornese, composta nella stragrande maggioranza da rifugiati politici.
Ilio Barontini, nel 1938, decise di andare laggiù, insieme a allo spezzino Bruno Rolla e il triestino Anton Ukmar per aiutare questa gente a liberarsi dall’ “impero” fascista. Malgrado il pugno di ferro di Graziani, l’Etiopia era ben lontana dall’essere sottomessa. Barontini, Rolla e Ukmar avevano un lasciapassare del Negus e lettere di accompagnamento per gli alleati dell’imperatore. I tre erano chiamati i “tre apostoli”, Barontini era “Paulus”, Rolla era “Petrus” e Ukmar “Johannes”. C’è di più. Il Negus dette a Barontini il ruolo di consulente del governo provvisorio alla macchia e il titolo di vice imperatore. Barontini e gli altri due “apostoli”, che agivano in zone diverse, predicavano l’unità delle razze e delle coscienze. Riuscirono ad infondere il senso del nazionalismo. Non era mai accaduto nell’Africa tribale. C’era una fame terribile anche allora, in Etiopia. Per non pesare sulle tribù, Barontini faceva mangiare ai partigiani i coccodrilli. La polizia italiana seppe di Barontini e presto si sparse la voce di questo capo bianco che dirigeva la resistenza. Misero una taglia sopra la sua testa e fecero circolare la sua foto. Ma “Paulus” aveva una gran barba. Era irriconoscibile. Comunque andarono vicini alla sua cattura. Un capo tribù arrivò al comando di “Paulus” con i suoi uomini e chiese di entrare fra i partigiani. Poche ore dopo tentò di saltare addosso a “Paulus”, ma “Paulus”, che stava sempre in guardia e non dormiva due notti di seguito nel medesimo posto, evitò la tagliola e le suonò al traditore. Anche qui ci sono degli italiani che combatterono contro gli italiani. Oggi è chiaro che la spedizione in Etiopia fu un errore, un dispendio inutile di vite, di capitali. Che poi gli italiani agli ordini di Graziani e quelli che scesero laggiù per lavorare, fossero quasi tutta brava gente, è un altro discorso. Tanto è vero che Barontini non volle mai che fosse torto un capello ai soldati italiani caduti prigionieri. E tanti italiani sono rimasti nelle tribù, di loro volontà, dopo essere stati fatti prigionieri.

tratto da Il Quartiere n.7 (ottobre 2009)

giovedì 12 novembre 2009

Padroni


Il tipo che si è presentato nei locali della Eutelia cercando di cacciare i lavoratori che occupavano lo stabile appartiene a questa "stirpe" (link).

'Sto tipo, per me, fa pari e patta con l'altro leghista che voleva fare gli interessi dei lavoratori rivendendosi l'azienda INNSE. In attesa di quello, rifiutava le commesse che gli arrivavano perché la rendita è una roba che con il lavoro non ci azzecca niente.

Prototipi di padroni grezzi. Ma avanguardia cialtrona nei modi spicci di tutta quella massa di parassiti che ingrassano sulla pelle di noialtri.

Ora io penso che una sana dialettica, fatta da pseudo sbirri armati di mazze di ferro e rappresentanti di quella medio piccola impresa del Nord che tanto va di moda, è ciò di cui molti di voi hanno bisogno per ritornare alla sostanza delle questioni.

Altro che tavoli concertativi, mediazioni e triccheeballacche. Quella roba è la parte più stupida ed evidente di un sistema che intimamente condivide quell'approccio. Solo che quelli sono coglioni, gli altri in modo più raffinato si accontentano di mettere a libro paga qualche rappresentante sindacale o qualche deputato eletto dal popolo.

Questioni di capacità finanziarie, relazioni ed immagine.
Il punto è che le cose non è che vadano poi così tanto bene come si ostinano a raccontarci. Siamo tanto nella merda. La produzione industriale è sulle montagne russe, ma nel senso della discesa. Soldi le banche non ne danno. I cantieri sono fermi e ieri per la prima volta una delle più grosse aziende che si occupa di manutenzione delle strade, dalle mie parti, ha visto i suoi operai incrociare le braccia.

Il sistema va avanti con i debiti, si spera che qualcuno possa onorarli. Però non si sa chi.
L'immagine di quegli sbirri da operetta mi hanno riportato indietro nel tempo, a quando la Fiat usava i suoi "guardioni" per rompere i picchetti e provocare gli operai.
Dicono che Torino sia stata progettata con viali ampi e larghi per un motivo di ordine pubblico. La cavalleria del re in questi spazi poteva manovrare meglio.

Adesso il re non c'è più, i cavalli anche. Però i viali ed i padroni sono quelli.

mercoledì 11 novembre 2009

Scuola e 68

Da un commento su un blog

Due ordini di scuola in Italia hanno bisogno di una serio e profondo ripensamento: la secondaria superiore (21% di abbandono scolastico!) e l’università (diplomati iscritti: 38%, laureati 11%!)
L’unico ordine di scuola che negli anni ha promosso un rinnovamento della didattica, interventi sulle difficoltà di apprendimento e a favore dell’inclusione è stata la scuola elementare. Un impegno quotidiano di cui i saccenti non sanno niente.
Ma perché allora è la scuola che maggiormente ha subito questa macelleria grossolana che sta letteralmente scardinando una realtà apprezzata, anche nelle valutazioni internazionali? La necessità di razionalizzare è la scusa per i tagli, ma i tagli sono il pretesto per la vera ragione di questo blitz: la vera colpa della scuola elementare è di essere culturalmente irriducibile alla cultura che oggi vuole governare. "Quando il Ministro Tremonti rinfaccia alla nostra scuola di essere figlia del ’68 ci offre la vera chiave interpretativa." *
Ed è proprio così: la nostra scuola E’ figlia del ’68, ma non nell’allusione del ministro che la contrappone ad una scuola precedente che era“buona”; la scuola pre-68 non era buona, era una scuola che escludeva, era una scuola per pochi, una scuola autoritaria non autorevole, una scuola ingiusta. "All’inizio degli anni ’60 soltanto un bambino su 4 proseguiva gli studi oltre le elementari, e soltanto uno su 12 andava oltre la scuola media" (dal quotidiano “Europa” 7/9/2008). Cerchiamo di ricordarcelo, quando veniamo presi dalla fregola nostalgica: molti di noi non sarebbero qui a leggere questo blog se la scuola fosse ancora quella del bel tempo andato, se non avesse compiuto quel cammino di apertura e autocritica, di riflessione e di adesione a principi pedagogici, quelli sì moderni e rigorosi, che hanno permesso una vera e propria rivoluzione culturale non violenta, graduale, intelligente, senza blitz o alzate di ingegno.
"In questi decenni si è verificato un grande fenomeno di avanzamento sociale, un’autentica pacifica rivoluzione positiva: l’istruzione diffusa e generalizzata in Italia, per tutti e ovunque. Si è realizzato cioè uno dei dettati della Costituzione[…]Non vorrei che fosse questo in realtà, il vero approdo: indebolire questo sistema che offre opportunità di istruzione a tutti per sostituirvi un sistema in cui, fatte salve alcune punte di eccellenza consegnate al mercato, si abbandoni tutto il resto" (Sergio Mattarella, Ministro della Pubblica Istruzione 1989/90 – che NON E’ un comunista).

Sì la nostra è la scuola del ’68. Questo non significa che tutti gli insegnanti siano degli sfegatati comunisti, come si sogna qualcuno. Significa però che anche il più severo insegnante è un insegnante libertario, un insegnante che permette ai bambini di esprimersi, che sollecita la riflessione, che valorizza lo spirito critico, che offre una programmazione ricca e tante esperienze. Che ascolta e interagisce con i suoi allievi, e che crede nella frase “nessuno resta indietro”.
Sì, ha proprio ragione il ministro Tremonti, la nostra è una scuola che ha un debito con la “gloriosa pedagogia popolare-democratica e progressista […] che ha l’indiscutibile pregio di elaborare e sperimentare una scuola di sicura affidabilità teorica ed empirica”.**
La Signorina Gelmini*** non ha idea di cosa stia parlando, ma il Signor Tremonti lo sa bene: e questa è la vera ragione del massacro.

* Italo Fiorin – Presidente del Corso di laurea in Scienze della formazione – LUMSA – Roma

** Franco Frabboni – Direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerche Educative – Università di
Bologna

*** Laureata in Giurisprudenza, Concorso da Procuratore a Reggio Calabria

martedì 10 novembre 2009

Cronache dall'altro secolo



(Alfredo M. Bonanno e Christos Stratigopoulos sono rinchiusi nel carcere di Amfissa, a centocinquanta chilometri da Atene. Un carcere fatiscente, nel quale le condizioni detentive sono vicine a quelle di un campo di concentramento, tanto da essere soprannominato “il crematorio”. Sono stati rinviati a giudizio e aspettano il processo. Chi volesse scrivere loro può farlo inviando la corrispondenza a: Tzamala 3 - 33100 Amfissa - Greece. Il manifesto che vi abbiamo appiccicato qua sopra è – da quel che sappiamo - il primo scritto abbastanza sensato e significativo che sta circolando in Italia a proposito del loro arresto. Ci piace pubblicarlo qui, mescolandolo ai nostri racconti quotidiani di sommosse, evasioni e rivolte, proprio a dimostrare che “la dignità offesa che scaccia la disperazione e si trasforma in azione” non è una esortazione colma di speranza ma un fatto già concreto e che di processi insurrezionali in corso, bene o male, qualcuno ce n’è. Circoscritti e limitati quanto si vuole, ma meglio spendersi in questi che invecchiare aspettando i prossimi – sicuramente più vasti e puri e distruttivi –, magari lamentandosi a voce alta nell’attesa. Vi invitiamo dunque a scaricare e far circolare questo manifesto. E se poi avete voglia di leggere un po’, date una occhiata a questi brevi passaggi sulla “solidarietà” con i prigionieri, stralci di un articolo pubblicato proprio sulla rivista di Alfredo poco prima del suo arresto. Potrebbero essere un nuovo inizio di una vecchia discussione.)

fonte:http://www.autistici.org/macerie/?p=21703

lunedì 9 novembre 2009

Non mi chiedete se ho vinto o se ho perso

Poiché la politica con la p minuscola, che questo tempo esprime, non mi interessa più di tanto dedico un po' di questo spazio ai ricordi.
Lo faccio partendo da alcune testimonianze di compagni che, circa 10 anni fa, si riunirono per ripercorrere l'esperienza fatta in uno dei più famosi circoli del proletariato giovanile di Torino.
Il primo brano che propongo (non mi chiedete se ho vinto o se ho perso) è l'ultimo di un libretto che hanno scritto e che si trova in rete.
E' passato tanto tempo e quello che a molti di noi viene rimproverato è di essere ancora inchiodati a quei tempi. Sarà, forse, che quello che vediamo oggi non fa venir voglia di andare oltre la soglia di casa? Quello che è scritto nel brano lo condivido in gran parte, in particolar modo condivido il punto in cui alla fine di questa esperienza storica ed umana rimarrà un bilancio che ognuno di noi dovrà fare con la propria coscienza in funzione di come ha vissuto. Da quel punto di vista non è che mi senta tanto bene, alcune volte rimpiango il fatto di non aver dato corpo fino in fondo alle mie idee. Non credo che ci si possa limitare a "portare in tavola il pane" per la famiglia, perché quel pane lo produciamo noi ed il perché ed il come ,così come il quanto, rimane una questione ineludibile con cui da secoli si fa i conti.
Però adesso è così, anche se non ce ne siamo fatti una ragione.

...NON MI CHIEDERE SE HO VINTO O SE HO PERSO...

... all'interno del circolo c'erano dei comportamenti che rispondevano a bisogni che non sono stati recuperati dal mercato, cose che non sono monetizzabili...

... faccio una provocazione: forse il movimento del '77 è stato svilito e inglobato perché il mercato ha dato a ciascuno di noi la possibilità di realizzare le cose che avevamo prefigurato proprio attraverso il mercato stesso: ognuno ha trovato una sua nicchia.

Allora era possibile arrivare ad un compromesso facendo in modo che i soggetti antagonisti si realizzassero nel mondo delle merci, perché erano i rapporti di potere fra le classi che lo consentivano. Oggi il capitale produce dove vuole, cosa vuole e può esimersi dal contrattare con chi lotta e con i movimenti: a chi volesse meno orario e più salario il padrone risponderebbe "Chiudiamo qui e apriamo in Corea" o dove è più conveniente. Con questi meccanismi di ricatto, oggi tu non puoi più ritagliarti nessun tipo di compromesso. In qualche modo noi eravamo ancora tutelati da una situazione in cui il capitale non era riuscito a trasformarsi in maniera velocissima a livello internazionale...

... non credo che il movimento del '77 si sia esaurito perché le persone che ne facevano parte sono state assorbite dal mercato non avendo più niente da dire: il movimento è stato fermato, in qualche modo, con la repressione. Anche la lotta armata è servita da pretesto per fermare qualsiasi cultura di sinistra. Dopo ha sempre preso più piede il Pensiero Unico, la destra ecc. Gli anni ottanta io li ricordo come un periodo oscuro: non come una nicchia felice, ma come una nicchia cercata perché costretti dalla sopravvivenza...

... non ho l'impressione che sia stata la repressione a fermare il movimento. Ci sono state nella storia repressioni molto più forti che non hanno fermato le lotte dei movimenti e organizzazioni ad es. sotto il fascismo...Ad esempio il pentitismo, come fenomeno, non può essere solo stato causato della repressione...

... la repressione ha dato certo la spallata finale ma, secondo me, la causa centrale della fine è stata l'eterogeneità del movimento: tanti interessi, tanti bisogni, tutto messo insieme...

... anche le lotte dei minatori in Inghilterra nell’ottantaquattro e quelle della Fiat dell’ottanta sono ricordate ancora oggi in Italia ed in Inghilterra come una batosta pazzesca, una sconfitta enorme che ha cambiato il modo stesso di fare politica...

... C'è stata in Inghilterra, nel 1600, una rivoluzione grossa e violenta che l'ha devastata in lungo ed in largo. Lollardi, Livellatori, Diggers ne hanno fatte di cotte e di crude, ne hanno dette e scritte che se vai a leggere quelle cose dici "altro che il punk!" Hanno raggiunto livelli di sovversione incredibili: ma, spariti loro come persone (anche perché ne hanno ammazzati a migliaia), tutto è tornato come prima...

Io ricordo che in quest'ultimo periodo ero molto critico nei confronti del modo in cui ci eravamo mossi: ci eravamo fatti prendere in un meccanismo stile percussione, un colpo da una parte e uno dall'altra, solo che gli altri erano molto più forti e noi eravamo sempre di meno, sempre meno motivati e sempre meno capaci di star dietro alla situazione. Il circolo nostro è stato chiuso e non siamo più riusciti a organizzare niente. Il Leoncavallo è rimasto aperto, era stato occupato nel '75, anche perché loro erano molto più radicati sul territorio, sono stati più capaci a muoversi, poi Milano è tutta un'altra situazione.

... purtroppo gli slogan "riprendiamoci la vita", "partiamo da noi stessi e dai nostri bisogni", per qualcuno hanno voluto dire: riprendiamoci i nostri soldi, riprendiamoci le nostre carriere, riprendiamoci l'eredità di papà; per altri invece hanno voluto dire: riprendiamoci il cazzo nel culo, facciamoci le pere, facciamoci sparare. Adesso sto tirando giù in modo provocatorio, però tutto questo ha forse voluto dire individualismo sfrenato. Io non riesco a fare un bilancio preciso di quel periodo, ma il rischio di quelle parole d'ordine era proprio questo. È vero: noi si rifiutava il concetto alienato di militanza: andare a dare volantini davanti a fabbriche a gente che non sapevi manco chi cazzo era, che spesso aveva l'età del padre a cui eri contrapposto in famiglia. Ma, se parto solo dai miei bisogni, finisce che faccio solo il cazzo che mi pare a me, e per molti la banalizzazione di queste parole d'ordine ha voluto dire anche questo;

...La sinistra rivoluzionaria era sparita come forma organizzata, e noi in quel periodo a Torino, in pochi mesi, ma molto intensi, abbiamo riempito quel vuoto come eravamo capaci di fare e ci siamo dedicati in qualche modo a delle cose anche più grandi di noi, non perché non fossimo capaci, ma perché noi eravamo radicati sul territorio, avevamo messo insieme gruppi di amici...

... e pensate agli spettacoli oggi: enormi concerti anche gratuiti, tantissima offerta dai privati o dagli enti locali e tutto è partito allora anche per risposta alle nostre rivendicazioni...

... L'impressione è che noi abbiamo messo in piedi una roba effimera: le società sono come il mare, ma dentro ci sono cose fatte di roccia: la chiesa cattolica sono duemila anni che sta lì a rompere i coglioni, e loro usano dei metodi ben precisi per darsi continuità nel tempo.

Oggi mi sembra che quello che abbiamo fatto nel '77 fosse buttare acqua sui muri: s'asciuga. Vabbè, se ne butti tanta, il muro un po' si scrosta, ma cinquant'anni dopo la casa è ancora in piedi e la pioggia è passata, dimenticata. Quindi la politica è una roba che necessita di certi metodi, strumenti e organizzazione e non c'è un cazzo da fare, noi su quel terreno abbiamo perso...

... Lotta Comunista, ad esempio, è una struttura non effimera, che dura nel tempo, gente se ne va, gente arriva e le fanno una bella scuola quadri, ma non cambia un cazzo. Anche noi avremmo potuto fare la stessa cosa, ma non sono convinto che questi metodi garantiscano il cambiamento vero.

... è vero che tutta una serie di comportamenti sono rimasti. Non sono molto visibili, sono sotterranei, ma ci sono e mantengono una certa coerenza rispetto ad allora...

... le organizzazioni, i partitini della sinistra rivoluzionaria cercavano d'inseguire la società, che è un casino complessa, e si articolavano il più possibile: studenti, operai, disoccupati, proletari in divisa, cercando anche di farlo sul territorio, nella nazione; ma questa roba si è completamente spappolata nel '77. Tutto è stato frantumato e triturato. Ognuno poi si è ridotto a gestirsi, appunto, il proprio personale, la propria individualità più o meno per gruppi piccoli, molecole, più o meno per coppie o per famiglie o per bande...

... oggi stanno sicuramente venendo di nuovo al pettine una serie di contraddizioni irrisolte che creeranno sicuramente grossi casini; sarebbe utile vedere quali delle nostre esperienze passate potrebbero essere utilizzate, visto che sempre più gente viene tagliata fuori e sempre meno la società è in grado di rispondere alle domande: così come noi non siamo stati in grado di affrontare la complessità, non è detto che gli altri riescano a governarla la complessità...

... La maggior parte delle persone che hanno continuato delle attività, l'hanno fatto in un ambito ristretto: c'è chi si è occupato più di ecologia, chi si è occupato di problemi internazionali delimitandoli anche molto, uno Cuba, l'altro il Vietnam o il Nicaragua, scegliendo cioè un settore molto specifico e ristretto proprio come fuga dal confronto con la complessità. E non perché tutto il resto interessasse poco, ma uno diceva <>, che può essere anche stato un problema di coscienza: <> ...

... negli anni settanta si sta rompendo quella forma di patto sociale, che gli economisti chiamano "compromesso di tipo Keynesiano", tra classe lavoratrice e padronato che garantiva un reddito minimo alle famiglie consentendo l'accesso al consumo delle merci. Queste merci erano prodotte però da un sistema di produzione abbastanza rigido di tipo fordista. Questo patto sociale ti permetteva la macchina, un livello di istruzione secondario, gli ospedali... ti permetteva tutta una serie di cose. Quel modo di produzione era legato alla fabbrica tayloristica ed era rigido: bastava bloccare un punto per fermare tutto. Questo ha provocato processi di ristrutturazione che non erano solo legati alla necessità di rispondere alla lotta operaia, ma anche al fatto che la società stava cambiando. Vorrei collegare questo al problema dei bisogni e della soggettività: forse il nostro modo di porci di allora, frammentato e più individualistico, è servito anche da stimolo nei confronti di un assetto produttivo che stava cambiando verso il mercato diversificato: si passa da un modello di mercato che produce e che poi si pone il problema di trovare delle persone che comprano, ad un mercato in grado di produrre in funzione di bisogni diversificati e molteplici. I nostri comportamenti d'allora e il nostro modo di partire dai nostri bisogni sono stati utilizzati: il sistema produttivo fa questo di continuo usando elementi che agiscono nella società per trasformarsi continuamente. Non a caso i sistemi di comunicazione oggi utilizzano molto le forme che noi usavamo allora col teatro di strada, o con le forme più dirette o ironiche. La pubblicità oggi usa molto queste forme che erano un nostro mezzo creativo di allora, ad esempio le trasmissioni con la linea telefonica diretta che erano partite dalle radio libere...

... Se tu oggi mi dici: "facciamo un bel partito strutturato e poi facciamo la rivoluzione", io ti rispondo che non ci credo. Quel modo di fare politica è finito qui in Italia in quegli anni lì, ma, andiamo a vedere cosa è successo dove dicono esserci stata la rivoluzione comunista! Non si può certo dire che tutto sia andato bene, anzi. Guardiamoci intorno: oggi la gente si scanna per il colore della pelle, per una religione. A me non frega un cazzo di sapere come scopi, se in una posizione o nell'altra, però cosa tu pensi del razzismo, di tolleranza, eccetera, diventa importante, perché oggi dobbiamo fare i conti con marocchini, albanesi, senegalesi ... la nostra visione, più o meno marxista, deve fare i conti con queste altre culture, in Italia non ci siamo solo più noi ...

... La risposta che ho dato rispetto ad allora e che continuo più o meno a dare è questa: forse l'alternativa è cercare di essere coerente con la propria visione del mondo, delle cose e di sé stessi e di cercare di produrre dei cambiamenti all'interno delle singole realtà. Tenendo conto che è un casino perché da soli è dura, questo però non ci può esentare da questa cosa qui.

... sono passati vent'anni, ma ci si ritrova ancora a parlare qui con un certo spirito. Molti hanno fatto delle scelte non lontane dai presupposti d'allora: ci sono quelli che vivono ancora fuori dalla famiglia con modi alternativi, che usano il denaro in un certo modo. C'è il rifiuto della modernità e si cerca di vivere la propria vita basandola su dei valori che allora erano prioritari come lo sono oggi: essere anziché apparire ad esempio. Secondo me, è stata una generazione che non ha perso e non se l'è presa nel culo: io, da questo punto di vista, non mi sento assolutamente un perdente. È vero il potere non è stato preso, oggi c'è il PDS e allora c'era la Democrazia Cristiana e sappiamo che tutto è uguale, ma non mi sento un perdente, perché mi sembra che nella mia vita, così come in quella di tanti, si sia riusciti a mantenere una coerenza ed anche una linea rispetto a quello che pensavamo allora: dicevamo "lavorare meno lavorare tutti": nessuno o quasi lavora in fabbrica, nessuno ha sacrificato la propria vita appresso al mito del lavoro, che allora era comunque forte, cerchiamo di avere rapporti umani di un certo tipo e questo è rimasto un bisogno fortissimo; c'è una ricerca continua di contatti. Non è successo che ognuno sia andato per la sua strada facendo carriera...