domenica 1 febbraio 2009

Quale è lo sbocco alla crisi per la società?


Verrebbe facile scrivere, rispetto a quello che capita in Inghilterra, " ma di cosa vi lamentate se vi trattano così?".
Abbiamo alimentato anche noi, a casa nostra, un senso di intolleranza verso tutto quello che è straniero e che non ci appartiene, in termini di identità locale ,che riesce difficile pensare che da altre parti non si muovano logiche identiche .
E' evidente che ora tutto questo (iniziando dalla questione del lavoro) si scarica sull'anello sociale più debole del sistema.
Io credo che, se continuerà a peggiorare la crisi, entreranno in conflitto due questioni: 
-la prima sarà quella di garantire un lavoro (qualsiasi lavoro) alla manodopera locale 
-la seconda trovare mercati di sbocco per braccia in esubero.

A questo si aggiunge la pressione di moltitudini di persone che a casa loro non hanno alcuna speranza di sopravvivenza.
Questo sistema fa fatica a reggere. La prospettiva sempre più vicina è lo spaccare la società in pezzi. Questi pezzi saranno territori rinchiusi in se stessi e all'interno degli stessi classi di individui distanti in termini di ricchezza.

Il grafico elaborato da manpower indica le previsioni di utilizzo di lavoratori a termine da qui a tre mesi in Italia. Come potete vedere c'è una caduta di circa il 10% rispetto a Settembre 2008.


Se è vero che la crisi è solo all'inizio questa tendenza non farà che peggiorare. I lavoratori precari sono le prime vittime, gli altri seguiranno. Prima nelle piccole aziende in cui il licenziamento è una prassi più agevole, poi seguiranno le medie e le grandi.

Ieri Tremonti ha affermato che ad una crisi finanziaria non si può reagire drogando la domanda nell'economia reale. Rimane ancora incomprensibile cosa si può fare dal suo punto di vista.
Il sospetto è che, in fondo, l'avvitarsi di una situazione di questo tipo faccia comodo proprio a quei settori della borghesia che hanno interesse a preservare quei pezzi di società e di territori in cui si sentono più sicuri nella produzione dei loro profitti.

E' una sorta di gigantesca matrice quella in cui si consuma tutto questo. Da una parte una riorganizzazione dello stato in grado di rispondere meglio a quei settori della società che sentono i lacci di un sistema che chiede sempre più risorse e che non è in grado di generarle allo stesso modo dappertutto.  
Su un altro asse un riassetto produttivo e finanziario che passa attraverso il ridisegno di assetti di potere, regole e rapporti tra classi sociali.

Un sistema sovranazionale e omogeneo per quanto attiene alle regole del gioco ed alla gestione dei rapporti con i subordinati e, nello stesso tempo, parcellizzato e ridotto ad entità sempre più piccole   sia  nella sua dimensione territoriale che in quella delle sue corporazioni.
Che questo avvenga con un disegno consapevole o come risultato logico e di sintesi di forze dialetticamente in "guerra" è cosa di poco conto.
guardiamo ai risultati ed alla sostanza della questione.
E' un cammino iniziato molto tempo fa, che ha ridotto la forza contrattuale e di rottura di un intera classe sociale, che ne ha disperso la forza e l'identità. In questo ci sono complici consapevoli e portaborse con la testa china.

In tutto ciò un vuoto dato dall'assenza di una forza antagonista ed in grado di rispondere o resistere a queste dinamiche. Il rischio è che, nel processo disgregante e d'impoverimento generale, le uniche risorse che scenderanno in campo sono quelle che pur in letargo non hanno abbandonato l'idea di una resistenza "armata". 
Ognuno di noi si porta il suo piccolo pezzo di responsabilità. La mancanza di un progetto o semplicemente il non aver saputo continuare a sviluppare, in modo coerente  con i processi che si sono prodotti, un pensiero "scientifico" e marxianamente coerente.

Suggestioni che hanno fatto della dimensione particolare la spina dorsale di qualsiasi elaborazione teorica "nuova". Lo stesso movimento no-global che ha guardato alle dinamiche di accumulamento della ricchezza e dello sfruttamento in modo "retorico" e "moralista". Dimenticandosi della dimensione di classe, senza avere nulla da proporre se non una visione della vita autarchica e ridotta all'essenziale. Come se il problema di milioni di persone sfruttate e povere non fosse, al contrario, quella di liberarsi della povertà e dell'essenzialità che questa si porta dietro.
Questo è quello che ci ritroviamo, il particolarismo, l'identità e le radici giocate ideologicamente in una chiave di proposta "fascista". Cosa che non è una novità.
Dobbiamo attendere di ricostruire sulle macerie per trovare  nuova forza? Spero di no.


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