venerdì 31 luglio 2009
Occupare le fabbriche.
giovedì 30 luglio 2009
Bentornato Marx

Pubblichiamo la rubrica Cantieri sociali, in uscita il 30 luglio su il manifesto.
Confesso che è con una certa, maligna soddisfazione che abbiamo deciso, e fatto, la copertina dell’Almanacco di Carta [un numero monografico di 100 pagine che resterà in edicola fino al 27 agosto] con un gran faccione i cui lineamenti sembravano essersi dissolti nell’oblio: quello di Karl Marx.
L’Almanacco è dedicato alla Grande Crisi, il cui peggiori effetti – tutti dicono – precipiteranno in autunno su lavoro e reddito, migranti e territorio [le leggi sull’edilizia che le Regioni stanno approvando a ritmo accelerato promuovono una economia stracciona e predatoria per supportare l’illusione della «ripresa»]. E questa Crisi [la scrivo con la maiuscola per non confonderla con le crisi minori che si sono susseguite negli ultimi due decenni] è talmente radicale e aggrovigliata, tra cause finanziarie e produttive, sociali e democratiche [a proposito di chi comanda nella globalizzazione], e ovviamente naturali [la crisi climatica], da zittire, almeno temporaneamente, la falange di «economisti di sinistra» che da anni ci spiegano, con supponenza, come la soluzione sia tornare a Keynes, al controllo statale sull’economia, al «deficit spending» e all’allargamento dei consumi.
Ma siccome il pianeta non è un serbatoio inesauribile di materie prime, siccome lo stile di vita occidentale non è esportabile in tutto il pianeta [perciò l’economia capitalista si è trasformata in una macchina per selezionare ed escludere], siccome di indebitamento ce n’è per i prossimi tre secoli [e oggi si aspetta il crollo del sistema statunitense delle carte di credito], siccome l’uscita di sicurezza della produzione «immateriale» contraddice se stessa [secondo Michael Hardt, il co-autore di «Impero», del quale pubblichiamo un breve saggio inedito], e siccome gli Stati non sono enti neutri né tanto meno addetti al pubblico benessere e invece sono i guardiani del capitale e i tutori delle banche [di intervento «pubblico» ne abbiamo visto molto, in questi mesi, ma tutto nella direzione sbagliata], ecco che alzandosi sulla punta dei piedi conviene guardare oltre Keynes, e il suo contesto «fordista», fino a Marx. Se non altro, per prendere atto che la Crisi è sistemica, non solo «ciclica»: non è cioè una burrasca dopo la quale, come vorrebbe far credere il gaudente Berlusconi, gli affari ricominceranno come prima, un’allargatina alle cubature di casa qui e una centrale nucleare là.
Dunque ci chiediamo, insieme al citato Hardt, a Tonino Perna, a Andrea Fumagalli e a Paolo Cacciari [il quale affronta la questione del lavoro dal punto di vista dell’impossibilità della «crescita infinita»], perché anche i grandi media anglosassoni, fuori dalla provincia italiana, siano tornati a leggere il vecchio tedesco ebreo comunista e clandestino. E per essere ancora più precisi, oltre alle analisi da vari punti di vista sulla Crisi, ad esempio quella di Antonello Ciccozzi sul perfetto esempio di «shock economy», come dice Naomi Klein, che Berlusconi e il suo profeta, Bertolaso, stanno apparecchiando a L’Aquila, e ai molti numeri raccolti ordinatamente da Alberto Castagnola in una ampia ricostruzione dell’andamento della recessione globale, raccontiamo storie di esseri umani: operai italiani e francesi, studenti, migranti «clandestini», gente della periferia di Detroit, argentini ingegnosi nell’inventare nuovi lavori, eccetera.
Il nostro scopo sarebbe di depositare negli zaini e nelle borse di chi, almeno per qualche giorno, se ne andrà in vacanza, roba interessante da leggere e buona per riflettere un po’ alla vigilia del diluvio. Tonino Perna, ad esempio, sostiene che le situazioni in cui chiunque sente in pericolo il suo benessere e le sue sicurezze di vita sono quelli tipici che spingono verso derive razziste e antidemocratiche. Alla ripresa di settembre avremo insieme la mietitura dei posti di lavoro e la potatura dei redditi, e la caccia al «clandestino» [già ora i migranti disertano ospedali e presidi sanitari, ad esempio], e una accelerazione della militarizzazione della vita sociale, incluse le «ronde». Tutto si tiene. E trovare gli antidoti, dal punto di vista economico e da quello democratico e sociale, richiederà non solo grande coraggio, ma un balzo all’insù dell’immaginazione, perché le ricette del passato appunto non sono più efficaci. Il faccione di Marx, da questo punto di vista, può essere incoraggiante.
mercoledì 29 luglio 2009
Tradire la propria gente in Palestina
Sharon : Ho insistito molto per tenere questo incontro prima del prossimo summit, in modo da concludere tutti gli aspetti tecnici e di mettere i puntini sulle “i”. Non dovremo trovarci di fronte a zone d’ombra e ad interpretazioni casuali nei prossimi giorni.
Dahlan : Se non aveste sollecitato voi questo incontro, l’avrei fatto io.
Sharon : Per prima cosa, dobbiamo tentare di liquidare tutti i capi militari e politici di Hamas, del Jihad Islamico, delle Brigate Al-Qassam e del Fronte Popolare.
Abu Mazen : Certamente questo metodo non conoscerà altro che il fallimento, noi non potremo eliminarli e nemmeno affrontarli.
Sharon : Allora, qual è il vostro piano?
Dahlan : Noi vi avevamo messo a conoscenza del nostro piano per iscritto, così come gli Americani. In realtà, abbiamo bisogno di un periodo di calma per poter mettere completamente le mani sui servizi di sicurezza e su tutte le istituzioni esistenti
Sharon : Ma fino a quando Arafat occupa la Muqata a Ramallah, siete voi che andrete incontro al fallimento, molto sicuramente. Quella volpe vi sorprenderà come ha già fatto. Lui conosce tutte le vostre intenzioni. Farà di tutto per mettervi in scacco. Lui grida da tutti i tetti che vi utilizzerà per il lavoro sporco.
Dahlan : Lo vedremo, chi è che sfrutta l’altro!
Sharon : Il primo passo dovrà essere l’assassinio di Arafat, avvelenandolo. Io non voglio espellerlo verso un altro Paese, se non avrò una garanzia internazionale che sia assegnato ad una residenza obbligata, altrimenti tornerà.
Abu Mazen: Se Arafat muore prima che siamo in grado di prendere in mano la situazione, mettere le mani sulle istituzioni, sul movimento di Fatah e sulle Brigate di Al-Aqsa, incontreremo molte difficoltà.
Sharon : Al contrario: voi non otterrete nulla fino a quando Arafat sarà in vita.
Abu Mazen : L’idea è che facciamo passare tutto attraverso Arafat, e questa sarà un’occasione sia per noi che per voi. Così, lo scontro con le fazioni palestinesi e la liquidazione dei loro capi peseranno sulle sue spalle. La gente non dirà che è Abu Mazen a fare questo e quello. E’ il Presidente dell’Autorità Palestinese che l’avrà fatto. Io conosco bene Arafat. Lui non accetta mai di essere messo in disparte, vuole sempre restare il raïs. Se perdesse tutti i privilegi, se non gli restasse che la scelta di una guerra civile, preferirebbe restare raïs.
Sharon : Prima di Camp David, voi dicevate che Arafat era sempre l’ultimo ad essere messo al corrente. Ma Barak e Bill Clinton sono rimasti sbalorditi, perché conosceva ogni cosa e nei dettagli.
Dahlan : Noi abbiamo messo in campo un servizio che mischia (unisce) elementi della polizia e del servizio di sicurezza preventiva. Il numero dei suoi elementi ha superato i 1800. Questo munero sarà aumentato con elementi che voi approverete. E noi imponiamo agli ufficiali condizioni difficili e facciamo di tutto perché ci obbediscano. Lavoriamo per mettere da parte tutti gli ufficiali che si permettono di mettersi sulla nostra strada. E non faremo sconti a nessuno. Abbiamo cominciato intensamente a mettere sotto controllo i membri pericolosi di Hamas, del Jihad Islamico e delle Brigate di Al-Aqsa. Se voi mi chiedeste di designare le cinque persone più pericolose, potrei darvi i loro posti con precisione. Questa precisione vi permetterà di colpirli rapidamente, prima che abbiano fatto un solo gesto contro di voi. Ed ora puntiamo ad aprire dei varchi nelle fazioni palestinesi, per potere più avanti smantellarle e liquidarle.
Sharon : Io vi appoggerò dal cielo per colpire ogni obiettivo per voi difficile. Tuttavia, ho paura che Arafat abbia potuto infiltrarvi ed abbia trasmesso i vostri piani ad Hamas, al Jihad Islamico ed agli altri.
Dahlan : Questo servizio non ha nulla a che vedere con Arafat, né da vicino, né da lontano, eccetto che per i salari, attraverso Salam Fayyad (il ministro delle finanze dell’epoca). Abbiamo potuto stanziare un budget per questo servizio. Arafat sta perdendo il suo potere. Non lo lasceremo a questo punto.
Sharon : Noi dobbiamo facilitarvi la liquidazione dei capi di Hamas, iniziando con il provocare una crisi per poter uccidere tutti i capi militari e politici. Così, controllare il terreno sarà più facile.
Abu Mazen : In questo modo, falliremo totalmente; non avremo la capacità di eseguire le parti del piano. Inoltre, la situazione esploderà senza che si abbia la forza per padroneggiarla.
La delegazione americana: Crediamo che il piano di Dahlan sia perfetto e che bisogna lasciargli un periodo di calma per un controllo totale. Voi dovete ritirarvi da alcuni territori e lasciare la questione della sicurezza alla polizia palestinese. Ma appena sarà effettuata un’operazione (della resistenza, n.d.t.), voi tornerete e colpirete duramente, in modo che la gente senta che i resistenti sono un vero fardello e che sono loro che obbligano l’esercito israeliano a tornare nei territori evacuati.
Sharon : Abu Mazen stesso ci consigliava di non ritirarci prima della liquidazione delle infrastrutture del terrorismo (…).
Abu Mazen : Si, è vero, io ve lo avevo consigliato, pensando che ci sareste riusciti. Infatti, avevo creduto che voi ci sareste riusciti e rapidamente.
Dahlan : Le carte della riuscita sono attualmente nelle nostre mani. E Arafat perse sempre di più il controllo. Noi abbiamo sempre di più le mani sulle istituzioni. E per quel che riguarda àa forza comune di sicurezza, fra la polizia e la forza preventiva, è sotto la direzione del colonnello Hamdi Ar-Rifi, che voi conoscete perfettamente. Vi abbiamo inviato dei documenti a questo proposito. E’ importante che questa forza non sia sotto la direzione di Arafat e che non accetti ordini da lui. Per cominciare, andiamo a lavorare nel nord della Striscia di Gaza. Per quanto riguarda le Brigate di Al-Aqsa, presto saranno per noi un libro aperto. Abbiamo pianificato tutto perché abbiano un solo capo e liquideremo chiunque si metta sulla nostra strada.
Sharon : Approvo questo piano. Per farlo riuscire e non impiegare troppo tempo, bisogna uccidere i leader politici e militari importanti come Rantissi, Abdallah Al-Chami, Zahhar, Abu Chanab, Haniyeh, Al-Majdalani, Mohammed Al-Hindi e Nafed Azzam.
Abu Mazen : Ma questo farà esplodere la situazione e noi perderemo il controllo di tutto. Bisogna cominciare con un momento di calma al fine di controllare il terreno. E’ meglio sia per noi che per voi.
Dahlan : Senza alcun dubbio, abbiamo bisogno del vostro sostegno sul terreno. Noi approviamo l’assassinio di Rantissi e di Abdallah Al-Chami. Uccidere queste persone provocherà un’anarchia ed un grande vuoto nei ranghi di Hamas e del Jihad Islamico, perché sono loro i veri caïd.
Sharon : Finalmente, cominci a capire, Dahlan!
Dahlan : Ma non ora. Bisogna ritirasi da una gran parte di Gaza in modo che noi abbiamo una buona credibilità agli occhi del pubblico. E quando Hamas e il Jihad Islamico avranno violato la tregua, voi li ucciderete.
Sharon : E se non la violano, voi gli lascerete preparare delle operazioni contro di noi, così avremo la sorpresa che la regua avrà lavorato contro di noi.
Dahlan : Non potranno essere pazienti durante la tregua, vedendo le loro organizzazioni in procinto di smantellarsi. Allora, violeranno certamente la tregua, e quello sarà il momento propizio per attaccarli. E toccherà a voi giocare, Sharon !
La delegazione americana: E’ una soluzione logica e pratica.
Sharon : Io non dimentico che voi dicevate al Partito Laburista, ed anche a noi, che controllavate tutto. La realtà era diversa. Lasciatemi preparare il terreno a modo mio.
Abu Mazen : Il primo articolo della « Road map » prevede che ci sosteniate nella nostra lotta contro il terrorismo. Noi pensiamo che il miglior sostegno sarà che vi ritiriate da una parte della Striscia in modo che possiamo controllarla. E noi abbiamo detto che non permetteremo ad alcuna autorità, a parte la nostra, di esistere sul terreno.
Sharon : Abbiamo detto più di una volta che i nostri migliori sostegni saranno gli aerei e i carri armati.
Abu Mazen : Ma questo non sarà affatto un sostegno.
La critica delle armi
Come viene amministrata la giustizia da quelle parti. In questo documento di denuncia si fanno nomi e cognomi di narcotrafficanti e politici corrotti. Quei nomi vengono accostati a quelli di compagni che si battono contro la privatizzazione di un'area che si chiama aquaazul. Gente che è finita in galera perché si batte per salvaguardare diritti che non hanno la possibilità di finire in prima pagina qui da noi.La differenza la fanno il peso delle condanne. Un carico di droga vale meno di una protesta civile.
E siamo in Messico, paese democratico.
Già, noi siamo troppo impegnati a seguire quello che avviene in Iran piuttosto che in Afghanistan. Lì o mandiamo i nostri soldati ad esportare la democrazia o trattiamo la questione scandalizzandoci perché la polizia reprime le manifestazioni.
Come se fosse una novità.
Eppure avremmo molto da lavorare in materia di diritti guardando e pulendo solo il nostro orticello.
Ricordo che una delle pratiche degli squadroni della morte, in Salvador, era quella di tagliare la testa a quelli che venivano identificati come "terroristi". Lasciavano i corpi e la testa nelle piazze dei paesi. Noi, anime candide, abbiamo scoperto queste pratiche quando è toccato ad un occidentale in Iraq.
Di questo gli ultimi della terra, i migranti, i reietti, i poveri, quelli che passano la vita sul filo di un'esistenza fatta di sforzi e testa china per sopravvivere hanno coscienza.
E allora non meravigliatevi se ci toccherà fare i conti con qualcosa che turberà la vita ordinata ed imbalsamata nella finta quiete dei giorni che passano.
Basterà scavare, come la goccia con la roccia. Perché in quel momento la "violenza" sarà un diritto di chi ha meno. Per cosa vi chiederete. Beh, guardatevi attorno o provate a vivere quella condizione e lo saprete da voi.
http://www.mediafire.com/?azilimhh4ij
martedì 28 luglio 2009
Siamo un popolo pacifico che si meraviglia della guerra
Due nuovi attacchi, tre militari italiani feriti: un bersagliere rimasto ferito in una battaglia di oltre cinque ore nella provincia di Farah e due militari feriti a bordo di un blindato a Herat, per l'esplosione di un ordigno nascosto su una motocicletta.
Stupisce lo stupore dei media italiani, che domenica 26 luglio titolano sulle 'truppe italiane sotto attacco' descrivendo con analisi e inviati quello che PeaceReporter va raccontando fion dall'inizio della campagna afghana del contingente italiano. Quando i caveat imposti dal Parlamento erano ben più rigidi di oggi, PeaceReporter ha denunciato l'eristenza di operazioni segrete, vere e proprie azioni di guerra. Era il dossier dell'Operazione Sarissa, con squadre di incursori impiegati senza cronache o comunicazioni ufficiali che potessero turbare il dibattito politico del Paese.
I caveat sono stati rivisti, il contingente è aumentato, le critiche interne ai militari dicono cose precise: sono messi in difficoltà dalle limitazioni rispetto allemoperazioni che stanno conducendo e sono equipaggiati in maniera spesso errata. Una dimostrazione efficace del nodo 'armamenti' sta in un semplòice accostamento che si trova mettendo a confronto due interviste: la prima, sulle pagine del Corsera, vede il ministro degli Esteri Frattini affermare che 'dobbiamo utilizzare i Tornado', i caccia bombardieri inviati alcuni mesi fa nel teatro di guerra afghano. La seconda è sulla Stampa di Torino: il generale Angioni risponde a una domanda affermando che proprio i Tornado non servono un granchè nel tipo di guerra che si sta sviluippando sul territorio. Dice testualmente: "I Tornado appartengono a un armamento utile per gli equilibri fra Nato e Patto di Varsavia", per l'Afghanistan sono vecchi di almeno 25 anni.
Dalle pagine di Repubblica spiccano le parola di un altro generale, di cui PeaceReporter riporta spesso l'opinione: Fabio Mini. Scrive nel suo taccuino strategico, fra l'altro: " La sorpresa per gli attacchi, per i feriti e perfino per i morti dovrebbe essere ormai bandita perché quello che è successo ieri è esattamente quello che succede ogni giorno" e conclude ricordando che è una "situazione di guerra alla quale ci dobbiamo abituare".
L'ultimo accento del dibattito nazionale è il pragmatismo leghista di Umberto Bossi, che scopre il costo - più che umano economico - della missione. Una frase per distinguersi che dice solo ora , come se non facesse parte di quella coalizione di governo che sull'Afghanistan sta giocando i buoni rapporti con le amministrazioni statunitensi. "Se fosse per me li riporterei a casa, visti i costi e i risultati", ha detto.
Ripubblichiamo le cronache di guerra che ben ci ha raccontato il nostro inviato, Enrico Piovesana, Sono e resteranno corrispondenze di tremenda attualità.
Angelo Miotto
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Da Peace Reporter, vedi anche:
Afghanistan, morire da alleati
L'artiglio della pantera
Una lunga estate calda
Nell'occhio del ciclone
Radio micciacorta
Di che si parla? Questa sera di viaggi. Vi porterò un po' in giro con me, razza di bamboccioni incalliti.
Ci sarà un viaggio vero ed uno da "organizzare". Quello vero vi porterà nella terra degli Exil, quello da progettare nel conflitto. Quello vero.
ore 20,45, ed abbiate pazienza se sentite un pò di casino
lunedì 27 luglio 2009
Quando la lotta non è un pranzo di gala
Fonte: Repubblica del 27 luglio 2009
E' stato annullato l'acquisto dell'acciaieria cinese dove gli operai hanno ucciso il direttore, infuriati per una raffica di licenziamenti dovuti all'acquisto della fabbrica da parte di un'altra azienda del settore.
"Il governo provinciale di Jilin (la provincia dove si trova la fabbrica) ha deciso di bloccare la fusione - ha reso noto un responsabile -. La polizia ha aperto un'inchiesta sull'omicidio". L'agenzia di stampa Nuova Cina ha comunicato che l'acquisizione della fabbrica è stata annullata "per impedire alla situazione di aggravarsi".
L'episodio è avvenuto venerdì. Circa 30.000 lavoratori dell'acciaieria, che protestavano contro l'acquisizione, hanno picchiato a morte il manager e si sono scontrati con la polizia con un bilancio di un centinaio di feriti.
Secondo il Centro di informazione per i diritti umani e la democrazia di Hong Kong, la notizia che la Jianlong Steel Holding Company, una azienda di Pechino, stava rilevando la quota di maggioranza della Tonghua Iron e Steel Group, statale, ha scatenato le proteste nella provincia nordorientale di Jilin.
Chen Guojun, il direttore generale della Jianlong, è stato picchiato a morte dagli operai, infuriati dopo aver saputo che il manager lo scorso anno aveva guadagnato circa tre milioni di yuan (poco più di 300 mila euro), mentre gli operai della Tonghua che andranno a casa ne prenderanno 200 al mese. Gli operai, che hanno bloccato anche alcune strade e distrutto tre auto della polizia, non hanno lasciato passare l'ambulanza inviata per soccorrere il dirigente.
La Cina, il maggior produttore e consumatore di acciaio del mondo, sta cercando di razionalizzare il settore, ma questi progetti incontrano la forte resistenza dei lavoratori e dei governi locali, preoccupati dei contraccolpi economici in un periodo di crisi globale.
domenica 26 luglio 2009
Sottoproletariato urbano e processi irreversibili di impoverimento globale
fonte: http://www.autistici.org/macerie/
Il Terzo Mondo, se mai è esistito come altrove, è oramai scomparso. Il Terzo Mondo è qui. E ciò a motivo di profonde e incoercibili ragioni: “È ovvio che con l’odierno mostruoso estendersi del Capitale su ogni aspetto della vita umana, con la conquista di ogni angolo del Pianeta alla sua sfera d’influenza, specie nella forma imperialistica finanziaria, si estende alla scala planetaria anche l’attrazione e la repulsione di forzalavoro. Così la sovrappopolazione relativa è sempre più attratta o respinta a seconda della concentrazione di capitale nelle varie aree del mondo. Masse enormi di uomini si spostano rompendo ogni legame con la loro terra, disegnata da frontiere politiche ormai diventate anacronistiche […], e l’eccedenza di umanità senza riserve dilaga senza che nessuno possa porvi rimedio. Non vi sono poteri legislativi ed esecutivi che possano fermare la marea montante della cosiddetta immigrazione […]. L’espansione è finita: la miseria crescente è una delle condizioni di esistenza del Capitale globale, [perché] solo un immane serbatoio di schiavi potrà rappresentare un tentativo di salvezza”[15]. È questa tremenda pressione a produrre quella che certuni chiamano “brasilizzazione” della classe operaia occidentale, ovverosia la rottura del “patto” che ha retto il Welfare State nel secondo dopoguerra, il drastico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei salariati e la progressiva perdita di diritti e garanzie sociali[16].
La “fine del Terzo Mondo” ridisegna anche il tessuto delle metropoli occidentali: “Oltre alla fatiscenza crescente dei quartieri centrali e delle vecchie periferie, negli Stati sud-occidentali degli Stati Uniti stanno spuntando come funghi insediamenti informali praticamente indistinguibili da quelli che sorgono attorno a una qualunque città dell’America Latina. Per esempio, a un palmo dalle case milionarie di Palm Springs, in California, sul territorio della riserva indiana, si trovano slum [denominati colonias] che ospitano i contadini locali” [17]. Los Angeles è la capitale degli homeless del Primo Mondo, con centomila senzatetto[18]. E nella stessa capitale, Washington, “ad appena due strade dal Campidoglio s’apre un altro universo […] fatto di carcasse d’auto, palazzi sventrati e senza vetri alle finestre […]. La miseria del mondo si staglia fin sul portone della Casa Bianca” [19].
Il Paese delle mirabilia del “libero mercato” e della “democrazia” sta andando letteralmente a pezzi, perché il capitale USA, fanatico cultore della magia nera del “fittizio”, ha disinvestito da tutto quanto non era abbastanza e immediatamente redditizio, a cominciare dalle infrastrutture. Ed è così che in Minnesota crollano i ponti, le condutture fognarie nel centro di Manhattan esplodono [20] e la gente passa spesso ore e ore senza energia elettrica, come se vivesse a Baghdad o a Kinshasa.
Parallelamente la distruzione dei “quartieri poveri” di New Orleans, causata dal cedimento delle dighe al passaggio dell’uragano Katrina nel 2005, ha fornito un’ottima occasione per edificare una “nuova” New Orleans polita e ben campita, dopo averne scacciato gli abitanti “storici”. In questa vasta operazione di bonifica della “palude sociale”, gli obiettivi di massimizzare la rendita urbana e quelli di estendere il controllo sociale vanno di pari passo, fino a risultare indistinguibili. “Nulla è triste come questi immensi spostamenti di pietre per mano del dispotismo, al di fuori della spontaneità sociale”, scriveva Louise-Auguste Blanqui denunciando gl’interventi urbanistici con cui il Barone Haussmann scacciava i sans culottes dai loro antichi quartiers[21]. Ma i “calcoli che hanno sconvolto la capitale, per un duplice scopo di compressione e di vanità, falliranno davanti all’avvenire, come hanno fallito davanti al presente”, ammoniva l’Enfermé, nel maggio 1869, due anni prima della Comune…
Anche l’Europa ha i suoi slum da Terzo Mondo, soprattutto nelle periferie di città come Lisbona (dove si chiamano clandestinos), Atene e Napoli (ma una baraccopoli è ben visibile anche transitando sulla Milano-Brescia).
Il peggiore slum europeo è probabilmente la “Cambogia”, a Sofia in Bulgaria, dove 35 mila rom vivono come i Dalit, la casta degli intoccabili, in India.
Un quadro affatto scioccante è offerto dalla Russia, dove le baraccopoli hanno proliferato più velocemente dei membri di quella cleptocrazia che domina la ex “patria socialista”, molti dei servizi urbani indispensabili (come per esempio il riscaldamento a livello cittadino) sono andati a ramengo, lasciando gli anziani a morire di freddo in inverno, e immense torme di squatter, perlopiù immigrati privi di documenti o appartenenti a minoranze nazionali, occupano fabbriche abbandonate e palazzi fatiscenti, in particolare a Mosca. Ma a Milano è stato forse diverso, in questi ultimi anni, nelle molte “aree dismesse” prodotte dalla distruzione della “grande fabbrica”, prima della loro “riqualificazione” in gigantesche speculazioni immobiliari?
E ancora, quella che certa sociologia buontempona chiama “caravanizzazione dell’habitat”, molto presente in Centr’Europa e ora visibile anche nelle nostre città, cos’altro è se non uno slum su ruote per chi non può permettersi nemmeno più una stamberga?
E che differenza c’è, a parte lo sviluppo in altezza piuttosto che in estensione e l’impiego del calcestruzzo per gli HLM invece di materiali di recupero per le baracche, tra le banlieues e lebidonvilles, le une e le altre “luoghi del bando” sociale ed esistenziale?
E le “notti della collera” nelle banlieues francesi bastano a evidenziare come la linea di condotta dello Stato [22] e di questa società antropofaga consista essenzialmente in una “guerra ai poveri” nella quale il proletariato, volente o nolente, torna sempre più a reindossare quei panni, che furono originariamente i suoi, della “classe pericolosa”[23]. Pericolosa, per il semplice fatto di bere una birra in strada, di sbarcare il lunario pulendo i parabrezza delle auto ferme ai semafori[24], di far graffiti senza il beneplacito di un qualche assessore alla Cultura, insomma di esistere e, soprattutto, di essere in “soprannumero”. Per questi “esuberati” (Jacques Tardi), la cui forza-lavoro è diventata pletorica rispetto alle odierne necessità della valorizzazione, risuona d’inquietante attualità la soluzione “più razionale ed efficiente” tra quelle individuate dai benthamiani per l’Inghilterra del primo Ottocento: l’abolizione dei poveri, comunque “ridondanti”[25].
Il lessico della stigmatizzazione si arricchisce di continuo, mentre viceversa il linguaggio va impoverendosi fino a ridursi tendenzialmente al basic MTV, e richiama le retoriche della devianza e dell’esclusione di chi esce dalla norma, bollato come “altro” attraverso un controllo della popolazione che è insieme un’enunciazione di normalità: “Il soggetto normale si costituisce così come tale escludendo da sé un anormale, e se ‘normale’ vuol dire qui più o meno attivamente, più o meno consapevolmente, partecipe di una definizione positiva delle condizioni di vita, questo movimento corrisponde allo spostamento progressivo del confine che separa da coloro che vengono sempre più respinti a morte”[26]. Ed è così che “a sinistra come a destra, al Sud come al Nord, la semplice presenza del proletariato eccedentario è divenuta un autentico incubo vivente per la borghesia. La paura generata nelle classi dirigenti dalle reazioni potenziali di questo proletariato demunito di tutto è immensa e provoca dappertutto lo stesso riflesso sicuritario”[27].
E allora, sempre più polizia (con un vero e proprio boom delle “agenzie di sicurezza” private)[28], campagne d’isterizzazione (contro l’“uomo nero”, il “clandestino”, l’“abusivo” ecc.)[29], ronde e roghi contro i rom, prigioni[30] e CIE, videosorveglianza, produzione a ciclo continuo di “emergenze”, muri (non ne sono mai stati innalzati tanti come da quando è crollato quello di Berlino, che avrebbe dovuto essere l’ultimo…), tornelli (d’ogni foggia e meccanica), sistemi di controllo e schedatura biometrici[31], armi “invalidanti”[32], una vera e propria panoplia di manufatti e servizi offerti dall’Industria della Paura[33], senza tralasciare i vecchi ma sempre efficaci metodi (sacco di juta e bastonate). Il tutto nel quadro della costruzione di una “Festung Europa” i cui elementi essenziali possono essere così riassunti: “La blindatura dei confini dell’Unione Europea pro- cede a ritmo serrato in forza dell’impiego di nuove tecnologie e di cooperazioni transfrontaliere, mentre aumentano costantemente la sorveglianza e il controllo al suo interno. A ciò si aggiungono le missioni estere dell’Unione Europea nei cosiddetti ‘Paesi terzi’. […] Dal 1999 l’Unione Europea definisce l’Europa come uno ‘Spazio di libertà, sicurezza e giustizia’. Tanto in ambito civile quanto in ambito penale, in futuro avranno luogo cooperazioni giudiziarie e di polizia molto più estese. […] A livello poliziesco, gli organi dell’Unione Europea hanno ottenuto l’attribuzione di maggiori competenze, mentre hanno visto la luce nuovi Programmi e nuove Autorità. Ogni Autorità di Pubblica Sicurezza potrà accedere a tutte le banche dati del DNA e dei rilievi dattiloscopici nonché alle informazioni raccolte negli archivi dei registri automobilistici. […] Per facilitare l’imposizione di divieti di trasferta e per fare in modo che ‘soggetti violenti possano essere rapidamente individuati e arrestati’, è stato semplificato lo scambio di informazioni su individui ‘indiziati di terrorismo e facinorosi itineranti’. […] La formazione di queste ‘Squadre Speciali Europee’ sarà gestita dall’Europol. […] La cooperazione tra polizia e servizi segreti viene ampliata. […] Su proposta del ministero dell’Interno tedesco, è ora prevista l’implementazione di ‘Centri Comuni Antiterrorismo’ in tutti gli Stati dell’UE. […] In aumento su tutto il territorio europeo è anche il monitoraggio di Internet. I Paesi membri dell’UE fissano parametri europei e ‘armonizzano’ le loro leggi nazionali, come nel caso dell’immagazzinamento preventivo di dati (Data retention). I fornitori di servizi di telecomunicazione e i provider sono tenuti a salvare i dati relativi ai collegamenti e a trasmetterli alla Polizia, se questa li richiede. […] Unità di polizia europee conducono in comune addestramenti e operazioni di contrasto a manifestazioni di protesta. In accademie europee di polizia, vengono ideate tattiche operative per il ‘crowd management’ (controllo della folla). In questo campo, è centrale il ruolo dell’Accademia di Polizia Europea (CEPOL) con sede in New Hampshire (Inghilterra) […]. Dopo le contestazioni di Genova e Göteborg nel 2001, nel 2004 è stato avviato dall’UE il programma di ricerca Coordinating National Research Programmes on Security during Major Events in Europe. Al coordinamento e alla direzione di EU-SEC provvede l’‘Istituto di Ricerca Interregionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sulla Criminalità e la Giustizia’ (UNICRI). Con il motto: ‘Advancing security, serving justice, building peace’ questo istituto di ricerca europeo gestisce diversi gruppi che si dedicano a tematiche inerenti la sicurezza. L’UNICRI è curatore del manuale antiterrorismo Counter-Terrorism Online Handbook. Fra i gruppi di lavoro allocati presso l’UNICRI vi è l’‘Osservatorio permanente per la sicurezza durante i grandi Eventi’ (IPO), con sede a Torino, in Italia. […] Di pari passo con l’ampliamento del numero degli Stati membri dell’UE e con l’eliminazione dei controlli di frontiera, è in atto un forte riarmo tecnologico: apparecchiature per l’esplorazione ambientale visiva notturna, elaborazione automatizzata di monitoraggi video, cavi a radiofrequenza capaci di misurare e riportare la percentuale d’acqua presente in corpi stazionanti o circolanti nei pressi. Sono nate inoltre nuove centrali operative cogestite. Grazie all’ampliamento del Sistema Informativo di Schengen (SIS), le polizie hanno la possibilità di elaborare maggiori quantità di dati. Per l’archiviazione delle impronte digitali e dei dati biometrici di migranti sarà presto attivato il Sistema Informativo per i Visti (SIV). […] Con l’istituzione dell’‘agenzia di frontiera’ FRONTEX a Varsavia, è stato allestito un nuovo baluardo della ‘difesa’ europea dalla migrazione. ‘Chiunque non lo meriti e non sia gradito sul territorio, deve essere fermato’. […] FRONTEX mantiene un ‘Registro Tecnico Centrale’ (‘Toolbox’) delle attrezzature dei Paesi membri per il controllo e la sorveglianza dei confini. Inoltre, FRONTEX effettua interventi operativi congiuntamente alle polizie nazionali […]. Quest’agenzia come tale non dispone di squadre per il contrasto dei rifugiati, ma le squadre di frontiera dei Paesi membri sono destinatarie di massicci incrementi dell’equipaggiamento. I Carabinieri italiani, per esempio, sono stati dotati di nuove imbarcazioni, elicotteri e apparecchiature per il monitoraggio. […] Il trattato di Lisbona prevede ‘riforme’ anche nel campo della politica militare. La Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD) richiede un ‘miglioramento progressivo delle capacità militari’. Al più tardi per il 2010 l’UE dovrebbe stanziare propri contingenti armati. […] Peraltro, l’UE ha approntato un ulteriore strumento d’intervento in ‘Stati terzi’ molto meno noto: la ‘Forza di Gendarmeria Europea’ (EGF o anche: ‘Eurogendfor’)[34]. […] Il Quartier Generale dell’EGF è collocato in una caserma dei Carabinieri a Vicenza in Italia. Sempre a Vicenza, il Corpo[35] gestisce un centro di addestramento internazionale, il Centre of Excellence for Stability Police Units[36] (CoESPU)”[37].
Quindi, riassumendo all’estremo, le linee di forza lungo cui si ridefinisce lo spazio urbano in Occidente sono tre:
a) la gentrificazione[38] e bruxellizzazione[39] del tessuto “tradizionale” della città, per eliderne lo spessore storico, fomite di conflitto, e “abbassarla”[40] a misura del ceto medio planetario, o meglio della sua ideologia materiata, poiché in quanto strato sociale determinato sembra tendere viepiù a un’irrimediabile implosione e disgregazione;
b) una spessa coltre di baraccopoli (bidonvillizzazione) e zone marginali (dove la bidonville non è architettonica, ma esistenziale), sempre più somiglianti a campi di esclusione: “il campo è lo spazio che si apre quando lo stato di eccezione comincia a diventare la regola” (Giorgio Agamben);
c) e infine le gated community, istituzionalizzatesi a partire dagli anni Settanta, dotate di servizi propri, superprotette da polizie private, apparati elettronici e quant’altro, “veri e propri insediamenti circondati da muraglie e sistemi di controllo che precludono l’accesso a strade, parchi, spiagge fiumi e altre risorse”, vigilati a tempo pieno e delimitati da recinzioni, muri o altre forme di sbarramento[41]. L’habitat borghese, un tempo concrezione, immagine e promessa di quella sicurezza e di quel comfort che il mercato avrebbe dovuto virtuosamente estendere a tutti i settori della società, è divenuto un bunker ultradifeso in un oceano di miseria che va sommergendolo.
Note:
[15]Cfr. Legge della miseria crescente, in “n+1”, n. 20, dicembre 2006, p. 88.
[16]“Negli anni che vanno all’incirca dal 1965 al 1977 la working class occidentale spaventò i capitalisti con una sollevazione mondiale contro la catena di montaggio e, in definitiva, con una rivolta contro la ‘forma-valore’ (benché solo alcuni la intendessero in quanto tale), oltre che contro il peggioramento delle condizioni di vita connesso con l’inizio della crisi”. LOREN GOLDNER, Capitale fittizio e crisi del capitalismo, PonSinMor, Gassino Torinese (Torino), 2007, p. 11 (trad. it. modificata). In Italia questa sollevazione fu particolarmente dura, estesa e duratura, tanto che per stroncarla occorse l’azione congiunta di tutti gli apparati dello Stato, dai reparti speciali dei Carabinieri del generale Dalla Chiesa alla CGIL di Lama, e dell’intero sistema dei partiti, PCI in testa. La completa distruzione della classe operaia che ne sarebbe seguita fu divinata con largo anticipo da uno slogan del ’77: “Non c’è disfatta / non c’è sconfitta, / senza / il grande / Partito comunista”. Pinochet, la “Lady di ferro”, il generale Videla e la sua giunta, Reagan e i “Chicago Boys” sono le figure simbolo di questa controffensiva dell’Economia che avrebbe impestato l’intero Pianeta e messo in croce i suoi abitanti. Trent’anni dopo, nell’epicentro del “Washington consensus” la distribuzione sociale dei redditi è regredita ai livelli pre-1929, oltre 36 milioni di sfruttati vivono nell’“insicurezza alimentare”, l’orario di lavoro per addetto (dal 1973 al 1998) è aumentato di 178 ore all’anno (pari a quattro settimane addizionali), un adulto su 32 è in prigione o in libertà condizionale (gli USA contano il 25% di tutti i detenuti della Terra per una popolazione che rappresenta appena il 5% della popolazione mondiale) e l’aspettativa di vita è scesa al livello di quella della Giordania, collocando il “Paese più ricco al mondo” intorno al quarantunesimo posto della relativa graduatoria.
[17] Mike Davis on a “Planet of Slums”. The rising tide of urban poverty, cit.
[18]La “città degli angeli” vanta un primato anche in campo sicuritario, essendo teatro di una fusione senza precedenti tra progettazione urbana, architettura e apparati di polizia. Ma il lavoro dello sbirro va assomigliando sempre più a quello inane di Sisifo: accade così che, brutalizzati e scacciati da via Lecco (Milano) all’inizio del 2006, i “rifugiati” senza casa tornino nell’aprile 2009 a occupare uno stabile a Bruzzano (per subire poi un ulteriore sgombero e iniziare una nuova peregrinazione tra i dormitori mediolanensi) e che, in Australia, i “senza fissa dimora” rastrellati nel centro di Perth prendano il treno per Maylands e ne invadano i sobborghi (NIKKI HUTCHINSON, Homeless invade suburbs after police clear CBD, in “Perth Now”, 24 febbraio 2009; abbiamo tratto questa gustosa informazione da “Mall”,http://mall.lampnet.org/article/articleview/5359/1/187).
[19]Così racconta Jean Ziegler in Les Nouveaux Maîtres du monde. Et ceux qui leur résistent, Fayard, Paris, 2002. E nelle strade di questi “quartieri ghetto” – come ai tempi dei Circoli del Proletariato Giovanile e della “critica della questione urbana” venivano definiti anche i milanesi Quarto Oggiaro, Gallaratese, Gratosoglio ecc. –, da cui non si esce mai se non per entrare in carcere, istituto del quale essi non sono del resto che l’introibo e l’estensione sul territorio metropolitano, tutti i giorni si combatte un’accanita “guerra ai poveri”. Cfr. LOÏCWACQUANT, Dell’America come utopia al rovescio, in “aut aut”, n. 275, 1996.
[20] BRENDAN LOWE, When cities break down, in “Time”, 19 luglio 2007. Una tubatura installata nel 1924 è esplosa vicino alla Grand Central, con colonne di fumo innalzatesi fino alla cima dei 77 piani del Chrysler Building, provocando la morte di una persona e il ferimento di altre trenta. “Gli esperti di gestione urbana spiegano che le vecchie città americane sono delle Pompei dei nostri giorni, nel raggio di possibili eruzioni vulcaniche infrastrutturali come quella di New York”, scrive l’articolista, ma “non è soltanto questione di condotte. Si tratta di ponti, strade, sistemi elettrici, una varietà di cose che possono succedere in un contesto artificiale e che possono risultare in effetti disastrose” (Dan LeClair, docente di Urbanistica alla Boston University).
[21]Cit. in WALTER BENJAMIN, Parigi, capitale del XIX secolo, Einaudi, Torino, 1986, pp. 201-202. Nel quinto capitolo del Pianeta degli slum, cit., l’Autore, dopo aver sottolineato che “la segregazione urbana non è uno status quo congelato quanto un’incessante guerra sociale in cui lo Stato interviene regolarmente in nome del ‘progresso’, dell’‘abbellimento’ e perfino della ‘giustizia sociale per i poveri’ per ridisegnare i confini spaziali a favore della proprietà immobiliare, degli investitori stranieri, dell’élite dei proprietari di case e dei pendolari delle classi medie”, descrive la portata degl’interventi compiuti dagli emuli “tropicali” del Prefetto della Senna: “l’odierna scala di rimozione della popolazione è immensa: ogni anno centinaia di migliaia, a volte milioni, di poveri […] vengono espulsi con la forza” dai loro quartieri nelle città del Terzo Mondo, “ostacoli umani” (secondo una definizione delle autorità di Dakar), nomadi “transitanti in un perpetuo stato di ricollocazione” (secondo la formula usata dall’urbanista nigeriano Tunde Agbola).
Negli ultimi anni, il più delirante (e spietato) dei programmi di “abbellimento urbano” è stato forse quello condotto a Rangoon, Mandalay e Old Bagan, in preparazione del “Visit Myanmar Year 1996”, dalla dittatura narco-militare birmana, che fra l’altro ha fatto ricorso al lavoro forzato per realizzare le infrastrutture turistiche, mentre centinaia di migliaia di persone venivano strappate dalle loro case e mandate in “nuove città” distanti decine di chilometri dai centri cittadini e dalle loro fonti di reddito. Questa strategia di “pulizia urbana” trova i suoi antecedenti nella guerra che, negli anni Sessanta e Settanta, i regimi militari del Cono Sud dichiarano alle favelas e ai campamientos, percepiti come potenziali centri di resistenza e come ostacoli alla “borghesizzazione” urbana. E così in Brasile, dopo il 1964, sventolando la minaccia “guerrigliera”, i militari radono al suolo un’ottantina di favelas sulle colline intorno a Rio de Janeiro; una delle prime misure adottate dalla giunta di Pinochet, nel 1973, è quella di espellere dal centro di Santiago gli abusivi delle poblaciones e delle callampas; e nell’Argentina di Videla la liquidazione manu militari della militanza sociale nelle villas miserias va di pari passo con il riciclaggio speculativo dei terreni urbani “bonificati” (nella Gran Buenos Aires viene raso al suolo il 94% degl’insediamenti “illegali”).
Anche in Egitto, soprattutto dopo la “rivolta del pane” contro il Fondo Monetario Internazionale del gennaio 1977 (“la sollevazione dei ladri guidata dai comunisti”, nelle parole del presidente Sadat), lo Stato conduce una feroce repressione nei confronti dei quartieri urbani “sovversivi”, a cominciare da Ishash al-Turguman, nel distretto di Bulaq, vicino al centro del Cairo (il repulisti di questo distretto avrebbe dovuto essere il primo passo di una ricostruzione dell’intera città prendendo a modello Los Angeles e Houston). E in questa caccia alla “feccia”, ai “criminali” e ai “terroristi” annidati negli slum si usano tanto i bulldozer quanto gl’incendi dolosi, tanto le squadre speciali quanto le bande prezzolate, tanto le leggi antisommossa risalenti all’epoca coloniale quanto le nuove misure di “emergenza”. Cfr. ivi, pp. 93-104.
[22]Merita di ricordare che l’état d’urgence promulgato l’8 novembre 2005 (con un decreto, convertito in legge dieci giorni dopo) dal governo di destra, senza l’opposizione dell’opposizione, era stato istituito giusto cinquant’anni prima, per far fronte alla sollevazione algerina, da un certo François Mitterrand, allora ministro dell’Interno di un governo di sinistra retto da Pierre Mendès-France.
[23]Cfr. LOUIS CHEVALIER, Classi lavoratrici e classi pericolose, Laterza, Roma-Bari, 1976. Di questo Autore va anche ricordato che fu uno dei più attenti e partecipi osservatori dell’agonia di Parigi sotto l’incedere della lue neomoderna (cfr. L’Assassinat de Paris, Calmann-Lévy, Paris, 1977, coll. “Archives des sciences sociales”; ried. Ivrea, Paris, 1997, con una presentazione di Claude Dubois).
[24]Si veda l’ordinanza emanata dalla giunta comunale di centrosinistra il 25 agosto 2007 che bandiva dalla città dei Ciompi il “mestiere girovago di cosiddetto lavavetri” (anche gli umili e tumultuosi mestieranti trecenteschi “se ne andarono sì come gente rotta, et senza capo et sentimento, perché si fidavano et furono traditi da loro medesimi”, come riportato dal cronachista Filippo Villani). Il premier d’allora Romano Prodi si disse però in disaccordo: “Io sono sempre stato convinto che la lotta contro la piccola criminalità è indispensabile anche per fermare la grande criminalità, ma non avrei cominciato dai lavavetri, avrei cominciato con quelli che fanno le scritte sui muri, con i posteggiatori abusivi” (“Corriere della Sera”, 31 agosto 2007). Il provvedimento della giunta gigliata introduceva anche l’arresto per i trasgressori, facendo ricorso all’art. 650 del Codice Penale che prevede l’arresto fino a tre mesi per “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o d’igiene”.
[25]Non potendo eliminare alcuni tabù che rendevano di fatto questa linea impraticabile, la “brutalità canagliesca” di questi “riformatori della classe media” si espresse in maniera “moderna, aggiornata e socialmente scientifica” assegnando ai poveri inglesi il dubbio “privilegio di essere il primo gruppo la cui umanità fosse sottoposta all’analisi dei costi”. Fu così che Edwin Chadwick, James Kay e i loro associati imposero nel 1834 il Poor Law Reform Act, la riforma della legge sui poveri, “uno degli esempi di legislazione più odiati e disprezzati di tutta la storia britannica”. Cfr. STEVENMARCUS, Engels, Manchester e la classe lavoratrice, Einaudi, Torino, 1980, pp. 16-17.
[26]ANDREA CAVALLETTI, La città biopolitica. Mitologie della sicurezza, Bruno Mondadori, Milano, 2007, p. 17. Figura chiave del delirio sicuritario è il “clandestino”, questo nuovo “reprobo” e “fuggiasco assoluto” che, per aver violato o cercato di violare “il grande spazio della sicurezza”, viene sistematicamente “respinto nella morte” (ivi, pp. 219-220). Sull’omicidio “che non costituisce reato” di chi è stato “messo al bando”, si veda l’iracondo FILIPPO ARGENTI, Le notti della collera. Sulle recenti sommosse di Francia, Tempo di ora, s.l., 2006.
[27]Petite balade sous le soleil noir du capital, in “Communisme”, Organe central en français du Groupe Communiste Internationaliste, n. 59, ottobre 2007, p. 17.
[28]“Negli ultimi tempi questo mercato sta attraversando un vero boom. La Blackwater riceve tutta l’attenzione della stampa per il suo discusso ruolo nella sicurezza privata in Iraq, ma ci sono sempre più città del mondo che hanno consegnato la lotta al crimine in mani private. Gli analisti stimano che quello delle polizie è un affare che globalmente vale tra i 100 e i 200 miliardi di dollari, ed è un settore in crescita nel mondo in via di sviluppo. In Russia, ci sono molti più poliziotti privati di quelli normali: dieci a uno. In Sudafrica, queste milizie sono talmente presenti da essersi addirittura aggiudicate la vigilanza delle caserme di polizia. Si stima che in India la sicurezza privata produca circa un milione di posti di lavoro. Anche l’Uganda ha per le sue strade 20 mila vigilanti, tanti quanti l’Iraq nel 2006, nel pieno della guerra. […] Nelle città più ordinate del mondo, dove da tenere in sicurezza sono gli shopping mall [centri commerciali pedonalizzati], compagnie come la [statunitense] Pinkerton o la britannica G4S usano personale qualificato e in uniforme per cooperare strettamente con le forze pubbliche” (“Newsweek”, 23 febbraio 2009).
[29]Al riguardo è d’obbligo rimandare all’attività di contrasto, denuncia e mobilitazione svolta dall’Assemblea Antirazzista di Torino e dal Comitato Antirazzista di Milano, oltreché all’azione portata avanti in modo più o meno organizzato in altre parti d’Italia. L’opuscolo autoprodotto a Torino, col titolo La guerra in città, riporta un’interessante cronologia (maggio-ottobre 2008) di questo intervento quotidiano. Per inciso, lo stimolo per la stesura di questa nostra relazione ci è stato offerto proprio dalle pratiche e dalle riflessioni dei compagni sopraindicati, oggi oggetto di pesanti interventi repressivi (due richieste di “sorveglianza speciale” per un periodo di quattro anni e un “foglio di via obbligatorio”) proprio in ragione della loro generosa, ed evidentemente sgradita ai tutori dell’italiota “Stato razziale”, attività. Salut!
[30]È di pochi giorni fa la proposta, contenuta nel piano straordinario consegnato dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) Franco Ionta al ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano, di costruire carceri galleggianti, da ormeggiare nei porti di Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli, Gioia Tauro, Palermo, Bari e Ravenna, adottando così una soluzione già messa in pratica negli ultimi vent’anni negli Stati Uniti (la prima chiatta-prigione fu inaugurata a New York nell’89, lungo il fiume Hudson), in Gran Bretagna (la nave-prigione Weare rimase ancorata dal 1997 al 2005 nella baia di Portland, in Dorset) e, più recentemente, in Olanda (dove la polizia ha usato un mezzo navale per la detenzione degli immigrati clandestini).
[31]Il rapporto An Appraisal of Technologies of Political Control, curato da Steve Wright (direttore della fondazione Omega) per conto della commissione STOA (Scientific Technological Options Assessment) del Parlamento Europeo nel 1998 elenca: sistemi semi-intelligenti della zona di rifiuto (che adottano reti neurali capaci di utilizzare modelli di riconoscimento e sono in grado d’“imparare”, così da poter pattugliare aree sensibili e utilizzare a seconda della bisogna armi letali o sub-letali), sistemi di sorveglianza globale (il software di riconoscimento vocale può intercettare e rintracciare individui e gruppi, mentre supercomputer classificano automaticamente la maggior parte delle chiamate telefoniche, fax, e-mail), sistemi di dataveglianza (che tracciano immigrati e attivisti politici così come potenziali “terroristi” o altri obiettivi, attraverso l’uso delle tecniche biometriche per identificare le persone tramite il riconoscimento del DNA, della retina o delle impronte digitali), profilo dei dati (data profiler: le polizie di Stato sono in grado di usare la sorveglianza dei dati computerizzati per compilare “mappe di amicizia” o legami, attraverso l’analisi di chi telefona o spedisce posta elettronica e di chi la riceve).
[32]Come l’Advanced-Taser, una pistola con puntatore laser che genera scariche elettriche di 50 mila volt, provocando una folgorazione immediata, con un effetto invalidante istantaneo pari a quello di una calibro 9. Gli omicidî compiuti dalla polizia di Akron armata di Taser sono stati finora qualificati come casi di morte “senza motivo” o, meglio, di morte per Excited delirium, una nuova sindrome che per ragioni incomprensibili colpisce solo uomini o donne in stato di arresto… (Amnesty International, per parte sua, lamenta la morte dal 2001 di 142 persone colpite da scariche di Taser). La ricerca nel settore delle cosiddette armi “non letali” ha conosciuto una rapida accelerazione negli USA a partire dai primi anni Novanta del secolo scorso. Alle prese con le rispettive rogne – il Pentagono con l’umiliazione subita in Somalia, la polizia con le conseguenze del pestaggio di Rodney King a Los Angeles, il BATF (Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms) e l’FBI con le critiche seguite ai massacri di Waco e Ruby Ridge –, i responsabili della Difesa e della Sicurezza degli States cercavano qualcosa che permettesse alle “forze del bene” di prevalere, possibilmente senza grandguignoleschi spargimenti di sangue o almeno non in “diretta”. Fu così che nacque la dottrina nota come Military Operations Other Than War (MOOTW) e furono sviluppati i relativi progetti per nuovi sistemi d’arma (ovviamente, ebbe il suo peso anche l’aggressiva politica di marketing verso i dipartimenti di polizia condotta dal complesso industrial-militare). I sostenitori più accaniti di queste teorie erano futurologi come Alvin e Heidi Toffler e scrittori di fantascienza come Janet e Chris Morris (passati dalle fatiche letterarie all’intelligence), i quali trovarono spunto nei laboratori di armi nucleari di Los Alamos, nell’Oak Ridge National Laboratory e nel Lawrence Livermore National Lab. (che si vanta di risolvere “i maggiori problemi” in materia di “national security, homeland security, counterterrorism, energy and environment”). Un altro campione di questa dottrina era il colonnello John Alexander, diventato famoso per il programma Phoenix nella guerra del Vietnam e più tardi promotore della “guerra psicologica”. Del resto, anche in questo caso, non si era di fronte a un’assoluta novità. Già nei primi anni Settanta la British Society for Social Responsibility in Science (BSSRS) scriveva che le armi e le tecnologie della repressione sviluppate e testate dagli Stati Uniti in Vietnam e dall’Inghilterra nelle sue ex colonie e nell’Irlanda del Nord stavano facendo rientro in madrepatria (The new technology of repression. Lessons from Ireland, BSSRS, London, 1974). Propagandate come “non letali”, le nuove tecnologie della repressione mascherano il livello di violenza dispiegata per controllare le agitazioni. In quanto permettono sia di estendere “verso il basso” l’impiego della forza sia di risalire “verso l’alto”, le armi cosiddette “non letali” o “sub-letali” hanno tutte le caratteristiche necessarie per rivestire un ruolo decisivo in campo tattico-strategico e nel controllo sociale, consentendo una risposta graduata in relazione alla tipologia di minaccia e permettendo alle forze dell’ordine di potenziare la propria flessibilità, deterrenza e capacità di reazione alle situazioni incerte.
Tra le diverse tipologie di armi “non letali” già testate molte sono adatte ai compiti di contenimento di folle di rivoltosi. Le pallottole di gomma e le granate flash-bang (cioè accecanti-assordanti) possono essere considerate i primi rustici esempi di armi “non letali”, ma in futuro nuovi e ben più efficaci sistemi potrebbero entrare in servizio per proteggere installazioni, rendere più docili i “sobillatori” e “marcare” gl’“insuscettibili di ravvedimento” per facilitarne il riconoscimento e l’arresto. Un sommario elenco di questi armamenti comprende, oltre alle succitate armi elettriche portatili: mine “non letali” (contenenti sostanze irritanti o che azionano meccanismi immobilizzanti), laser a bassa energia (possono accecare individui e sensori in modo temporaneo o permanente), schiume paralizzanti, supercaustici (in grado di produrre incalcolabili sofferenze), stimolazioni e illusioni ottiche (armi che emettono impulsi luminosi ad alta intensità e luci stroboscopiche, note anche come Dream Machine, in grado di disturbare il sistema nervoso centrale causando vertigini, disorientamento e nausea), sistemi acustici a infrasuoni e a ultrasuoni (la nuova generazione di armi acustiche può generare onde traumatiche di 170 decibels in grado di danneggiare organi, creare cavità nei tessuti del corpo umano e causare traumi da onde d’urto potenzialmente letali), armi a microonde (Active Denial System, come il cosiddetto Pain Ray, “raggio del dolore”, usato per garantire l’ordine pubblico ma suscettibile d’essere impiegato con un’aumentata potenza e letalità), supercolle (fucili “lancia-colla” e barriere adesive), reti, cannoni ad acqua elettrizzata, munizioni di gomma e plastica (tra le altre sono state progettate munizioni a “doppio uso”, che a seconda della velocità con cui vengono sparate possono essere letali o “non letali”), Beanbag (munizione particolare la cui pallottola è costituita da un contenitore caricato con pallini ottenuti da legumi secchi).
[33]Tra questi merita d’esser segnalato Cogito 1002, presentato al Salone dell’Aeronautica di Parigi nel 2007 dalla Suspect Detection System (SDS), un’azienda israeliana che si fa vanto d’essere stata fondata da veterani del Mossad. Ha l’aspetto di un chiosco bianco in cui si viene fatti sedere e sottoposti a una serie di domande, elaborate da un computer e studiate su misura per il relativo Paese d’origine, alle quali bisogna rispondere tenendo una mano appoggiata su di un sensore “biofeedback”. Cogito 1002 registra le reazioni corporee dell’esaminando e indica se costui sia da considerarsi “sospetto” oppure no. Le esportazioni israeliane in questo settore, nel 2007, sono ammontate a 1,2 miliardi di dollari.
I prodotti e i servizi più significativi, perlopiù già in uso nei Territori Occupati, sono: recinzioni high-tech, velivoli senza pilota, rilevatori biometrici d’intrusione, dispositivi di sorveglianza video e audio, sistemi di identificazione dei passeggeri dei voli aerei e d’interrogatorio dei prigionieri. E i bravi studenti dell’Università Ben Gurion del Negev partecipano a progetti quali l’Innovative Covariance Matrix for Point Target Detection in Hyperspectral Images (matrice di covarianza innovativa per l’individuazione di punti bersaglio nelle immagini iperspettrali) e l’Algorithms for Obstacle Detection and Avoidance(algoritmi per l’individuazione e l’evitamento di ostacoli).
È da segnalare anche Hermes, il drone prodotto da Elbit (una delle società responsabili della “barriera di sicurezza” d’Israele, accordatasi con la Boeing per realizzare una recinzione “virtuale” tutt’intorno agli Stati Uniti, costo: 2,5 miliardi di dollari) che, dopo essere stato usato su Gaza per missioni di bombardamento, ha trovato impiego presso l’US Customs and Border Protection per pattugliare la frontiera tra Arizona e Messico (presto droni voleranno anche in North Dakota, vicino al Canada, e nel Golfo del Messico). Ma la passione per i robottini volanti non si ferma alle frontiere, ed è così che la polizia di Miami (Miami-Dade Police Department) li vorrebbe per controllare la regione paludosa delle Everglades.
[34]Nata da un accordo del 17 settembre 2004 tra i ministri della Difesa di Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna, Eurogendfor si addestra a Saint-Astier, nella regione della Dordogna, nei pressi di Bordeaux. In questa modernissima struttura della Gendarmeria francese è stata ricostruita, come in un set cinematografico, una vera e propria città, dove vengono simulate situazioni di guerriglia urbana. Si veda il video Entraînement des gendarmes à St.-Astier (http://dailymotion.virgilio.it/video/x20url_entrainementdes-gendarmes-a-st-ast_extreme).
[35]Va ricordato che col decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 297 (Norme in materia di riordino dell’Arma dei Carabinieri, a norma dell’articolo 1 della legge 31 marzo 2000, n. 78) l’Arma dei Carabinieri è stata elevata al rango di forza armata.
[36] Cfr. http://www.carabinieri.it/internet/Coespu
[37] Cfr. ACTIVISTS FROM GIPFELSOLI, PROZESSBEOBACHTUNGSGRUPPE ROSTOCK, MEDIAG8WAY, Abbattere l’architettura sicuritaria europea (http://gipfelsoli.org/Heiligendamm_2007_italiano/4821.html).
[38]La gentrificazione (in inglese, gentrification) è quel processo per cui dai vecchi quartieri operai e popolari del centro cittadino, degradati da un punto di vista edilizio e con costi abitativi bassi, nel momento in cui queste zone vengono sottoposte a “riqualificazione”, i vecchi abitanti a basso reddito vengono espulsi, per essere destinati a zone più periferiche, e sostituiti con nuovi abitanti ad alto reddito. Alla ristrutturazione degli immobili e alla “pacificazione” dell’area, opportunamente svuotata di industrie e operai, segue un regressivo “sviluppo” in senso turistico e di consumo culturale. Le aree gentrificate vengono quindi provviste di infrastrutture commerciali assolutamente all’avanguardia nell’offerta di pretenziosa paccottiglia e la loro promozione è curata nei minimi particolari. Ovviamente, la cosiddetta “rinascita della città” è stamburata come un evento bellissimo e suscettibile di portare benefici a tutti.
In relazione alla gentrification bisognerebbe analizzare altri tre termini canonici delPostmodern Urbanism: la heritage preservation, la revitalisation e l’urban design. Ma ce ne manca lo stomaco, oltreché lo spazio. Cfr. il dossier “Gentrification, urbanisme et mixité sociale”, in “Non Fides”, Journal anarchiste apériodique, Paris, n. 3, [marzo] 2009 (per un estratto, si veda http://www.non-fides.fr/spip.php?article119); inoltre cfr.http://members.lycos.co.uk/gentrification/whatisgent.html
[39]Dopo i tre gravi bombardamenti aerei subiti durante la Seconda Guerra mondiale Bruxelles dovette subire anche le ingiurie di un riassetto urbanistico nel corso del quale, in particolare negli anni Sessanta, interi quartieri furono quasi completamente distrutti e ricostruiti ex novo. Come accadde nel centro di Milano in quegli stessi anni, gli sventramenti causati dalle bombe furono la scusa per operarne di nuovi e ancora più orrendi. Comune era iltarget degli strateghi della guerra aerea ’39-45 e dell’urbanistica del capitale nel secondo dopoguerra: le popolazioni e la storia inscritta nelle pietre delle città europee, con la loro eccedenza di insurrezioni, rivolte e resistenze.
[40]Cfr. Abaissement, in “Encyclopédie des Nuisances”, Dictionnaire de la déraison dans les arts, les sciences et les métiers, Paris, fasc. 3, maggio 1985.
[41]Cfr. ALESSANDRO PETTI, Arcipelaghi e enclave, Bruno Mondadori, Milano, 2007. “Nel funzionamento delle bypass freeway a pagamento dei grandi agglomerati urbani di Los Angeles, Toronto, Melbourne; nell’utilizzo delle autostrade come ‘cordoni sanitari’ destinati a dividere i nuovi insediamenti per le classi emergenti e gli insediamenti informali di Instanbul, Giacarta e Manila; nell’uso di bypass pedonali nei centri per uffici della città di Houston, Texas” l’Autore vede alcuni significativi esempi di nuove “pratiche di controllo e sorveglianza sui flussi” che da una parte garantiscono un collegamento veloce e “sicuro” (“Si esce dal garage fortificato di casa, percorrendo tragitti blindati”) tra i luoghi dei “privilegiati” (gated community, aeroporti, quartieri residenziali di lusso, centri commerciali, zone del business, parchi a tema, villaggi vacanze ecc.) e dall’altra sono “lo strumento con cui controllare, filtrare e segregare intere parti di territorio e popolazioni, separando “i quartieri affluenti dall’espansione degli slum”. Cfr. ALESSANDRO PETTI, Asimmetrie spaziali, in “Conflitti globali”, n. 6, 2008, pp. 151-152, 164-166.
Queste pratiche di disconnessione, dietro cui si affaccia già ben visibile la prospettiva della guerra civile, si estrinsecano ai massimi livelli nei Territori Occupati: innanzitutto, le colonie ebraiche sono punti strategici per il controllo del territorio, “connessi tra loro e con Israele attraverso una rete infrastrutturale continua e omogenea” (la combinazione di questi due elementi, colonia e infrastruttura, genera quella che Jeff Halper definisce “la matrice del controllo”, http://www.icahd.org/eng/); in secondo luogo Israele controlla direttamente i flussi attraverso checkpoint permanenti e temporanei, barriere e pattugliamenti dell’esercito (con una sostanziale scomparsa del confine tra la legislazione militare e quella civile, tra norma ed eccezione); in terzo luogo, la dinamica di questo processo ha fatto sì che le byapass road si siano trasformate in sterile road (nel gergo militare israeliano: strade completamente bonificate dalla presenza dei palestinesi); infine, il controllo dei flussi e i dispositivi di esclusione sono complementari: “Il muro funziona come una membrana che lascia passare alcuni flussi e ne blocca altri e insieme all’autostrada N. 6 forma un unico sistema in grado di includere ed escludere, connettere e disconnettere” (ALESSANDRO PETTI, art. cit., pp. 153-156, 163).
Cfr. anche EYAL WEIZMAN, Architettura dell’occupazione. Spazio politico e controllo territoriale in Palestina e Israele, Bruno Mondadori, Milano, 2009, che muovendosi tra gli spazi sotterranei e gl’insediamenti, fino al cielo militarizzato sopra Gaza e la Cisgiordania, analizza i Territori Occupati come un sistema di controllo costante dello spazio e in costante trasformazione, plasmato e riplasmato da processi paralleli di costruzione e distruzione del paesaggio, che diventa in questo modo non solo immagine, ma strumento del potere; non solo teatro di guerra, ma arma per combatterla. Trasformato in una “trappola a scatto” dalle colonie ebraiche e dall’incedere tortuoso del Muro, da nuovi avamposti e stazioni di controllo, in un processo imprevedibile e apparentemente incontrollato, non rimane quasi più nulla dell’ambiente storico-morfologico in cui nacquero i palestinesi che oggi hanno quarantadue anni. “La recente distruzione in massa delle case di Gaza, per esempio, può essere interpretata come una riprogettazione dell’ambiente edificato”, allo scopo di “interrompere la continuità storica, territoriale e sociale del campo profughi, e con essa l’identità politica collettiva del rifugiato” (ivi, p. 2).
Di Eyal Weizman, direttore del Centre for Research Architecture al Goldsmiths College di Londra, si veda anche l’intervista, a cura di Linda Chiaramonte, a “uruknet.info”: “Lo spazio palestinese viene violentato, i militari israeliani per esercitare il controllo sui campi profughi ridisegnano lo spazio distruggendo in modo creativo, di casa in casa. Sfondano i muri come vermi nelle mele. Studiano l’architettura per applicarne le teorie nelle fasi di distruzione e ricostruzione. La tecnologia permette di sparare e vedere attraverso i muri, che ora non rappresentano più delle barriere, ma si smaterializzano e diventano entità elastiche” (http://www.uruknet.info/?p=s9801).
La categoria di Herrenvolk democracy (democrazia del popolo dei signori), assai utile per spiegare la storia dell’Occidente tra la fine dell’Ottocento e gl’inizi del Novecento, ben si attaglia oggi a Israele: come allora l’estensione del suffragio in Europa andava di pari passo col processo di colonizzazione e con l’imposizione di rapporti di lavoro servili o semiservili alle popolazioni assoggettate, così oggi il governo della legge (peraltro sempre sospendibile in caso di “emergenza”) per i cittadini israeliani s’intreccia strettamente con la violenza e l’arbitrio burocratico-poliziesco e con lo stato d’assedio nei Territori Occupati. Sulla categoria diHerrenvolk democracy, cfr. DOMENICO LOSURDO, Controstoria del liberalismo, Laterza, Roma-Bari, 2005.