venerdì 30 ottobre 2009

Nietzsche, guerre umanitarie e schiavitù

In occasione dell'uscita del suo nuovo libro "Nietzsche, il ribelle aristocratico", Bollati Boringhieri, Domenico Losurdo chiarisce i tanti perché dell'insufficienza di un'interpretazione politicamente innocentista di Nietzsche. Quando l'ermeneutica dell'innocenza diventa esegesi colpevole di rimozioni e mistificazioni rispetto a un grande pensatore.


Il 14 aprile 1999, mentre infuriava la guerra contro la Jugoslavia, su "la Stampa" appariva una breve lettera firmata da Gianni Vattimo che così suonava o tuonava: "Ma Domenico Losurdo, Luciano Canfora, Costanzo Preve, Livio Sichirollo e gli altri firmatari della lettera di solidarietà al popolo serbo, che invitano Milosevic a "ristabilire la convivenza tra i diversi gruppi etnici" nonostante l'aggressione imperialista (colpevole di averla turbata?), hanno sentito parlare della Bosnia, degli stupri etnici, dei campi di concentramento, della pulizia razziale cominciata da Milosevic dieci anni fa?". Due giorni dopo, sempre "la Stampa" ospitava una replica firmata dal sottoscritto. Dopo una ricostruzione assai diversa della vicenda del Kosovo, la mia lettera così si concludeva: "Vattimo si è meritatamente conquistato una fama internazionale come interprete di Nietzsche e Heidegger. Peccato che ora sembri perdere di vista un aspetto essenziale della loro lezione: il pathos morale può veicolare le peggiori crociate sterminatrici". Prescindiamo qui dagli aspetti più immediatamente politici di questo scambio di lettere (d'altro canto, sulla nuova guerra che si profila all'orizzonte, Vattimo sembra per fortuna voler assumere un atteggiamento del tutto diverso). E' più importante un altro aspetto. Già dalla polemica appena vista emergeva un contrasto filosofico, che verteva e verte non sulla grandezza del filosofo in questione, bensì sugli insegnamenti che da lui si possono e si devono ricavare. Anzi, dal mio punto di vista era ed è chiaro che la lettura innocentista di Nietzsche gli fa un grave torto, rendendo impossibile la comprensione della possente carica demistificatrice che dispiega il suo "radicalismo aristocratico".

Radicalismo aristocratico e rivendicazione della schiavitù


"Radicalismo aristocratico": in questa definizione, che si deve alla penna di un amico e ammiratore (Georg Brandes), Nietzsche si riconosce in pieno. Ed essa sembra ben caratterizzare un atteggiamento politico che non si limita a condannare come espressioni di "decadenza" e "degenerazione" lo Stato sociale, i sindacati, la diffusione dell'istruzione, la democrazia, il regime parlamentare. Andando ancora oltre, il filosofo non esita a rivendicare la permanente validità dell'istituto della schiavitù quale fondamento della civiltà. L'ermeneutica oggi dominante preferisce rimuovere o leggere in chiave allegorica questo motivo che accompagna come un'ombra l'opera di Nietzsche in tutto l'arco della sua evoluzione. Epperò, a rinviarci alla storia e alla politica sono i testi stessi del filosofo, che contengono riferimenti sprezzanti a Beecher-Stowe, l'autrice della Capanna dello zio Tom, il celebre romanzo abolizionista che tanto eco suscita in Europa e nella stessa Germania. Ancora più significativa è l'osservazione contenuta in Umano troppo umano: tutti desiderano l'"abolizione della schiavitù"; eppure bisogna ammettere che "gli schiavi sotto ogni riguardo vivono più sicuri e più felici del moderno operaio (Arbeiter) e il lavoro (Arbeit) degli schiavi è ben poca cosa rispetto a quello dell'operaio", dell'Arbeiter. Di nuovo, siamo rinviati alla guerra di Secessione e all'aspro dibattito che l'ha preceduta e accompagnata: ad insistere sul fatto che la condizione degli operai liberi non è migliore di quella degli schiavi, a contrapporre la schiavitù salariata, descritta con implacabile durezza di toni, alla schiavitù vera e propria, per lo più mistificatoriamente immersa in un'ovattata atmosfera patriarcale, ad agitare tale argomento sono i difensori della schiavitù.

E' bene allora precisare il quadro storico in cui si collocano la vita e la riflessione di Nietzsche. La sua giovinezza cade nel mezzo della guerra di Secessione: in riferimento alla situazione del Sud degli USA, Tocqueville sottolinea come pene severe proibiscano di insegnare agli schiavi a leggere e scrivere. Siamo portati a pensare a Nietzsche: "Se si vogliono degli schiavi - e di essi si ha bisogno - non si devono educare come padroni". E' sempre Tocqueville ad osservare che nel Sud degli USA il valore tenuto in maggior considerazione dai padroni bianchi è l'otium, mentre "il lavoro si confonde con l'idea di schiavitù". E di nuovo il pensiero corre a Nietzsche, al suo sarcasmo sulla "dignità del lavoro" e alla sua denuncia della "famigerata volgarità degli industriali dalle rosse mani grassocce", essi stessi contaminati dalla moderna frenesia del lavoro. Negli anni successivi al 1865, alla cancellazione della schiavitù nella repubblica nord-americana corrisponde la cancellazione della servitù della gleba in Russia; senonché, forme di servaggio o semiservaggio persistono nei due paesi. L'Inghilterra, che nel 1833 ha abolito la schiavitù nelle sue colonie, procede poi, negli anni '70 e '80, al blocco navale delle coste dell'Africa orientale per impedire la persistente tratta dei neri in direzione soprattutto del Brasile che abolisce la schiavitù, e il relativo commercio degli schiavi, solo nel 1888, l'anno in cui ormai volge al termine la vita cosciente del filosofo. Infine, è da tener presente che, mentre giustificano la loro espansione in nome dell'abolizione della schiavitù nelle colonie, le grandi potenze sottopongono gli "indigeni" a rapporti di lavoro servili. E' la conferma, agli occhi di Nietzsche, dell'ineludibilità di un istituto che a torto e invano i filantropi moderni pretendono di abolire.

Il dibattito sulla schiavitù irrompe con forza anche sul terreno dell'antichistica: nel 1848 Henri Wallon pubblica la sua Histoire de l'esclavage dans l'antiquité e, nella lunga prefazione (un libro nel libro), prende netta posizione a favore dell'abolizione della schiavitù nelle colonie francesi, decisa dalla repubblica scaturita dalla rivoluzione del febbraio 1848. Ben si comprende il coinvolgimento dei filologi. Wallon osserva che, nell'opporsi alla soppressione della schiavitù nelle colonie francesi, "i partigiani dello status quo, fanno appello all'antichità". Anche negli USA la polemica anti-abolizionista celebra ripetutamente la splendida fioritura della Grecia antica, impensabile senza la presenza di quel benefico istituto, tanto odioso a sciagurati ideologi privi del senso della realtà. Negli anni che precedono lo scoppio della guerra di Secessione, lo studio dei classici latini e greci è al centro del curriculum delle scuole e delle Università nel Sud. Particolare attenzione viene riservata ad Aristotele, ed è per l'appunto tenendo presente la definizione aristotelica dello schiavo che Nietzsche parla della stragrande maggioranza degli uomini come "macchine intelligenti" ovvero come "strumenti di trasmissione".

Onnipresente in Nietzsche e nel dibattito culturale e politico della seconda metà dell'Ottocento, il tema della schiavitù dilegua o si trasforma in un'innocente metafora nell'ambito dell'odierna ermeneutica dell'innocenza (Bataille, Deleuze, Vattimo, Colli, Montinari ecc.). Il filosofo viene così "salvato" ma a caro prezzo, attribuendogli una limitata capacità di intendere e di volere in campo politico: egli avrebbe fatto costante ricorso alla "metafora" della schiavitù, essendo del tutto all'oscuro dell'aspra polemica e della dura lotta che, su tale tema, divampavano attorno.

Otium et bellum, "guerra e arte"

E, invece, per Nietzsche non ci sono dubbi: sono le fatiche e gli stenti degli schiavi a rendere possibile la civiltà, consentendo ad una ristretta minoranza di uomini la libertà dal lavoro e dalle preoccupazioni materiali e dunque il godimento dell'otium e la promozione della cultura e dell'arte. Tale aristocrazia si impegna a custodire la sua "distinzione" rispetto non solo alle masse lavoratrici ma anche, come sappiamo, ai capitalisti dalle "mani grassocce". Questi ultimi tendono a condividere le idee e i gusti delle prime: gli uni e le altre si riconoscono in una "civilizzazione" all'insegna del comfort materiale e di un ideale filisteo di sicurezza, sono incapaci di comprendere da un lato i valori della cultura, della bellezza, dell'arte, dall'altro i valori del rischio, del coraggio, dell'avventura, della guerra. E' in questo quadro che bisogna collocare l'inno alla guerra in Nietzsche, che non si stanca di celebrare le figure dei grandi condottieri, quali Alessandro, Cesare, Napoleone, e che, in particolare, raccomanda il "militarismo" di Napoleone come "cura" necessaria contro l'odiata "civilizzazione".

Senonché, come per la rivendicazione della schiavitù, anche in questo caso interviene la lettura in chiave metaforica ad immergere il filosofo in un bagno di innocenza. In Vattimo la celebrazione nietzscheana della guerra diviene la "negazione nietzscheana dell'unità dell'essere" ovvero l'"insistenza sul conflitto, il caos, il carattere interpretativo di tutto". Di nuovo dileguano i conflitti politici e sociali del tempo, di nuovo la storia viene messa alla porta come un'intrusa. In realtà, nello sviluppare il suo discorso sulla guerra, Nietzsche si rivolge ad una classe ben determinata. La "nuova nobiltà", di cui il radicalismo aristocratico si augura l'avvento o la riscossa, è chiamata a riaffermare la sua "distinzione", di contro alla dilagante volgarità dell'utilitarismo e del pensiero meramente calcolante, agitando la bandiera dell'otium et bellum. Assai caro al nostro filosofo, tale motto descrive e trasfigura le condizioni di vita e i valori dell'aristocrazia europea della seconda metà dell'Ottocento. Mentre fonda la sua ricchezza e il suo splendore sul possesso della terra, coltivata da una popolazione agricola su cui pesa ancora il retaggio feudale, la nobiltà occupa per tradizione gli alti gradi dell'apparato militare. Il rapporto signore-servo si riproduce nell'esercito come rapporto ufficiale/soldati; il beneficiario dell'otium è al tempo stesso il protagonista del bellum, così come a sopportare e ad aborrire il peso dell'otium e del bellum è la massa dei servi o dei figli di servi.

Naturalmente, proprio perché unifica l'aristocrazia europea nel suo complesso e ha di mira in primo luogo il confitto sociale interno, la parola d'ordine dell'otium et bellum è tutt'altro che sinonimo di agitazione sciovinistica intra-europea. Ciò vale per l'Antico regime che sussiste fino allo scoppio della prima guerra mondiale così come vale per Nietzsche: l'aristocrazia riafferma la sua egemonia e la sua "distinzione" impegnandosi in guerre che hanno come bersaglio la plebaglia socialista nella metropoli capitalistica e la marmaglia dei barbari nelle colonie. Alcuni decenni più tardi, in Germania, Langbehn chiama "guerra e arte" a contrastare la deriva dell'involgarimento plebeo e democratico. Ad esprimersi così è un autore che si considera "discepolo" di Nietzsche. In effetti, la parola d'ordine appena vista riecheggia il motto otium et bellum, dove l'otium è la condizione indispensabile per il prodursi della civiltà e, in primo luogo, dell'arte. Lo dimostra in particolare l'esempio della Grecia. E alla Grecia sulla scia del suo Maestro, fa riferimento anche Langbehn: ""guerra e arte" è una parola d'ordine greca, tedesca, ariana".

"Allevamento", "superuomo" e "sottouomo"

Al fine di tener ferma e invalicabile la barriera che deve separare i signori dagli schiavi, Nietzsche rinvia come ad un modello al codice Manu e al mondo induista delle caste. Qui non c'è ombra di mobilità sociale: il dominio signorile e il lavoro si trasmettono ininterrottamente di generazione in generazione. Siamo come in presenza di "razze" contrapposte, quella degli ariani (il superiore popolo conquistatore) e quella dei nativi sconfitti e soggiogati. Norme rigorose vietano il mescolamento delle classi e delle razze (la miscegenation contro cui, in questo periodo di tempo tuonano nel Sud degli Stati Uniti i teorici della schiavitù e dell'assoggettamento dei neri). L'ultimo Nietzsche sottolinea compiaciuto come il codice Manu colpisca con particolare durezza "l'uomo-non-da-allevamento (Nicht-Zucht-Mensch), l'uomo ibrido, il ciandala".

Nell'esprimersi in tal modo, il filosofo risente chiaramente dell'influenza di una nuova "scienza", l'eugenetica, inventata in Inghilterra da Galton, cugino di Darwin. Ora è possibile perseguire in modo "scientifico" l'"allevamento" (Züchtung) della razza dei signori e della razza dei servi, sbarazzando al tempo stesso la società dei "materiali di rigetto e di scarto". Emergono così motivi più che mai inquietanti, e più sollecitamente che mai l'ermeneutica dell'innocenza interviene a mettere al riparo Nietzsche da ogni contaminazione con la politica e, a maggior ragione, con la politica eugenetica. Non c'è da preoccuparsi - assicura Vattimo - "questo biologismo è allegoria". Di conseguenza, tutte le volte che può egli traduce Züchtung non già con "allevamento" bensì con "educazione". Che importa se Crepuscolo degli idoli dichiara in modo esplicito che "l'allevamento di una determinata specie umana" rientra tra i "termini zoologici"? L'ultimo Nietzsche invoca rigorose misure legislative per bloccare la procreazione dei malriusciti e dei falliti della vita. Se si vuole realmente sventare il pericolo che il delinquente contribuisca a formare una "razza della delinquenza", non si deve esitare a "castrarlo". E' così che bisogna procedere anche "per i malati cronici e nevrastenici di terzo grado", per i "sifilitici": si tratta insomma di impedire la procreazione "in tutti i casi in cui un figlio sarebbe un delitto".

Non si ferma qui la politica eugenetica di Nietzsche, che non solo irride "il divieto biblico "non uccidere"" ma che giunge ad enunciare un programma estremamente radicale: "Annientamento di milioni di malriusciti", "annientamento delle razze decadenti", s'impone "un martello con cui frantumare le razze in via di degenerazione e morenti, con cui toglierle di mezzo per aprire la strada a un nuovo ordine vitale". Più evidente che mai risulta l'inconsistenza della lettura allegorica. Di cosa sarebbe metafora l'appello alla castrazione e persino all'annientamento dei malriusciti oltre che delle "razze decadenti"? E, tuttavia, in Vattimo il processo di volatilizzazione e sublimazione si conclude con la proposta di tradurre Übermensch con "oltreuomo", invece che con "superuomo": a Nietzsche starebbe a cuore solo il "trascendimento" dell'"uomo della tradizione". In realtà, nel condannare "l'egoismo dei malati", che si attaccano ad una vita priva di valore e in tal modo aggravano la "degenerazione" (Entartung), Zarathustra proclama: "In alto va la nostra strada, dalla specie (Art) alla super-specie" (Über-Art). Chiara è la contrapposizione del "super-uomo" e della "super-specie" alla dilagante "degenerazione". E' impresa vana voler separare in Zarathustra il grande e fascinoso moralista (il critico implacabile dell'"uomo della tradizione") dal brutale teorico del radicalismo aristocratico.

Ma la traduzione vattimiana implica un'ulteriore rimozione. C'è un rapporto tra la celebrazione del "superuomo" (Übermensch) e la denuncia del "sottouomo" (Untermensch), che un ruolo così cruciale e così funesto svolge più tardi nell'ambito dell'ideologia e della pratica del Terzo Reich?

Rimozione della storia e ricerca di un capro espiatorio

Ossessionata dalla preoccupazione di evitare ogni possibile elemento di contiguità tra Nietzsche e l'ideologia nazista, l'odierna ermeneutica dell'innocenza per un verso rimuove o trasfigura i motivi più inquietanti e ripugnanti del grande filosofo, per un altro verso s'impegna nella caccia al capro espiatorio: ad aver tentato di distruggere il mondo incantato delle metafore sono la "manipolazione" di Elisabeth o le mistificazioni di Lukács. Senonché, questa caccia è al tempo stesso inconcludente e superflua. Mentre il filosofo è ancora in vita, l'amico o l'ex-amico Rohde condanna la sua "morale cannibalesca". Qualche anno dopo, un discepolo di Feuerbach, Julius Duboc, osserva che dagli scritti di Nietzsche emana un "puzzo di incendio e di bruciato", un'"aria carica di miasmi in cui è immersa l'aristocrazia canagliesca dei suoi superuomini". D'altro canto, agli inizi del Novecento grandi sociologi come Pareto e Weber e, ai giorni nostri, storici eminenti quali Mayer, Nolte, Ritter, Hobsbawm, Elias, tutti concordano, sia pure a partire da orientamenti tra loro assai diversi, nel collocare Nietzsche nell'ambito della reazione antidemocratica di fine Ottocento.

Ma, oltre che inconcludente e ingiusta, la caccia al capro espiatorio è fondamentalmente superflua. E' precipitoso leggere come una diretta anticipazione del nazismo l'"annientamento delle razze decadenti" invocato da Nietzsche: è una pratica in atto nella seconda metà dell'Ottocento (si pensi alla cancellazione dalla faccia della terra dei pellerossa negli Stati Uniti e degli "indigeni" in Australia e nell'Africa del Sud); e questa pratica è così largamente accettata e condivisa che ad essa non hanno nulla da obiettare neppure autori che si dichiarano liberali (Burckhardt, Renan ecc). Certo, è a partire da questo contesto ideologico e politico che bisogna prendere le mosse per comprendere poi la genesi dell'ideologia nazista; ma questa vicenda va al di là non solo di Nietzsche ma anche della Germania nel suo complesso.

Ritorniamo alla coppia concettuale Übermensch/Untermensch. Rosenberg, l'ideologo pressoché ufficiale del Terzo Reich, osserva che il merito di aver per prima elaborato la categoria di Untermensch spetta a Lothrop Stoddard. Chi è costui? E' un pubblicista statunitense che ha studiato in Germania e che conosce e cita Nietzsche, dal quale è largamente influenzato. In polemica contro l'"idolo" della democrazia, Stoddard celebra anche lui la "nuova nobiltà" e rende omaggio non solo a Galton e all'eugenetica - chiamata a favorire lo sviluppo di una "super-razza" (super race) così come da Zarathustra è chiamata a favorire lo sviluppo di una "super-specie" (Überart) - ma anche a Teognide e alla sua battaglia contro i matrimoni misti tra nobiltà e plebe. Come si vede, la lettura di Nietzsche ha lasciato tracce vistose persino nei dettagli. Denunciando l'ulteriore accelerazione della degenerazione moderna e democratica, Stoddard mette in guardia contro il pericolo mortale che per la civiltà rappresenta l'Under Man (ovvero l'Untermensch della traduzione tedesca), dal pubblicista statunitense esplicitamente contrapposto allo Übermensch di nietzscheana memoria, sia pur diversamente interpretato.

Questa vicenda linguistico-ideologica è la conferma per un verso della vacuità della lettura innocentista di Nietzsche, per un altro verso dell'insostenibilità della teoria che pretenda di spiegare l'ideologia nazista a partire esclusivamente da un diabolico Sonderweg tedesco. Ad elaborare una categoria-chiave del discorso ideologico nazista è un autore (Stoddard) che dialoga sì con Nietzsche ma che, al tempo stesso non solo è americano ma può anche vantare il solenne elogio di due presidenti USA, e cioè Harding e Hoover.

Una critica anticipata della "guerra umanitaria" e dell'"imperialismo dei diritti umani"

Abbiamo visto che trasformare in un'innocente metafora il discorso di Nietzsche sulla schiavitù significa fare grave torto ad un autore che, sin dalla sua adolescenza, si è misurato profondamente con la storia e la politica. Proviamo ora a far intervenire il contesto storico. Ecco allora che la stessa celebrazione della schiavitù finisce col dispiegare un'insospettata efficacia critica. Essa cade nel momento in cui il colonialismo europeo trasfigura la sua espansione come un contributo decisivo alla causa della lotta contro la barbarie della schiavitù. Viene così bandita una Crociata, talvolta intesa nel senso letterale e cristiano del termine; senonché, la sua avanzata va di pari passo con l'assoggettamento della popolazione "indigena" al lavoro più o meno coatto e persino con una vera e propria recrudescenza del lavoro servile, nonché con la disgregazione e la distruzione della cultura indigena. E dunque, la celebrazione nietzscheana della schiavitù s'intreccia, paradossalmente, con la demistificazione delle reali pratiche coloniali di asservimento ed etnocidio: ""L'abolizione della schiavitù", questo presunto contributo alla "dignità dell'uomo", è in realtà l'annientamento di una stirpe profondamente diversa, mediante l'affossamento dei suoi valori e della sua felicità".

Negli ultimi decenni dell'Ottocento, Bismarck decide di agitare anche lui la parola d'ordine dell'abolizione della schiavitù nel mondo coloniale e dell'espansione della civiltà e dei principi umanitari. Ed ecco rivolgersi a suoi collaboratori in questi termini: "Non sarebbe possibile reperire dettagli raccapriccianti su episodi di crudeltà?". Sull'onda dell'indignazione morale da essi suscitata sarebbe stato poi più agevole bandire la crociata contro l'Islam schiavista e rafforzare il ruolo internazionale della Germania. Si potrebbe commentare con Al di là del bene e del male: "Nessuno mente tanto quanto l'indignato". Non c'è dubbio che una critica della "guerra umanitaria" e dell'"imperialismo dei diritti umani" non possa prescindere dalla lezione di Nietzsche. E' un fatto assai positivo che Vattimo non si lasci più incantare dalle sirene della guerra umanitaria. Forse può essere per lui l'occasione di ripensare e di rimettere in discussione la lettura innocentista di Nietzsche.

Fonte: da una nota di Maria-Cristina Serban

giovedì 29 ottobre 2009

Nietzsche, il reazionario ed aristocratico ribelle

Chi conosce in profondità si sforza d'essere chiaro; chi vorrebbe sembrare profondo alla moltitudine si sforza d'essere oscuro.

Il Secolo XIX-11 Febbraio 2003


Intervista a Domenico Losurdo, autore di una monumentale monografia dedicata al pensiero del filosofo più discusso nel Novecento. Un reazionario contro le guerre umanitarie. Un mastodontico volume di oltre mille pagine per ricostruire il complesso e problematico pensiero del filosofo più discusso nel Novecento. Nietzsche, il ribelle aristocratico (Bollati Boringhieri, pag. 1167, Euro 68) è l’ultima fatica di Domenico Losurdo, ordinario di storia della filosofia all’Università di Urbino.

di Paolo Battifora

Professore, perché la scelta di Nietzsche?

«Nietzsche è un autore decisivo della seconda metà dell’Ottocento senza il quale non si può comprendere nulla di quel che è avvenuto in seguito e che ha ancora molto da dire all’uomo contemporaneo. Detto questo va però sottolineato come egli rimanga fortemente legato al suo tempo. E’ per questo che polemizzo con la visione innocentista del suo pensiero ».

In che senso?

«Nelle opere nietzscheane troviamo motivi decisamente ripugnanti. Espressioni come “annientamento di milioni di malriusciti”, “annientamento delle razze decadenti”, “nuova schiavitù” rinviano a quel clima ideologico dell’Europa della seconda metà dell’Ottocento da cui avrebbero tratto alimento il fascismo e il nazismo».

Nietzsche fautore della schiavitù?

«Ai suoi occhi solo la schiavitù rende possibile la civiltà. Epperò, si deve notare che egli celebra l’istituto della schiavitù in un periodo di tempo in cui le grandi potenze portano avanti l’espansione coloniale, agitando la bandiera dell’abolizione della schiavitù e dell’universalismo dei diritti umani. In questo senso, proprio a partire dal suo progetto politico reazionario, Nietzsche finisce con lo sviluppare una critica ante litteram della guerra umanitaria e dell’imperialismo dei diritti umani».

Perché questa centralità in Nietzsche del tema della schiavitù?

«Perché su di essa, secondo lui, si fondava la stessa civiltà. La vita cosciente di Nietzsche, ricordiamolo, si colloca tra gli anni della guerra di Secessione negli Stati Uniti, conclusasi con l’abolizione della schiavitù, e il 1889, anno del suo sprofondamento nella pazzia, data in cui vengono liberati gli schiavi in Brasile. Quando Nietzsche parlava di “strumenti di lavoro”, alludendo alla stragrande maggioranza degli uomini al servizio della classe dei signori, bisogna prenderlo sul serio: in lui è presente una componente naturalistica (lo schiavo tale per natura) la cui tradizione risale a Platone e Aristotele».

Lei definisce Nietzsche ribelle aristocratico. Perché?

«E’ stato un grande critico della tradizione rivoluzionaria. Secondo lui la catastrofe della democrazia non è iniziata né col socialismo, né con la rivoluzione francese e neppure con Lutero, protagonista di quella Riforma alla base della futura rivoluzione del 1789. Il suo percorso a ritroso giungeva sino alla predicazione evangelica che, con la categoria di uguaglianza, avrebbe dato vita al ciclo rivoluzionario».

L’Occidente frutto quindi di un bimillenario ciclo rivoluzionario?

«Possiamo annoverare Nietzsche come il primo teorico della lunga durata e come colui che, dissacrando la storia dell’Occidente, ci ha aiutato a superare il nostro radicato eurocentrismo».

Nel suo libro lei polemizza fortemente con la monumentale edizione critica delle opere di Nietzsche curata da Colli e Montanari e con le rimozioni e le censure operate da quello che definisce catechismo nietzscheano.

«Io contesto la lettura “musicale” auspicata da Colli per il quale bisognerebbe “ascoltare Nietzsche come si ascolta la musica”. Cosa c’è di musicale nelle espressioni sopra ricordate? La loro traduzione contiene inoltre errori, forzature, “censure”. La tendenza a immergere Nietzsche in un bagno di innocenza, con la rimozione delle sue pagine più inquietanti, crea una sorta di catechismo. Se autori di diversa provenienza come Pareto, Weber, Mayer, Nolte, Hobsbawm collocano Nieztsche nel filone della reazione antidemocratica di fine Ottocento, qualche motivo dovrà pur esserci».

Cosa ne pensa della Nietzsche-Renaissance attuatasi nella Francia degli anni Sessanta e del recupero a sinistra di questo pensatore?

«Dissento dai bagni d’innocenza e da un’ermeneutica nietzscheana a senso unico, di tipo libertaria ed emancipatoria, portata avanti da filosofi quali Vattimo, Deleuze, Foucault».

A proposito di Vattimo: cosa ne pensa della sua interpretazione in chiave ermeneutica della discussa figura dell’Übermensch, da lui resa con “oltreuomo”?

«La mia traduzione è “superuomo” e nel libro metto in evidenza come il neologismo Untermensch (sottouomo, ndr.), creato in inglese negli anni Venti dal pubblicista americano Lothrop Stoddard e poi fatto proprio da Rosenberg e dai nazisti, sia nato in specifico riferimento all’espressione nietzscheana. Prendiamo anche il termine Über-Art (superspecie, ndr.): se da un lato allude ad un’umanità liberatasi dai pesi della tradizione, dall’altra mantiene chiari riferimenti ad una concezione eugenetica».

Un filosofo quindi altamente ambivalente?

«Nietzsche, al pari di molti suoi contemporanei, non riteneva vi fosse contraddizione tra la libertà e l’emancipazione individuale e la contemporanea difesa della schiavitù. Non ci si stupisca più di tanto: il vicepresidente ottocentesco degli Stati Uniti Calhoun, liberale convinto, e il grande Locke dicevano le stesse cose. Nietzsche è il punto culminante di tutta una tradizione occidentale per cui la libertà doveva essere riservata ad una ristretta comunità».

Che dire in definitiva di Nietzsche?

«Il suo pensiero resta grande ed attuale ma non vanno minimizzati gli aspetti inquietanti e inaccettabili della sua riflessione. Nietzsche va preso sul serio qualunque cosa egli dica».

Veltroni e la morte del socialismo

Con una intervista rilasciata al giornale degli industriali italiani Walter Veltroni ribadisce il suo definitivo rifiuto del socialismo dichiarandolo morto assieme al novecento che abbiamo alle spalle e reclamando l'uscita del PD dalla internazionale socialista che, proprio per togliere dall'imbarazzo gli excomunisti italiani e i loro amici della Margherita, ha recentemente cambiato denominazione diventando Asde e cioè alleanza tra socialisti e democratici europei. Il socialismo sarebbe morto -secondo Veltroni- perchè incapace di uscire dal Novecento, di rinunziare alla rappresentanza degli interessi dei sindacati, di capire "la modernità" etc..

Veltroni fa un riassunto della caduta elettorale dei partiti socialisti in Europa e ne trae la conclusione che a stare con loro si perde e quindi si muore.
Vorrei osservare come la perdita di peso e di capacità attrattiva dei socialisti europei sia legato non al loro essere "novecenteschi" cioè rappresentanti degli interessi politici delle classi lavoratrici ma alla fascinazione che alcuni gruppi dirigenti hanno avuto del liberismo nella sua fase reaganiana e tatcheriana. E' vero che Blair ha vinto in Gran Bretagna diventando "altro" dal laburismo dei suoi padri ed ha vinto ma la sua vittoria ha rappresentato una secca perdita per il suo stesso elettorato dal momento che ha perduto molti diritti e molto del peso sociale che aveva conquistato in quasi due secoli di lotta. La socialdemocrazia ha perduto in Germania perchè si è alleata con la DC tedesca e per cinque anni ha prodotto una politica insoddisfacente. In Francia i socialisti si sono divisi: una parte di essi ragiona come Veltroni e cioè non è più socialista e la destra francese ha preso il sopravvento. Altro si può dire delle socialdemocrazie scandinave che vivono ancora del bagliore della grande civilizzazione che i loro programmi realizzati hanno prodotto nel Nord Europa facendone una oasi tra le più avanzate di democrazia dell'uguaglianza e della libertà.
La socialdemocrazia tedesca ha perduto una parte del suo elettorato che ha scelto la resistenza alla contaminazione ed alla subalternità alla ideologia liberista rafforzando il movimento socialista radicale di LaFontaine e dei Verdi.

Secondo il pensiero di Veltroni il PD se si apre a sinistra è destinato a perdere. Veltroni considera il Partito uno strumento elettorale per vincere e governare. Ma il governo in sè non può essere lo scopo di un Partito. La sua vocazione "maggioritaria" che Veltroni privilegia chiedendosi alla sinistra ed alle sue formazioni politiche non può prescindere dai "contenuti" e dai "valori" a menoche non si ritenga che questi siano secondari rispetto il fine catartico della vittoria e del governo. Un Partito e l'espressione di un movimento politico che sceglie di rappresentare talune istanze della società e di portarle avanti. Queste istanze sono prevalenti rispetto anche la stessa questione del governo. Un partito può conquistare alle sue idee ed alla gente che rappresenta molto anche stando all'opposizione come ci insegna la lunga e per certi versi da rivalutare esperienza di opposizione parlamentare e sociale del PCI e del PSI italiani che hanno dato al popolo di sinistra un potere sociale, un welfare, diritti che venti anni di destra berlusconiana aiutata dalla gente come Veltroni,Ichino ed altri non è ancora riuscita a distruggere del tutto. Partiti che decidono di recidere le loro radici dal socialismo per ingraziarsi i ceti produttivi oggi rappresentati da tanti partiti di destra e di centro non sono necessari. Sono un di più che la parte pensante ed avvertita del capitalismo non penso che gradisca dal momento che la depressione salariale e la condanna di oltre quattro milioni di lavoratori al precariato dà connotazioni di povertà ed anche di infelicità alla società nella quale viviamo e ne abbassa il tono e la vitalità. La morte della dialettica politica e sociale con lo spazio parlamentare occupato solo da partiti di centro e di destra e lo spazio sindacale da sindacati collaborazionisti e subalterni paralizza ed impoverisce la società nel suo insieme. La precarietà chiamata flessibilità ed i bassi salari fanno stagnare la società e ne riducono la coesione sociale, la cultura, la voglia di futuro. No,quello che Veltroni chiama socialismo è il lievito salutare della società europea ed il futuro che il fallimento del darwinismo neoliberista non può dare. Basti guardare l'America di Obama ridotta a nascondere dietro parole "nuove" la logora ed asociale politica di Bush e delle multinazionali.

Leggevo oggi una intervista ad un professore irakeno che vive da anni a Londra esule dai tempi di Sadam Hussein che parlava di un Iraq controllato dagli americani in preda a massacri quasi quotidiani e corruzione. Un Irak diventato un inferno popolato da tre milioni di orfani e di vedove, di altri milioni di sfollati, di una immensa porzione di popolazione costituita da mutilati e feriti di guerra. Gli americani hanno portato il terrore permanente nelle aree che le loro multinazionali hanno deciso di colonizzare:Irak, Afghanistan, sempre di più Pakistan e forse domani Iran. Non c'è differenza tra il drone assassino che mandava il Generale di Bush e quello che manda oggi il Generale di Obama.

Questa politica militare dell'Impero, unita alla politica economica e sociale non può e non è certamente migliore dalla politica che la socialdemocrazia ha dato all'Europa ed al mondo in tantissimi anni purtroppo offuscati da sconsideratezze di gruppi dirigenti come quelli che in Italia hanno fatto degenerare la esperienza positiva dell'Ulivo nella fallimentare esperienza del centro-sinistra di Prodi sconfitta clamorosamente perchè ha tradito il suo elettorato di sinistra (come lo stesso Prodi ha riconosciuto con molta onestà).

Infine voglio dichiarare tutta la mia insofferenza verso le critiche al al novecento i secolo caratterizzato dal socialismo e dai movimenti di emancipazione. Perchè gli ideali del socialismo sarebbero falliti? Perchè l'uguaglianza è incompatibile con la libertà? In un certo senso anche la sponda alla quale è approdato Veltroni appartiene al novecento: che cosa è oggi il liberismo se non una involuzione del liberalismo novecentesco?

Meglio aprire un dibattito sul novecento prima di voltare le spalle alle rivoluzioni sociali che lo hanno animato. La cultura europea di oggi è figlia dei grandi movimenti socialisti che la impregnano ancora dal momento che la libertà non è ed non sarà mai niente senza eguaglianza e senza una giusta ripartizione del potere economico. Alla base dell'Europa di oggi c'è la grande lezione dell'austromarxismo e dei grandi pensatori socialisti. Il socialismo è stato ed è tanto forte che i programmi degli stessi governi di centro-destra non possono ignorare ed accantonare anche se lo comprimono e vorrebbero sdradicarlo...

Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
28.10.2009

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/09/pillola-politica-pd-rutelli-veltroni.shtml?uuid=2973935a-ad15-11de-8cec-7d5efc3f9d72&DocRulesView=Libero

http://www.libero-news.it/pills/view/23561
http://www.gregnotizie.it/salvadori-%C2%ABla-germania-insegna-se-il-socialismo-e-di-centro-e-destinato-a-perdere%C2%BB/

Incontri virtuali con un fascio






Quando ho iniziato il dialogo con Mirko ho pensato a Cris. A.
Qui potete leggere come è andata http://pensareinprofondo.blogspot.com/2009/10/ed-il-duce-fini-nella-monnezza.html.
Devo dire subito che mi sono rotto le palle di proseguire oltre anche perché non abbiamo più un cazzo da dirci sulla questione trattata, lui comprenderà.
Mirko è di forza nuova, sono quindi andato oltre le frequentazioni di Cristiana con Casa Pound. Lei va a trovare quelli, io mi becco con uno che in modo evidente professa la sua "religione" e la sua "ideologia".
Si dirà, ma Casa Pound non è la stessa cosa di Forza Nuova. Sottili distinzioni. Riconosco però al camerata Mirko la forza della coerenza ma, allo stesso tempo, mi domando voi con Mirko ci passereste una serata per cercare di "redimerlo"?




Poi, qual'è la differenza "ideologica" tra Mirko ed i suoi camerati di casa pound?
Secondo me una differenza grossa c'è. Mirko non è un ipocrita e non si nasconde dietro alchimie dialettiche, pensa che gli immigrati debbano essere condotti fuori dai confini della "sacra patria" "umanamente", che dei froci dei negri e dei rom non gliene frega un cazzo perché ha da pensare agli italiani e che, mentre noi perdiamo tempo con quelli, loro si occupano dei "fratelli" indigeni.
Mica come quelle mezze seghe della Casa delle Libertà o i panzoni imborghesiti alla Borghezio o i finti alla Iannone.

La frequentazione è nata su una roba che lo ha portato a scrivermi frasi tenere tipo "se ti piglio ti spiano" (grossolano ed approssimativo ma quello è il senso), salvo poi scoprire che lui si definisce un non violento (+ o -) ed è un mistico del fascismo spirituale.
Vabbè, direte, ma a noi che ce frega?
Come che vi frega? Vorrei sapere se lo devo redimere o no ed andarlo a trovare.

Saluti a pugno chiuso ed ora e sempre resistenza compagni, a scanso di equivoci nelle foto che ho scattato le mie frequentazioni abituali, quando si può (S.Cristobal Gennaio 1994- EZLN, campo della Guerriglia FMLN Salvador):-)

mercoledì 28 ottobre 2009

I moderati, egemonia culturale 8

Trasmissione sul moderatismo


martedì 27 ottobre 2009

Ed il duce finì nella monnezza

Al carruba che gli ha chiesto "perché lo ha fatto?" Ferrero che è un Valdese pacifista e non violento ha risposto "perché non lo ha fatto lei?"
E così l'effige del duce è finita nella monnezza.






La strana sinergia tra i fascisti di Forza nuova ed i piloti terrorizzanti



Su OK notizie è comparso, tra le tante schifezze, il commento qui sopra a firma di un tizio che gioca a fare il guerrigliero nella cucina di casa sua e si fa fotografare con un fazzoletto sul viso. La foto la ritroviamo, la stessa, sul blog di tale terrorpilot. Anche qui le immagini bucoliche rimandano in modo suggestivo ad una tizia che, con un mitra tra le cosce (!!!), ti guarda languidamente dallo schermo.Il tutto condito, chiaramente, da antifascismo (sic), antiberlusconismo, anticlericalismo ed anticalcare.
Saranno la stessa persona?
Questo tale Swa-pentito 82 è già diverse volte che scrive che lui ha nome e cognome di una serie di compagni e lo scrive con l'approccio tipico di quei mafiosetti che vengono a cercarti per mandarti i messaggi buoni affinché tu o paghi il pizzo o smetti di rompere i coglioni. Insomma un Totò Riina de noartri.
La cosa inquietante è che un deficiente che partecipa ad un forum di Forza Nuova (si, proprio quelli. Le merde che sognano di essere ancora in Abissinia a cercare di creare l'impero) scrive anche lui che ha il nome di precariopoli e che questo nome gli è stato fornito da un delatore. Forse dal tipo che ha inaugurato il post?
Sarà tutta una provocazione? Frutto del caso? Sarà.
Tra gentiluomini ci si capisce, quindi sarebbe opportuna una smentita del "compagno" terrorpilot sull'argomento, del tipo "ma che cazzo hai scritto brutto stronzo?mai e poi mai farei una cosa simile. Scherzi? Queste cose le fanno solo le merde".
La materia potrebbe diventare incandescente e saremmo tutti più felici nel fatto che certe allusioni (i nomi e cognomi da sbandierare in giro) non siano più oggetto di messaggi del cazzo.





biomirko
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Inserito il - 07 agosto 2009 : 10:00:57 Mostra Profilo Invia a biomirko un Messaggio Privato Rispondi Quotando


è successa una cosa incredibile e bellissima.
Il tizio del blog qua sopra... un certo ANTONIO RAMONE che tra l'altro si è trasferito qua http://precariopoli.leftlab.com/ .... ABITA A COMO, nella MIA maledetta città!!!!
ho i suoi dati... nome cognome, indirizzo... persino il codice fiscale...
come li ho avuti???
beh... gironzolando tra i siti rossi ho trovato QUALCUNO che lo conosce e che ha fatto il delatore... ANTONIO RAMONE è naturalmente un nome fittizio... vuol fare l'anonimo... ma tra i "compagni" blogger non è così anonimo...
ECCELLENTE
la delazione (che odio) a 'sto giro si è trasformata in Giustizia Naturale.
...................e adesso inizia lo show.

PINONE71 prepara la telecamera che ci divertiamo...


Fonte: http://www.forzanuovaforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=6310&whichpage=2





domenica 25 ottobre 2009

Come si viveva con 30 dollari al mese in Romania


Spiegavo nel novembre 2008 ad alcuni svedesi come io, ingegnere, vivevo nel 1988 con 30 dollari al mese. Li pareva incredibile, eppure era così e basta guardare ai sondaggi per constatare che oltre il 65% della popolazione della Romania viveva meglio nel 1989. Vi spiego come si viveva con 30 dollari al mese nella Romania Socialista? I 3500 lei che guadagnavo col mio lavoro, se li cambiavo in dollari nella casa dello studente ottenevo 35 dollari perché per 100 lei ottenevi un dollaro, a nero, dato che il cambio ufficiale del dollaro era di 15 lei e quel cambio ufficiale leu / dollaro lo facevi solo se effettuavi un'escursione.
Quindi vediamo cosa facevo col mio salario mensile che era di 35 dollari nella Romania Socialista. Con 0,89 dollari prendevo il treno per Filiaşi dove lavoravo, con 0,54 dollari avevo un abbonamento all’autobus in Craiova, con 1,5 dollari pagavo l’affitto di un appartamento di tre camere, 1 dollaro era il costo del mantenimento medio per quell’appartamento, per comprare il cibo per tre persone tiravi fuori dalla tasca 20 dollari, le sigarette (io fumavo allora un pacchetto al giorno) costavano 1 dollaro al mese, la casa dei bambini che ospitava il mio figlio 1,5 dollari, la benzina 1-2,5 dollari secondo la quota, la rata del veicolo privato 7 dollari. Dunque le necessità di una famiglia erano coperte da 35 dollari, ma c’era anche il salario della moglie – 26 dollari con cui potevi trascorrere il fine settimana o le ferie al mare, al lago, in montagna, in campagna, o potevi vestirti perché i prezzi erano un po’ quelli (un completo da uomo costava quasi 12 dollari, una camicia 1 dollaro, un paio di scarpe oscillava fra 2 e 4,5 dollari eccetera). E mi ricordo che mi ero spostato in un appartamento nuovo, garantito dalla fabbrica, in cui pure se i rifinimenti non erano allo stesso livello di oggi, non ho dato nemmeno un leu nella bustarella per ottenerlo [faccio una mia annotazione relativa alla bustarella: oggi per avere un appartemento molti sono costretti ad allungare a dritta e a manca bustarelle gonfie di banconote]. E le macchine da noi erano tutte nuove, tutto era rinnovato o nuovo.

Queste affermazioni di Dan Rotariu le avevo trovate qui:
http://www.gds.ro/Actualitate/2009-01-24/Majorarile+salariale+sub+semnul+intrebarii+

da una nota di Maria-Cristina Serban

venerdì 23 ottobre 2009

Confesso, non sono webmaster ma ho boicottato Kilombo

In mezzo a post nobili che si occupano di questioni importanti ci tocca leggere e commentare anche il post del compagno con il fazzoletto sul visino in cui "con vivo stupore" veniamo a sapere le seguenti cose:
1- cazzo, avevo vinto in modo plebiscitario le elezioni ma hanno sgamato il trucco
2- aricazzo, per fortuna ci ho una certa esperienza perché sono webmaster e posso rivelare come hanno ciulato nel manico
3- stracazzi, peccato che quelli che hanno ammorbato l'aria sono:
- gli stessi che hanno fatto la stessa roba contro Dario Ballini quando si scontro' con quel titano della Democrazia amico mio del Valerio il portaborse di Rutelli,
- gli stessi che hanno taroccato i voti contro le proposte della carta fatte da quei sovversivi capitanati sempre da 'sto cazzo di Dario
- gli stessi che hanno truccato un referendum che di fatto bocciava le loro proposte e senza le quali mai avrebbero potuto sgovernare 'sto Kilombo delle palle
4- cazziuniversali, ma chi erano quelli che continuavano a dire che c'era stato un amico del giaguaro che per mesi aveva preso per il culo il famosissimo "collettivo"? Ah si, sempre la combriccola di quel Dario.

Bè questi particolari forse è meglio non sottolinearli, sia mai che qualcuno fa 2+2 come all'università degli investigatori

Ora, noi nutriamo una certa fiducia negli uomini e mettiamo la mano sul fiammifero per quanto riguarda la sua buona fede sulla vicenda(del bandito della via Emilia, intendo); rimane il fatto che un minimo di decenza dovrebbe accompagnare sempre l'opera ed il pensiero degli uomini.

Quantomeno riflettiamo su questa roba da operetta in cui un tizio ordisce una trama che più o meno suona così:
allora, questa mattina non ci ho da fare un cazzo quindi voglio boicottare Kilombo. Per fare questo io che sono un genio e che voglio far fare una figura della madonna ai miei amici sovversivi e rosso bruni (come li definisce l'ex onorevole) quasi quasi metto dei voti in più a quello che mi sta sulle balle con il fazzoletto sul viso ed a quell'altro che è pure filocinese e contro i tibetani ed il medioevo.
Vedi mai che proprio quello a cui ho dato i voti in più se ne accorge e denuncia immediatamente la cosa all'opinione pubblica con un bel post? E invece no, io scommetto sul suo smisurato EGO e mi gioco quello che volete che magnificherà la sua vittoria senza macchia e senza inganno.E su questo io ordirò una trama che Beatifull mi fa 'na sega.
Sono o non sono un genio del male?

Bò ?!
Torniamo a cose più nobili che è meglio.

p.s.
per la cronaca, due blogger hanno chiesto di far parte di Kilombo. Il nostro, che non è un cazzo sospettoso ed è aperto al mondo, li vorrebbe tenere in quarantena con i seguenti motivi:
uno non gli sembra di sinistra, l'altro ha un blog appena aperto.
Per il primo gli ho risposto : da che pulpito e mi ha mandato affanculo al che io gli ho scritto che ambisco ad incontrarlo di personapersonalmente per fargli sperimentare un leggero mal di testa.
Se ne è avuto a male e l'ha presa come una minaccia.

Per il secondo gli ho detto che il primo post è del Marzo 2009 quindi secondo la famosissima Carta non ci possono essere veti. Mi ha detto che anche io posso fare un post e datarlo 1960 (avevo 3 anni).
Minchia se è sospettoso!

p.s.1
Una sua amichetta, una di quelli sbattuti fuori a calci nel culo, scrive cose tenere di questo tenore:

"e tutti quelli che sono caduti sotto la mannaia di tre cessone in manca, un culattone privo di classe, un turista sessuale folgorato sulla via per il Brasile e una specie di coglione che poteva essere tranquillamente abortito che così liberava un posto in fabbrica per una persona decente."

La tizia, che è una ex onorevole in perenne movimento nella sua disperazione solitaria, con la faccenda del turismo sessuale si riferisce all'adozione di mio figlio. Comprenderete se non ho voglia di frequentare questa merda?

giovedì 22 ottobre 2009

Franceschini il rivoluzionario

Questo è il pensiero de sinistra di sor Franceschini. Mi chiedo come pensa con la parte destra del suo cervello. O non esiste questa distinzione?
Le minchiate sul dinamismo vengono "tempestivamente" fuori in un momento in cui la società è così dinamica che il problema è trovare un salvagente che ti fornisca la possibilità di non affogare da solo.

Che c'entra la meritocrazia con una società che ha la tendenza a massificare e standardizzare tutto?
Che ci troverà di dinamico in una vita passata in un call center, in fabbrica, su un furgone, con la bicicletta a fare il postino, davanti alla cassa di un supermercato?
In che modo pensa che possa venire fuori il talento?
Ma poi, a chi parla? A quattro ricercatori o alla massa di quelli che si sbattono tutti i giorni?
Franceschini e quelli come lui parlano ad una società che non esiste, parlano ad una nicchia di futuri conservatori. Franceschini parla solo per rassicurare i padroni


fonte: il sole 24 ore

Franceschini: «Il posto fisso? No, serve dinamismo»

di Lina Palmerini

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22 OTTOBRE 2009

Posto fisso? «Ma il problema italiano è proprio l'immobilismo. È una società che non riconosce il merito e, quindi, non crea opportunità rendendo – oggi – i figli più fragili dei padri. Quello che serve è il contrario: è il dinamismo dei talenti». Dario Franceschini, a tre giorni dalle primarie, rilancia il suo programma economico e prima ancora delle ricette mette i valori del suo Pd: «Merito e uguaglianza. Solo rovesciando i valori della destra riusciamo a conquistare un nuovo spazio politico».

mercoledì 21 ottobre 2009

Egemonia culturale- mass media, scuola e valori, parte 7

Mentre da un lato (quello sinistro) Tremonti fa una considerazione di per sé banale sul valore del posto fisso, dall'altro si esercita nell'esercizio dei tagli alla scuola pubblica.
Come riescano tutte queste cose a stare nella testa di Tremonti è un bel mistero. Mi chiedo come possa vivere una condizione nella quale si esercita nel formulare opinioni e valori che uno si aspetterebbe da uno di "sinistra" (del 900) e, nello stesso tempo, operare concretamente in un contesto in cui si realizzano fatti di segno opposto.
Al di là della questione precari, i tagli all'istruzione creano i presupposti per una generazione di individui a cui sempre di più mancheranno i mezzi e gli strumenti per farsi della società un'opinione diversa rispetto a quella che traspare da ciò che comunicano i media ogni giorno.
Trattando di egemonia culturale e prima di passare a qualche altro teorico, che ha fatto riflessioni dirette ed indirette sulla questione, ci piace evidenziare il pensiero di Darhendorf che illustra in modo sintetico il rapporto tra scuola, cultura e critica come pilastri della democrazia.
A queste riflessioni aggiungo un link ad un articolo di Paolo Barnard che fa un ragionamento su come una certa destra ha saputo costruire nel tempo i presupposti di un'egemonia culturale che da noi ha fatto tanti proseliti.
Per chiudere varrebbe la pena riflettere anche su come, in questi anni, si siano coscientemente azzerati tutti quei luoghi in cui una comunità d'individui ha per decenni costruito una sua identità e dei propri valori.
Mi riferisco all'idea dei satelliti che in qualche modo venivano utilizzati come cinghie di trasmissione di un'idea di società che fosse altro rispetto a quella in cui viviamo (cooperative, circoli, sedi di partito etc.)
Loro hanno contribuito ad azzerare questo patrimonio ed oggi non rimane altro che farsi dettare l'agenda politica da Repubblica ed Il Giornale mentre le agenzie pubblicitarie creano bisogni/valori per le nuove generazioni.


DOMANDA: Nell'attuale contesto politico è innegabile l'influenza dei media. Prof. Darhendorf, come concepisce uno spazio politico in cui al cittadino sia garantito un reale potere di rappresentanza?

La democrazia esige uno spazio pubblico che sia in condizioni di mediare interessi ed opinioni degli uomini col processo decisionale delle istituzioni politiche, o di mediarli nelle istituzioni politiche. Il caso ideale è rappresentato da uno spazio pubblico costituito da uomini liberi, da individui che s'incontrano sulla piazza del mercato. Quello che è ancora usuale nelle assemblee elettorali dei cantoni svizzeri si avvicina molto a questo spazio pubblico ideale. In verità questo caso ideale non si è mai verificato per intero, e nelle grandi società è molto difficile che possa verificarsi.

Il caso ideale viene sempre influenzato da altri fattori. Lo spazio pubblico, l'ideale spazio pubblico democratico, viene sempre falsificato, sia mediante la rappresentanza, sia anche mediante la manipolazione.

La manipolazione può avvenire in modi molto diversi. Nel XIX secolo e fino al nostro secolo, la manipolazione degli elettori avveniva spesso ad opera dei potenti del posto, i grandi proprietari terrieri, o proprietari di altro tipo, o comunque persone per questa o quella ragione potenti. Una forma di manipolazione oggi particolarmente attuale è senza dubbio quella che avviene mediante i mass-media e i pochi proprietari dei mass-media: dunque, la manipolazione dello spazio pubblico è sempre stato un pericolo, e lo è ancora oggi.

Per questo mi preme l'accesso all'istruzione: ogni uomo e ogni donna deve aver la chance, l'opportunità, di sviluppare i propri talenti, interessi e desideri, nelle scuole e nelle università. In questo senso per me l'istruzione è un diritto civile. L'istruzione ha naturalmente anche una funzione nella formazione di uno spazio pubblico democratico: ha naturalmente una funzione allorché si tratta di porre gli uomini in condizioni di far uso dei propri diritti civili

Non sono mai stato convinto, come altri, che con l'educazione politica si possa giungere chissà dove: credo molto — è un tratto anglosassone in me — al common sense, alla capacità di fondo di ogni singolo uomo di formulare giudizi su questioni politiche importanti. Ma in un mondo complicato, questa capacità esige, ad esempio, che si sia in grado di leggere un giornale, e che lo si legga realmente; esige che si sia in grado di ascoltare e comprendere notiziari, e qui è ancora una volta necessario un certo grado di preparazione, di istruzione.

Ma già dal modo in cui io dico questo si può dedurre che per me l'istruzione è un presupposto primario nel concetto di diritti civili, nei concetti di organizzazione della vita umana, di organizzazione delle capacità e opportunità di cui abbiamo bisogno nella vita.

Tratto dall'intervista "Democrazia e totalitarismo" - Oxford, biblioteca del S. Anthony's College, domenica 23 luglio 1989

lunedì 19 ottobre 2009

E se facessi il kamikaze?



Oggi volevo commentare quella intervista sul sole 24 ore in cui un tizio, imprenditore, ci fa capire perché (poveraccio) è stato costretto a portare un po' di soldi all'estero.
La sintesi è che:
1- non si sente un evasore
2- vorrebbe un premio perché lui in fondo se li riporta indietro è per salvare l'azienda
3- è colpa di quegli anni conflittuali (i 70) se era costretto a mettere fuori dall'Italia un po' di quella ricchezza che qualcun altro gli produceva
4- quelli che gli permettevano l'occultamento in fondo sono degli stronzi taglieggiatori perché si tenevano una parte di quello che lui nascondeva
5- è stato costretto ad internazionalizzare l'azienda perché non fidandosi di un sistema che gli permetteva di evadere, e che grazie a questo andava dal culo, voleva salvaguardare per sé stesso il frutto di tanto sudore della fronte degli altri.
6- in fondo ed alla fine mica è vero che paghiamo più tasse degli altri.

E' la fotografia di una classe imprenditoriale predatrice, attorniata da stuoli di avvocati e commercialisti che consentono con laute consulenze che il meccanismo giro a loro esclusivo vantaggio.
Dicevo che volevo commentarlo e forse l'ho fatto (potete leggere uno stralcio dell'intervista qui sotto), ho letto però le dichiarazioni della Marcegaglia (tralascio quelle del nano con B di cognome e di mestiere ministro) che contesta Tremonti solo perché ha elogiato il posto fisso, al punto da individuarlo come "la base della stabilità sociale" (la Repubblica).
La signora dice che quella è roba del secolo scorso (il posto fisso).

Io sono sicuro che dai paradisi fiscali che ospitano una parte del patrimonio di questa gente (parlo della signora) qualcosa rientrerà in Italia. Magari per dare una mano alla nazione.
E di questo le sono sinceramente ed in modo commosso grato. Penso anche che di fronte a questi illuminati e moderni capitani d'industria qualcosa bisogna concedere. Mi sfugge cosa può essere da terzo millennio per la tizia, cosa le possiamo concedere in più, cosa potrà mai soddisfare la sua fame di modernità. Quale parte della mia condizione umana deve essere ancora sacrificata per farla sentire (insieme ai suoi amici) soddisfatta.

E se mi girassero i coglioni? Così tanto per fare dell'avanguardismo del terzo millennio mi venisse in mente di fare il Kamikaze e farmi esplodere insieme a questa gentaglia?
Saremmo tutti soddisfatti.
Lei con una bella lapide con su scritto "sognava un'Italia moderna e morì incompresa" ,io "non riuscì a realizzare i suoi sogni ma consentì a qualcuno altro di realizzare i suoi ripulendo la strada".


"Fonte: sole24 ore
Perché non si considera un evasore:
«Tutti quei titoloni sulla caccia agli evasori sono ridicoli. Mi irrito quando leggo che rientreranno cento miliardi occultati o riciclati. Io aderirò allo scudo fiscale, ma non sono e non mi sento un evasore. E mi secca molto che lo scudo si sia trasformato in un calderone dove il Fisco trita tutto e tutti uniformemente: imprenditori, riciclatori, speculatori e fighetti che inventano prodotti finanziari tossici, alla base della crisi attuale».


Solo uno che vuole salvare l'aazienda (sig!!):
«Uno scudo, o una via preferenziale, riservata a chi riporta i fondi in azienda. Le banche hanno chiuso i rubinetti e noi siamo costretti a mettere mano a tutti i fondi disponibili per non affogare. Beni personali e beni allocati all'estero: questo sforzo va appoggiato, sostenuto e, in qualche modo, premiato. C'è una netta differenza tra chi riporta fondi in Italia per far girare l'azienda e chi fa rientrare frutti di speculazioni finanziarie o grandi rendite che non si tramutano in investimenti e lavoro».

Non è un mafioso..forse è un po' ladro?
«Ci vogliono costringere ad aderire allo scudo con la minaccia di stanarci uno per uno. E di mandarci sui giornali per evasione fiscale. Ma non sarebbe meglio cercare con il bisturi il mafioso che ripulisce capitali della droga o di altre carognate? Perché pretendere una lista con i nomi di tutti i correntisti? Non si fa di ogni erba un fascio».


Quei duri anni 70:
«Erano anni duri, ogni giorno uno scontro con il sindacato, il terrorismo colpiva con regolarità, il più grande partito comunista dei paesi occidentali era a un passo dal governo. È diventato naturale, in quegli anni, trattenere una piccola quota di fondi all'estero».


'Sti cazzo di strozzini stronzi!!:
«Trattenevamo il 20%, senza esagerare con carichi eccessivi e ingiustificabili. Lo chiamavamo, in codice, tuenti, da twenty. Dicevamo: a quella ditta fai il tuenti e il responsabile amministrativo capiva. E il tuenti diventava tuenti faiv quando eravamo sotto pressione per adempimenti burocratici assurdi o in periodi di dichiarazioni fiscali. Una specie di protesta civile contro i cavilli. Volevamo creare una piccola riserva, niente di più. Poi, quando sono subentrato io alla guida dell'azienda, mi sono posto il problema di cosa fare. Erano gli ultimi anni della prima repubblica: partiti in sfacelo, leggi finanziarie con manovre mostruose.


Voi non fuggireste?
Ricordo bene la tassa straordinaria, imposta dalla sera al mattino, sui conti correnti. C'era il concreto rischio che l'Italia non entrasse nell'area monetaria europea, sarebbe stato un disastro. Per questo ho dato una veste internazionale all'azienda:ho creato una società alle Antille che a sua volta ha dato vita a una società di diritto olandese che è diventata socia, con il 50% delle quote, della mia azienda».

E mica è 'na questione di tasse...eddaiii!!!
«No, assolutamente no. Il risparmio fiscale non c'entra. Il livello tra fisco italiano e olandese è tutto sommato uguale. C'è solo una differenza di cinque punti percentuali tra la tassazione dei dividenti in Olanda e quella in Italia, ma non vale la pena rischiare per così poco."

Cosa è la legalità?


Mi sono imbattuto in questo post tratto da :http://baruda.net/
Non ricordo molti commenti su questa vicenda accaduta il 5 ottobre a Roma, anzi non ricordo neanche una notizia sulla questione. E' evidente che anche per la sinistra "riformista" la questione dei diritti civili è limitata ad un perimetro in cui quello che c'è dentro è frutto o delle necessità di De Benedetti ,nello scontro con il suo sodale Berlusconi ,o della scrittura di qualche norma sul codice penale che sanzioni in modo più duro reati come la violenza sui Gay.
Non che la questione sia un dettaglio, quello che mi chiedo pero' è se siamo già assuefatti all'idea che sia possibile rastrellare gente per strada mettendoli su bus con le grate solo per controllare i documenti, o se è normale entrare dentro le case delle persone sfondando porte e finestre buttando sulla strada intere famiglie.

Il Comitato di Quartiere Pigneto-Prenestino invita i cittadini ad una manifestazione con assemblea pubblica in cui verranno presentate le iniziative sul territorio, i progetti di riqualificazione, le rivendicazione dei diritti negati ai giovani e vecchi, a grandi e bambini in una città che oggi, purtroppo, si vuol far vivere nella paura.

Un’altra città è possibile.
Una città che riconosca il diritto alla casa e all’abitare. A luoghi dove i bambini possano giocare, i giovani ritrovarsi, gli anziani uscire dalla solitudine. A spazi sociali sottratti al profitto. Al reddito e ai servizi sociali. Una città bene comune. Vogliamo farlo a partire dalla nostra piazza, l’isola pedonale. Che vorremmo diventasse un’isola per i bambini, gli anziani, le donne e i giovani, un’isola della creatività, della cultura e dell’inclusione. Un’isola antirazzista. In una città che oggi, purtroppo, si vuol far vivere nella paural_isola-possibile_rid-2

Invitiamo tutte e tutti a partecipare alla manifestazione di sabato al Pigneto, a partire dalle 16.30, in cui verranno presentate le iniziative sul territorio, i progetti di riqualificazione, le rivendicazione dei diritti negati ai giovani e vecchi, a grandi e bambini. Alle 18 assemblea pubblica.

- Lunedì 5 ottobre uomini delle forze dell’ordine hanno seminato il panico all’isola pedonale. In un’operazione che in teoria doveva solo contrastare il commercio di marchi falsi, uomini in divisa grigia e caschi neri, manganelli in mano, urlando contro chiunque si trovasse a tiro, hanno inscenato un vero e proprio rastrellamento.

raid_rid
Una caccia all’uomo nero.
Hanno inseguito per lo più senegalesi che si trovavano in quel momento tra via Campobasso e via Macerata, li hanno picchiati, sono entrati nelle loro case, hanno divelto porte, sfondato vetri.
Hanno portato via 25 persone.
E hanno minacciato chiunque provasse a documentare la follia che stava avvenendo sotto i loro occhi. Chiedendo loro di cancellare le foto scattate. Pena l’arresto.

E’ questo il modello di città sicura che vogliamo?
E’ questo il modello di città sicura che hanno promesso?
Una caccia indiscriminata allo straniero?
Cosa giustificava un’azione del genere?

Alle richieste di spiegazioni hanno risposto che è un problema di legalità: ma chi decide cosa è più illegale tra vendere merce contraffatta, affittare al nero a prezzi alle stelle pochi metri quadrati e vendere droga alla luce del sole? Cosa rovina di più la vita delle famiglie?

Tutti i comportamenti illegali vanno censurati ma non abbiamo mai visto azioni contro gli affitti illegali. E le azioni messe in campo quest’estate per combattere lo spaccio ed evitare violenze sono miserabilmente fallite (tre accoltellamenti e tre morti per overdose).

I lavoratori immigrati che vivono al nostro fianco, al Pigneto, non amano spendere i propri soldi nei pub. Preferiscono mandarli alle proprie famiglie lontane e ritrovarsi tutti in strada finito di lavorare. Si stringono in tanti negli appartamenti, non possono accendere mutui sanguinari con le banche, ma vengono ugualmente spremuti dalla rendita immobiliare.

Che ci stanno a fare al Pigneto, nel bel mezzo dell’isola che si vorrebbe trasformare in una vetrina del commercio e del divertimento?
In un quartiere dove i prezzi degli immobili costringono alla fuga i vecchi abitanti – costretti dagli sfratti a rifugiarsi in una infinita, anonima periferia – a due passi da un immobile dove sta per nascere un albergo a 5 stelle, che ci fanno tanti stranieri?

Il quartiere-vetrina, dunque, va ripulito. Con ogni mezzo.
È questa la città che vogliono. Una Roma violenta verso i più deboli. Dove esistono cittadini con diritti di serie B, utili a far arretrare i diritti di tutti quanti.

È questo il Pigneto che stanno costruendo. A misura dei profitti, non dei suoi abitanti dove non esistono spazi pubblici destinati alla convivenza, al confronto, alla progettazione condivisa per risolvere i bisogni di tutti. Quello di lunedì non è un caso isolato.

A Roma cinquantamila famiglie vivono in condizioni di disagio abitativo, 7.500 sfratti ogni anno. E 245.000 appartamenti vuoti, un monumento allo spreco e all’egoismo. Secondo i CONTRATTI A CANONE CONCORDATO un appartamento di 50 metri quadrati nel nostro quartiere dovrebbe costare circa 375 euro al mese. E invece costa il triplo. Roma è la capitale dell’emergenza casa, dell’emergenza rifiuti, del taglio dei posti letto, degli asili nido insufficienti, dell’esclusione sociale, del traffico cronico, dell’evasione fiscale, gli investimenti della mafia e il narcotraffico.
Dinanzi a una tale allarme scopriamo che il vero problema della città sono le merci contraffatte e chi si cerca di garantire il diritto ad una casa.

Negli ultimi due mesi il sindaco e il prefetto hanno messo in campo una vera e propria strategia di repressione.
Se la sono presa con gli immigrati, e con le case abitate da chi ha deciso di prendere con le proprie mani un diritto che gli veniva negato. Lo sgombero del Regina Elena e gli arresti alla ex scuola 8 marzo, due immobili occupati per l’emergenza abitativa, lo stanno a dimostrare.

Vogliamo dimostrare che un’altra città è possibile. Una città che riconosca il diritto alla casa e all’abitare. A luoghi dove i bambini possano giocare, i giovani ritrovarsi, gli anziani uscire dalla solitudine. A spazi sociali sottratti al profitto. Al reddito e ai servizi sociali. Una città bene comune.
Vogliamo farlo a partire dalla nostra piazza, l’isola pedonale. Che vorremmo diventasse un’isola per i bambini, gli anziani, le donne e i giovani, un’isola della creatività, della cultura e dell’inclusione. Un’isola antirazzista. In una città che oggi, purtroppo, si vuol far vivere nella paura.



sabato 17 ottobre 2009

Le minacce a Berlusconi


Il Riformista ha ricevuto una missiva che contiene minacce di morte per Berlusconi.

La cronaca del corriere della sera ci racconta che:

"La lettera è stata spedita da Milano l'8 ottobre, all'indomani della decisione della Corte costituzionale sul lodo Alfano, ed è stata aperta questa mattina (17 ottobre n.d.a.)."


A questo punto contro questa intollerabile provocazione ci viene un solo commento:
MINCHIA CHE POSTE DI MERDA, LA PROSSIMA VOLTA USATE RACCOMANDATA 1

venerdì 16 ottobre 2009

Lo scambio di opinioni su come si stava bene nella DDR

Il post dedicato all'indagine che ha messo in evidenza la nostalgia prevalente per la ex Germania comunista ha innescato una discussione su facebook interessante. La ripropongo qui.

Tiefensee immagino consideri la nostalgia dei tedeschi dell'Est un sentimento dubbio, da combattere, perché essa arriva a perturbare, a confondere l'ideologia attuale (del successo), il mito dell’efficienza, il culto del consumismo, la supremazia delle leggi del mercato eccetera.
La nostalgia è un sentimento fondamentalmente di assenza, ed i tedeschi dell'Est che, come me rumena, avranno vissuto in un sistema in cui forse provavano a trarre il massimo vantaggio dalle situazioni possibili e forse riuscivano a cavarsela molto più spesso di quanto lo fanno adesso, probabilmente recuperano con la memoria, col ricordo l'attuale assenza del sentimento della comunità e del cameratismo, o l'attuale assenza della solidarietà, o del cibo...
E dopo essersi arresi a nostalgie di questo tipo, magari dovranno subire (o guardare gli altri subire) il lavaggio del cervello fatto dai media dell'apparato totalitario liberale. E allora forse si ricorderanno con nostalgia anche di come la persuasione totalitaria ed il lavaggio del cervello furono uno degli elementi integranti più deboli degli Stati comunisti del '900...

Reuters cita invece un sondaggio Forsa sulla nostalgia della Ddr, e che espone anche alcuni dei motivi per i quali i tedeschi si aggrappano ai ricordi nostalgici:...

http://news.yahoo.com/s/nm/us_wall_odd

E nel 2006 sul sito della Deutsche Welle si potevano leggere commenti come questo:

"Experts point out that the population flight from eastern Germany can only be stemmed by creating job opportunities in the region."

E le affermazioni di Tiefensee di allora:

"Reports on the state of unity in past years had to acknowledge some tough issues ranging from rampant unemployment to negative demographics. Right-wing extremism is much more acute in eastern Germany than it is in the west. Despite some economic successes and a revitalized infrastructure, eastern Germany has still not caught up with the western part of the country: Wages in the eastern regions are 23 percent lower and unemployment rates are nearly twice as high. It will take 15 to 20 more years before we can speak about sustainable economic revival (in the eastern part)."

E quelle dello storico Konrad Jarausch:

"The too rapid transformation from a planned to a market economy during unification, the too high conversion rate of the currency and the too generous wage settlements have destroyed much of the productive base in the east. The challenge for the next half generation is therefore to create a new industrial base in the eastern states."

Anche questo articolo sulla "ostalgia", che era apparso su Le Monde Diplomatique nel 2004 (sempre in inglese), è assai suggestivo:
http://lists.portside.org/cgi-bin/listserv/wa?A3=ind0408C&L=PORTSIDE&E=0&P=221548&B=--&T=text%2Fplain

Antonio Franceschino
A parte che io ritengo eccessiva questa insistenza sul tema dell "Ostalgie" (più un fenomeno di consumo, legato ad alcuni film e libri usciti di recente, che un fenomeno reale. Questo non significa naturalmente che non esista disagio nella Ddr, e rimpianto di alcuni aspetti del vecchio regime, che forse nella memoria sono stati poi idealizzati), ricordo quando le cose stavano esattamente al contrario, tanto per metter i puntini sulle "i": dopo la vittoria elettorale di Brandt nel '69, e l'apertura ad Est, denominata "Ostpolitik", Brandt stesso, primo Cancelliere della Germania Federale, andò in visita a Erfurt, nell'allora Ddr; e lì successe l'imprevisto, che mise in forte imbarazzo la dirigenza della Germania comunista: gli operai "comunisti" inneggiarono a Brandt, inscenando una forma di protesta contro il regime, del tutto inattesa evidentemente. In quel caso, si dimostrò senza ombra di dubbio da che parte stavano in maggioranza gli operai della Ddr, se con i comunisti o con i socialdemocratici (di allora, va precisato, degli anni '70)!

Mario Paravano
E perché mai, Antonio. A me sembra che nel 2009 se il 60% delle persone di quel paese ha nostalgia il dato di per sé è significativo. Che abbiano fatto una manifestazione nel 69 nella DDR mica mi meraviglia. Mi meraviglia che sono nostalgici adesso, dopo aver provato le virtù della socialdemocrazia alleata con i cristianosociali.
Questo sempre per mettere i puntini.

Maria-Cristina Serban
L'esempio della reazione di alcuni operai della Ddr alla visita del cancelliere socialdemocratico Willy Brandt a Erfurt come tentativo di "dimostrare senza ombra di dubbio da che parte stavano in maggioranza gli operai della Ddr", mi pare inconcludente.

Secondo Costanzo Preve, che ha visitato diversi paesi dell'Europa orientale, ed ha visto lavorare gli operai sia in Germania Ovest che in Germania Est, e non solo ha visto, ma ha anche lavorato, i sogni utopistici dell'eguaglianza e della virtù della democrazia in regime capitalista socialdemocratico sarebbero (stati) sterili e perfino grotteschi, e "la fine del comunismo storico novecentesco, ultimo fattore geopolitico di riequilibrio dei rapporti internazionali" sarebbe stata "negativa e sciagurata".

"Se vogliamo fare giochi estivi di nessuna importanza, e mi si chiede soggettivamente in che ordine "morale" e politico metto i giganteschi fenomeni novecenteschi che hanno tentato di imporre il primato della politica (organizzata in forme diversissime, dal pluralismo partitico socialdemocratico al partito monocratico di tipo comunista, fascista o populista) sulla logica autonomizzata dell’economia capitalistica pura, risponderò subito così: al primo posto metto il comunismo storico novecentesco nel suo insieme (nonostante bestialità, crimini, ecc.), poi metto il populismo terzomondista (Peròn, Nasser, ecc.), poi al terzo posto metto l'onesta socialdemocrazia (Palme, ecc., con esclusione della socialdemocrazia imperialista, interventista e bombardatrice alla D'Alema), ed al quarto ed ultimo posto metto il nazifascismo (di cui considero particolarmente imperdonabili il colonialismo razzista ed il razzismo di sterminio e quindi l'Etiopia di Mussolini del 1935 e lo Auschwitz di Hitler del 1942)." (da un articolo di Preve: "Sulle categorie di destra e di sinistra e sulla loro evoluzione storica")

Sebbene sia fallito, il comunismo ha cominciato dai bisogni della gente, non da quelli del capitale, e le sue conseguenze furono di immensa portata anche per le masse lavoratrici dei Paesi capitalistici (il welfare, il modello socialdemocratico), per i popoli colonizzati, per le stesse democrazie occidentali, sfidate dal nazifascismo e salvate dalla vittoriosa resistenza dell'Armata Rossa. Dire questo non significa dimenticare i crimini, la repressione del dissenso, la degenerazione oligarchica dei gruppi dirigenti e delle tecnocrazie.

Si potrebbe fare inoltre una riflessione sull'attuale crisi della sinistra europea, o più esattamente sulla fine del modello socialdemocratico dovuta ai fermenti politici ed economici successivi alla fine del comunismo... O persino sulla pesante sconfitta della socialdemocrazia tedesca del mese scorso...

Antonio Franceschino
Tralascio il commento di Maria, perché sarebbe troppo complesso (per me) affrontarlo nel suo complesso, abbiamo già discusso tra l'altro ampiamente tra di noi di comunismo, socialdemocrazia, populismo, da posizioni radicalmente diverse, come possono esserlo quelle di una comunista antimperialista seguace di Preve e un socialista liberale "alla Bobbio": capite che far stare insieme Preve e Bobbio è come cercare di mettere insieme cane e gatto, ragion per cui è già tanto, anzi è fondamentale, che fra di noi ci sia una stima e un rispetto sia umano che intellettuale reciproco, al di là delle divergenze politiche.
Torno invece a Mario: io non sottovaluto affatto il fenomeno di "Ostalgie", di nostalgia della Ddr, diffuso nella ex Germania Orientale, e certamente dovrebbe essere, anzi dopo la recente disfatta elettorale lo è già, un elemento di preoccupazione, di riflessione e autocritica nella Spd, che ha governato negli ultimi 11 anni prima con i Verdi, e poi nella Grande Coalizione con i democristiani, il fatto che nella ex Ddr, la Linke, l'erede diretta del Partito Comunista, abbia più di un quarto del suffragio popolare e superi ampiamente la Spd. Certamente, il ritorno all'opposizione non può che fare bene a un partito stanco e logorato, che potrebbe essere il simbolo della crisi più generale del socialismo europeo, che nel suo insieme si è lasciato tutto trascinare dal liberismo imperante, favorito certo dalla caduta del comunismo, ma già sviluppatosi negli anni '80 nei paesi anglosassoni (Thatcher e Reagan).
Il socialismo europeo deve ripensare profondamente le ragioni della sua esistenza, e della sua storia, e recuperare le sue idealita e i suoi modelli politici (Welfare, Stato sociale, ecc.), il modello a cui riferirsi esiste, bisogna recuperarlo, e spero che gradualmente questo accadrà, a meno che non si voglia che scompaia totalmente la sinitra, salvo frange minoritarie, dall'orizzonte poltico.
Ricordo che già Willy Brandt, che io considero uno dei massimi leader politici della seconda metà del XX° secolo, era cosciente di questa involuzione, tant'è vero che sulla sua tomba a Berlino, che io ho avuto occasione di visitare, c'è scritto: "Ich habe es gesucht", "Almeno ci ho provato", che è l'ammissione di una sconfitta almeno parziale. La socialdemocrazia però deve recuperare dei modelli tuttora validi, ma abbandonati in seguito all'ondata liberista, l'ideale comunista a mio giudizio deve invece ripartire quasi da zero, non potendo certo rifarsi, se non in negativo a modelli, che sono disastrosamente crollati, si sono disfatti per consunzione in pratica, e devono essere quindi completamente ripensati, dalle fondamenta secondo me (ma io sono sempre stato un critico del comunismo, e quindi ammetto che il mio giudizio sia di parte).
Ritornando per chiudere al fenomeno dell'"Ostalgie", della "nostalgia" della Ddr, spiego per quali motivi lo considero parzialmente sopravvalutato; vi è una percentuale di questi "nostalgici", che non saprei quantificare, che è certamente fisiologica, è la nostalgia del passato, della giovinezza, che sempre insorge in una certa età della vita dell'uomo e porta ad idealizzare quel periodo della propria vita. Forse voi non lo avete ancora provato, ma a me, sulla soglia dei 50 anni, capita spesso di aver nostalgia dei miei 20 anni, benché non siano stati in realtà un periodo così entusiasmante da nessun punto di vista (cominciava il "craxismo" allora in Italia), ma era per me l'età delle illusioni, delle speranze, non solo politiche, ma anche umane, personali, speranze perloppiù andate disilluse, e quindi poi idealizzate oggi. Ricordo un aneddoto, di un'aristocratica francese che all'epoca della Restaurazione, provava nostalgia per gli anni della Rivoluzione, e alle sue amiche più giovani, che se ne stupivano, per il fatto che allora rischiava ogni giorno la testa, soleva dire: "Allora ero giovane, mi batteva il cuore!".
Credo che molta di questa "nostalgia" abbia semplicemente queste radici, e quindi che la percentuale delle persone che nella ex Ddr rimpiangono autenticamente l'epoca comunista e vorrebbero ritornarci, non sia poi in realtà così grande, neppure maggioritaria, come dimostra il voto del resto, un quarto della popolazione suppergiù. Qui vi lascio, vi saluto e vado a dormire, perché sono stanchissimo. Un saluto a tutti e a presto!


Dire che nella maggior parte dei casi si tratta di un cedimento ad una nostalgia nei confronti "del passato, della giovinezza, che sempre insorge in una certa età della vita dell'uomo e porta ad idealizzare quel periodo della propria vita" mi sembra una visione riduttiva.

Come mai non si discute dell'attuale economia nella ex-Ddr (prospettive e sviluppi nell'ottica dell'adesione all'economia capitalista), della maniera in cui la gente ha vissuto il divorzio burrascoso con una società che ha garantito a tutti casa, assistenza sanitaria, vacanze, un'idea di sé e della propria funzione sociale... Perché non vengono per esempio esaminati i fattori pragmatici che hanno determinato le nostalgie.

O perché non vengono commentati anche i risultati della ricerca sugli esiti sfavorevoli della vittoria del capitalismo nei paesi post-comunisti dell’Europa orientale e dell’ex-Urss pubblicati da Lancet. Quella ricerca parla di un aumento della mortalità del 13% tra il 1989 e il 2002 in quei paesi, cioè della morte di tante persone alle quali erano stati brutalmente tolti il lavoro e l'accesso agevolato ai servizi sociali.... Visualizza altro

http://www.facebook.com/topic.php?uid=39014715123&topic=6795
http://pensareinprofondo.blogspot.com/2009/10/privatizzazioni-di-massa-e-mortalita.html

Nel passato l'ideologia comunista è stata spesso oggetto di diversi sondaggi realizzati nei paesi dell'Europa orientale (commissionati all'estero). Alcuni dei sondaggi hanno rivelato l'ambivalenza di molte persone rispetto alla teoria e alla pratica di quell'ideologia. Molte persone tra quelle che avevano bersagliato di critiche l'autoritarismo, la centralizzazione e le inefficienze dei sistemi comunisti, e l'idea di comunismo, ritenendo che l'economia del libero mercato fosse "essenziale al nostro sviluppo economico", quando si smise di ragionare in termini di comunismo e mercato, così carichi di implicazioni ideologiche, hanno abbandonato l'apparente consenso al nuovo corso nella sfera economica, alle politiche trasformazionali dei nuovi governi capitalisti.
Approfondendo aspetti specifici delle loro vite, molti tesero a sostenere le politiche ed i valori associati con i vecchi stati comunisti: egualitarismo diffuso, un ruolo forte del governo nell'economia ed uno scetticismo profondo circa un sistema distributivo basato più sul merito che sui bisogni. I governi comunisti avevano mirato a porre fine alle disuguaglianze ed a raggiungere la piena occupazione, e dopo il loro crollo, le diseguaglianze sono aumentate bruscamente, le restrizioni imposte agli stipendi ed alla ricchezza sono state rilassate. Alcuni anni fa le differenze di reddito erano viste dalla stragrande maggioranza delle persone negli stati dell'Europa orientale come troppo grandi. Oltre il 60% dei bulgari, degli ungheresi e dei sloveni, per esempio, la pensava così... La maggior parte delle popolazioni post-socialiste favorisce i lavori garantiti: in un sondaggio il 56% degli estoni ed il 84% dei tedeschi della ex-Ddr esprimevano questa preferenza - cioè, secondo gli intervistati, i governi dei rispettivi paesi avrebbero dovuto impegnarsi a garantire un lavoro a coloro che volevano uno.

Mi ricordo anche di un sondaggio di alcuni anni fa in cui si chiedeva alla gente di otto stati post-comunisti di postulare un "reddito giusto ed equo" per il dirigente di una grande società e per un operaio non qualificato: i rapporti medi tra questi due stipendi (il primo diviso dal secondo) erano uniformemente più piccoli di quelli negli stati capitalisti. Il differenziale di reddito postulato mediano negli stati capitalisti era più elevato di quello degli stati dell'ex-blocco comunista.

Le cose che scrivi sono giuste, Maria. Dico soltanto che nella ex Ddr, tutto sommato, la situazione complessiva è mediamente un po' migliore che negli altri Paesi ex-comunisti.
Forse è il confronto con i "Wessis" a deprimerli particolarmente.

Mario Paravano
Antonio, quello che ha prodotto il passaggio ad un'economia di mercato "liberale" è una somma di società in cui si sono acuite le differenze tra chi ha e chi non ha. Il punto ineludibile è che quelli non hanno migliorato di un niente la loro condizione sociale.Il fatto di essere depressi a queste condizioni mica è una questione che interessa solo gli ex comunisti della DDR; per i quali non credo che ciò dipenda da invidia. Quanto è depresso un qualsiasi uomo, che appartenga al primo o al terzo mondo, di fronte ad una società che accetta la concentrazione di ricchezza e di potere nelle mani di pochi a discapito dei più?
Altra questione, ora lancet ha messo in evidenza alcuni dati statistici di per sé significativi, a questi varrebbe la pena aggiungere la considerazione di come alcuni stati si sono trasformati in protettori di criminalità e mafia accettando che la loro classe dirigente fosse formata da gangster. Io direi un fallimento su tutta la linea.