martedì 13 ottobre 2009

Egemonia culturale secondo Marcuse-l'uomo ad una dimensione ed il 68, parte 6



Marcuse e la contestazione studentesca

Scriveva Marcuse nel 1967

“Voi sapete che io considero l'opposizione studentesca uno degli elementi decisivi del mondo attuale; non una forza immediatamente rivoluzionaria, come mi è stato ripetutamente contestato, ma un fattore tra quelli che potrebbero un giorno più facilmente trasformarsi in una forza rivoluzionaria [...].

Contro che cosa è diretta questa opposizione? La domanda deve essere presa molto sul serio, perché si tratta di una opposizione contro una società democratica e ben funzionante che, almeno normalmente, non si basa sul terrore. Inoltre, questa opposizione lotta contro la maggioranza della popolazione, inclusa la classe operaia (su questo negli Stati Uniti non abbiamo alcun dubbio), contro tutta la cosiddetta "way of life" del sistema, contro la onnipresente pressione di questo (che con la sua repressiva e distruttiva produttività degrada, in modo sempre più disumano, ogni cosa a merce, facendo della compravendita lo svago e il contenuto della vita), e infine contro il terrore che regna al di fuori della metropoli.

Questa opposizione contro il sistema in quanto tale è stata scatenata in un primo momento dal movimento per i diritti civili e in seguito dalla guerra del Vietnam.”

Herbert Marcuse, 1967

Il clima nel quale crebbe il mito di Marcuse è quello del 1968.

"Il '68 fu l'anno della contestazione in tutto il mondo e al riguardo un importante ruolo fu svolto dagli studenti. La ribellione giovanile che ebbe origine negli USA per poi dilagare nell'Europa occidentale e in alcuni paesi dell'est europeo fu l'effetto di una crisi che si era andata preparando negli anni precedenti il 1968. L'intervento dell'URSS in Cecoslovacchia con il crollo del mito dell'Unione Sovietica, guida del socialismo reale, l'aspro conflitto tra l'URSS e Cina, la guerra USA nel Vietnam, le dubbie prospettive di uno sviluppo indefinito anche delle economie più ricche, i movimenti di liberazione dell'Africa nera, le lotte contro i regimi dittatoriali dell'America latina furono altrettanti detonatori della protesta giovanile, e nella particolare situazione italiana, la disoccupazione giovanile, la burocratizzazione del sistema universitario, l'affermazione di un potere studentesco. In Italia e all'estero l'irrequietezza degli studenti, il rigetto dell'ordine costituito, lo smarrimento intellettuale assunsero una carica che può essere definita di carattere rivoluzionario, la loro contestazione, attraverso vari stadi, diventò globale. Essa cominciava nell'ambito della scuola: le condizioni arretrate in cui si svolgevano in molti nostri atenei, la vita universitaria e la ricerca scientifica, la rigidità della organizzazione degli studi poco aderente alle esigenze di una società di sviluppo come la nostra, le sempre auspicate ma sempre rinviate riforme degli studi, avevano offerto più di un motivo alla protesta studentesca. La prima bandiera della contestazione fu la denuncia dell'autoritarismo; molti ragazzi contestavano un certo modo di esercitare l'autorità in modo sbrigativo, perentorio, assoluto che corrispondeva a modelli culturali ormai respinti, si diffondeva l'utopia dell'uguaglianza assoluta di una società in cui nessuno avrebbe comandato: l'orizzonte della contestazione si allargava, le vibrazioni del movimento studentesco entravano in sintonia con atre vibrazioni in Italia e fuori, maturava la sollevazione sindacale in una lunga vigilia dell'autunno caldo. Il movimento studentesco diventava un movimento di estrema sinistra, infiammato dalle speranze di rivoluzione. Dalla scuola la contestazione si era estesa all'intera società, una società da cui tutto discendeva, non solo la scuola stessa, vecchia, corrotta, inutile, ma tutto quanto di male esisteva nel mondo, secondo la mentalità di ogni rivoluzionario che attribuisce all'ordinamento vigente ogni ingiustizia dell'Universo. Si voleva, quindi, trasformare il mondo del futuro si sarebbe poi deciso, poiché importante era cambiare il sistema nel suo insieme. La realtà studentesca, partita dalla prima occupazione di Pisa l'8 febbraio 1967 visse momenti di duri scontri con la polizia come la famosa "battaglia" di Valle Giulia a Roma, 1 maggio tra gli studenti e forze dell'ordine. Gli studenti che non si limitavano più a semplici rivendicazioni sugli esami, accusati di pigrizia, di volere esami più facili per essere promossi senza fatica, esigevano ormai obiettivi più importanti, tentarono di coinvolgere le fabbriche, i sindacati ma queste non si lasciarono coinvolgere e così lo Stato vinse e gli studenti ottennero ben poco."(1)

Ma in cosa si evidenzia la relazione tra le istanze sessantottine e la base ideologica che fornì a quel movimento Marcuse?

"Marcuse, uno dei maggiori esponenti della scuola di Francoforte polemizza, appunto, contro la società repressiva in difesa dell'individuo e della sua felicità, e con le sue opere fomenta quindi e dà la base razionale, filosofica al movimento del '68. Già in "Eros e Civiltà" Marcuse ritiene che la società di classe si sia sviluppata reprimendo gli istinti e la ricerca del piacere degli uomini impedendo agli uomini la libera soddisfazione dei suoi bisogni, delle sue passioni. L'istintività, il piacere sono stati asserviti da ciò che lui chiama "principio della prestazione" cioè la direttiva di impiegare tutte le energie psico-fisiche dell'individuo per scopi produttivi e lavorativi. Ma la civiltà della prestazione non può far tacere del tutto gli impulsi primordiali verso il piacere, la cui memoria è conservata dall'inconscio e dalle sue fantasie. Inoltre Marcuse ritiene che tale principio di prestazione abbia creato "le precondizioni storiche per la sua stessa abolizione" poiché lo sviluppo tecnologico e l'automatismo hanno posto le premesse per una diminuzione radicale della quantità di energia investita nel lavoro, a tutto vantaggio dell'eros, di un lavoro quale attività libera e creatrice. L'Utopia di Marcuse è, in sostanza, il desiderio di un paradiso ricreato in base alla conquista della civiltà. Nell'Uomo a una dimensione Mancuse riprende e radicalizza i vari motivi di critica della società tecnologica avanzata. L'uomo a una sola dimensione è l'individuo alienato della società attuale, è colui per il quale la ragione è identificata con la realtà, per lui, non c'è più distacco tra ciò che è e ciò che deve essere, quindi al di fuori del sistema in cui vive non ci sono altri possibili modi di essere. Il sistema tecnologico ha, infatti, la capacità di far apparire razionale ciò che è irrazionale e di stordire l'individuo in un frenetico universo cosmico in cui possa mimetizzarsi. Il sistema si ammanta di forme pluralistiche e democratiche che però sono puramente illusorie perché le decisioni in realtà sono sempre nelle mani di pochi. <>, la stessa tolleranza di cui si vanta tale società e repressiva perché è valida soltanto per ciò che non mette in discussione il sistema stesso. Tuttavia la società tecnologica non riesce ad imbavagliare tutti i problemi e soprattutto la contraddizione di fondo che la costituisce, quella tra il potenziale possesso dei mezzi atti a soddisfare i bisogni umani e l'indirizzo conservatore di una politica che nega a taluni gruppi l'appagamento dei bisogni primari e stordisce il resto della popolazione con l'appagamento dei bisogni fittizi. Tale situazione fa sì che il soggetto rivoluzionario non sia più quello individuato dal marxismo classico, il lavoratore solitario, ormai completamente integrato nel sistema, bensì quello rappresentato dai gruppi esclusi dalla benestante società, quello che Marcuse in un passo chiave del suo libro descrive come: "il sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili. Essi permangono al di fuori del processo democratico, la loro presenza prova quanto sia immediato e reale il bisogno di porre fine a condizioni e istituzioni intollerabili. Perciò la loro opposizione è rivoluzionaria anche se non lo è la loro coscienza. Perciò la loro opposizione colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola la regola del gioco e così facendo mostra che è un gioco truccato". Questi gruppi possono incarnare il Grande Rifiuto, l'opposizione totale al sistema e porre le basi per la traduzione dell'utopia in realtà, anche se le capacità economiche e tecniche sono abbastanza ampie da permettere aggiustamenti e concessioni a favore dei sottoproletari e le loro forze armate sono abbastanza addestrate ed equipaggiate per far fronte alle situazioni di emergenza. Tuttavia lo spettro è di nuovo presente dentro e fuori i confini delle società avanzate. In uno scritto del 1967 Marcuse ha parlato di una fine dell'utopia, alludendo al fatto che esistessero le precondizioni materiali e tecniche, i "luoghi" dove le utopie potessero finalmente abbandonare i "non luoghi" dell'astrazione e concretizzarsi nella realtà, tuttavia, dobbiamo ribadirlo, ciò era soltanto una possibilità e per questa possibilità, per il grande rifiuto molti hanno dato e danno la loro vita."(2)

I demolitori di questo pensiero utopico albergano equamente distribuiti tra destra e sinistra (?); in particolare tra i tanti che, nel loro percorso di vita, sembrano dare ragione proprio a Marcuse.

Contro questo pensiero eversivo, per raccogliere un pò tutti i suoi critici e con lui gli "spaventati" dal 68, citiamo il fascista Marcello Veneziani che, in un articolo sul Giornale, tra le tante cose scriveva:

da Il Giornale (19-07-2003), «il pensiero di Marcuse allevò generazioni all'egocentrismo eversivo e ludico, alla trasgressione di massa come segno di creatività, al primato del Rifiuto e del Negativo sull'impegno faticoso di costruire e di generare».

Durante questa ricerca sul pensiero del filosofo ci siamo imbattuti in questo post del 2008; l'autore parla di una sua recensione al libro "l'uomo ad una dimensione". Quella recensione non fu pubblicata, secondo l'autore, per motivazioni di tipo politico.


(1,2) professor Carmine Cutolo




0 commenti:

Posta un commento